Libertà, follia e gioco in chiave jazz
Zerogrammi al Pim spazioscenico
Libertà, follia e gioco nella 'Zona Franca', in chiave jazz. Gli Zerogrammi di nuovo al Pim spazio scenico.
La compagnia Zerogrammi torna in scena con un'ospite d'eccezione. La coreografa Barbara Toma, oltre a fare gli onori di casa accompagna Stefano Mazzotta e Emanuele Sciannamea nella loro 'Zona Franca'. Zona di gioco e di follia caratterizzata nella sua metafora dal geniale jazz di Alberto Tacchini. La musica porge i gesti ai danzatori cosi come loro tornano ad essa in maniera armoniosa e ciclica.
Un pianoforte sulla sinistra sotto il palco, sul quale gravitano tre "luci zenitali" testimonianza di una presenza-assenza. La scenografia consistuita dal nero delle mura del palco, eccezion fatta per sette, otto centimetri di luce illuminano il centro della parete di fondo. Aldilà, come nel mito della caverna di Platone, gli spettatori scorgono una realtà fatta di ombre carpita nella sua quotidianità.
Si intravedono i piedi dei danzatori camminare, muoversi; si odono le loro voci come in un ufficio, si sente cercare Alberto. Il palco si apre con la spinta di Barbara Toma che cerca, appunto, Alberto lasciando intravedere un ambiente lavorativo: macchina fotocopiatrice, fogli, girovagare del personale. Ad un certo punto, travalicata la soglia che divide le due zone, si entra nella zona franca. Alberto si posiziona al piano forte. Dalla recita alla danza.
Quanto può essere poetico un gesto che si libera e prende consapevolezza di sé. Il corpo riscopre la sua natura ludica, ritorna bambino e riscopre la bellezza del movimento. Si libera in una danza fatata nelle braccia di Stefano, leggere che si muovono nello spazio come a tracciare dei versi. Nelle lunghe linee disegnate nell'aria da Emanuele. Non ultima l'unica presenza femminile, Barbara, equilibrio elegante di forme ed espressione fra Mazzotta e Sciannamea.
La coreografia parla infatti un linguaggio poetico pronto a suscitare nello spettatore l'attenzione più viva e la partecipazione empatica. La danza non perde le sue capacità teatrali, anzi le esalta forse una volta imparata la lezione insegnata dall'ormai grandissima Pina Bausch madre del teatrodanza europeo mancata proprio quest'anno.
I tre si abbandonano nel linguaggio di un corpo dinamico: si rincorrono attraverso un unirsi e lasciarsi di passi veloci, a volte secchi, irruenti ma pur sempre eleganti. L'eleganza dell'assurdo.
Si scoprono liberi nei loro gesti che non devono essere necessariamente utili, riscoprono il calore di due corpi che si avvertono sfiorandosi nelle prese e nell'unione perfetta che la coreografia fa dei ballerini. Inscenando scenette a partire proprio dai movimenti che come di impulso formano i gesti il corpo riscopre la bellezza di saltare e guardare in alto, di saltare e ridere, di ridere guardando il cielo. Proprio come si faceva da bambini. Il gioco può diventare pericoloso però. Si può prendere una pistola per gioco e sempre per gioco voler provare l'ebrezza di..
lo spettacolo ha fine proprio così, esattamente quando Emanuele puntando per gioco una pistola alle tempie di Stefano sente, e noi insieme a lui, il fonico dire: ' ok, stop.'.
Non ha importanza sapere come sarebbe andata a finire, il centro è capire come la follia positiva dell'elemento ludico può trasformarsi nel suo opposto negativo. E' sperabile che ognuno di noi abbia la sua zona franca in modo da poter controllare e sopportare meglio le ombre di una vita alienata che ci rende dei manichini costretti nelle nostre pantomime.
E proprio all'ombra, anzi al buio, il bravissimo Alberto Tacchini ha suonato per una manciata di minuti durante la coreografia. Non lontano da virtuosismi ha divertito il pubblico suonando lo strumento direttamente dalle corde svelando il perché il pianoforte mancasse della sua copertura anteriore.
La compagnia Zerogrammi torna in scena con un'ospite d'eccezione. La coreografa Barbara Toma, oltre a fare gli onori di casa accompagna Stefano Mazzotta e Emanuele Sciannamea nella loro 'Zona Franca'. Zona di gioco e di follia caratterizzata nella sua metafora dal geniale jazz di Alberto Tacchini. La musica porge i gesti ai danzatori cosi come loro tornano ad essa in maniera armoniosa e ciclica.
Un pianoforte sulla sinistra sotto il palco, sul quale gravitano tre "luci zenitali" testimonianza di una presenza-assenza. La scenografia consistuita dal nero delle mura del palco, eccezion fatta per sette, otto centimetri di luce illuminano il centro della parete di fondo. Aldilà, come nel mito della caverna di Platone, gli spettatori scorgono una realtà fatta di ombre carpita nella sua quotidianità.
Si intravedono i piedi dei danzatori camminare, muoversi; si odono le loro voci come in un ufficio, si sente cercare Alberto. Il palco si apre con la spinta di Barbara Toma che cerca, appunto, Alberto lasciando intravedere un ambiente lavorativo: macchina fotocopiatrice, fogli, girovagare del personale. Ad un certo punto, travalicata la soglia che divide le due zone, si entra nella zona franca. Alberto si posiziona al piano forte. Dalla recita alla danza.
Quanto può essere poetico un gesto che si libera e prende consapevolezza di sé. Il corpo riscopre la sua natura ludica, ritorna bambino e riscopre la bellezza del movimento. Si libera in una danza fatata nelle braccia di Stefano, leggere che si muovono nello spazio come a tracciare dei versi. Nelle lunghe linee disegnate nell'aria da Emanuele. Non ultima l'unica presenza femminile, Barbara, equilibrio elegante di forme ed espressione fra Mazzotta e Sciannamea.
La coreografia parla infatti un linguaggio poetico pronto a suscitare nello spettatore l'attenzione più viva e la partecipazione empatica. La danza non perde le sue capacità teatrali, anzi le esalta forse una volta imparata la lezione insegnata dall'ormai grandissima Pina Bausch madre del teatrodanza europeo mancata proprio quest'anno.
I tre si abbandonano nel linguaggio di un corpo dinamico: si rincorrono attraverso un unirsi e lasciarsi di passi veloci, a volte secchi, irruenti ma pur sempre eleganti. L'eleganza dell'assurdo.
Si scoprono liberi nei loro gesti che non devono essere necessariamente utili, riscoprono il calore di due corpi che si avvertono sfiorandosi nelle prese e nell'unione perfetta che la coreografia fa dei ballerini. Inscenando scenette a partire proprio dai movimenti che come di impulso formano i gesti il corpo riscopre la bellezza di saltare e guardare in alto, di saltare e ridere, di ridere guardando il cielo. Proprio come si faceva da bambini. Il gioco può diventare pericoloso però. Si può prendere una pistola per gioco e sempre per gioco voler provare l'ebrezza di..
lo spettacolo ha fine proprio così, esattamente quando Emanuele puntando per gioco una pistola alle tempie di Stefano sente, e noi insieme a lui, il fonico dire: ' ok, stop.'.
Non ha importanza sapere come sarebbe andata a finire, il centro è capire come la follia positiva dell'elemento ludico può trasformarsi nel suo opposto negativo. E' sperabile che ognuno di noi abbia la sua zona franca in modo da poter controllare e sopportare meglio le ombre di una vita alienata che ci rende dei manichini costretti nelle nostre pantomime.
E proprio all'ombra, anzi al buio, il bravissimo Alberto Tacchini ha suonato per una manciata di minuti durante la coreografia. Non lontano da virtuosismi ha divertito il pubblico suonando lo strumento direttamente dalle corde svelando il perché il pianoforte mancasse della sua copertura anteriore.
Gb
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ZEROGRAMMI
ZONA FRANCA
www.zerogrammi.org
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