La fragilità del vetro
Williams secondo Cirillo
Continuano allo Stabile gli appuntamenti con i grandi testi dei drammaturghi contemporanei.
Dopo Bernard Shaw e La professione della signora Warren è Tennessee Williams a concedere risa e pianto, gioia e amarezza. Fino al 18 gennaio, al Gobetti Lo zoo di vetro.
Scritto nel 1944, il dramma viene messo in scena per la prima volta il 26 dicembre dello stesso anno al Civic Theatre di Chicago e successivamente vince il New York Drama Critics Circle Award.
Dramma di matrice autobiografica Lo zoo di vetro di T. Williams raggiunge il successo nel 1945, trasformando in uno dei propri cavalli di battaglia un tema fino ad allora poco trattato dalla drammaturgia americana: il contrasto tra la realtà e l´illusione, ma soprattutto la consapevolezza che un´esistenza basata su sogni e speranze porta alla frustrazione e alla solitudine.
Lo zoo è un "luogo" in cui prigionia e protezione, condanna e privilegio si sovrappongono. All'interno di uno zoo si è vivi seppur in gabbia. Si è nutriti e trattati con cura. Ma nell'immaginario del drammaturgo statunitense lo zoo si fa di vetro, amplificando così la debolezza e la fragilità che divengono metafore quanto mai attuali dell'uomo contemporaneo.
Lo zoo di vetro, secondo una definizione dello stesso Williams, è "un dramma di memoria", una potente messa in scena dell'atto del ricordare. E' Tom Wingfield, in un interno piccolo borghese, a raccontare le vicende della sua famiglia, segnata irrimediabilmente dall'abbandono del padre. Le figure della sua memoria tornano reali, bloccate in un perenne presente da cui non c'è fuga. ≪Lo zoo di vetro rappresenta "l'inganno dell'immaginario" - scrive il regista Arturo Cirillo, che si riserva in scena la parte di Tom, alter ego dell'autore -. Ho immaginato un luogo abitato da pochi elementi molto concreti ma immersi in una luce non realistica, quasi pittorica, dove la vicenda venga narrata senza divisioni in quadri, in un unico luogo. Come se ci trovassimo all'interno di un album di famiglia troppe volte sfogliato≫.
Una trama estremamente semplice, per un testo che mette a nudo la solitudine di esseri umani incapaci di comprensione e di comunicazione. In primo piano due figure femminili, due donne che anticipano la galleria di ritratti femminili disturbati e disturbanti dell´opera teatrale dello statunitense, vittime, come ne La professione di Shaw, di un mondo maschile duro e feroce. Ma a differenza di Shaw, ne Lo zoo di Williams nessun giudizio morale aleggia sui protagonisti, ma la loro degradazione si svolge lentamente sotto gli occhi del pubblico.
Incantevole il personaggio di Laura - nella personificazione di una splendida Monica Piseddu - fragile come il vetro e diversa dalla maggior parte della gente. Timida, zoppa ma con una fantasia estremamente raffinata, lei continua ad amare il belloccio del liceo, Gym. Che fuori da qualsiasi luogo comune, pur se bello, spavaldo e ambizioso ammira la purezza di Laura. Il loro incontro, dopo anni trascorsi dal periodo scolastico, riesce a far uscir Laura dalla sua gabbia, anche se solo per il tempo di una cena. E come il suo unicorno di vetro, quando nella felicità di un ballo improvvisato, perderà il suo corno, Laura diventerà una ragazza come tutte le altre, fin quando, dalla bocca di Gym non uscirà il nome Betty, la sua futura sposa. I sogni si infrangono e dalla luce si passa alle tenebre, care all'autore. E con la dis-illusione di Laura finiranno anche le speranze della madre - personaggio tragicomico impersonato dalla bravissima Milvia Marigliano. E solo a quel punto, quando Tom perderà qualsiasi motivo per rimanere a casa, abbandonerà famiglia e cinemaper, forse, ricercare la felicità. E senza Tom, l'uomo di casa, lo sfacelo famigliare è assicurato.
Dopo Bernard Shaw e La professione della signora Warren è Tennessee Williams a concedere risa e pianto, gioia e amarezza. Fino al 18 gennaio, al Gobetti Lo zoo di vetro.
Scritto nel 1944, il dramma viene messo in scena per la prima volta il 26 dicembre dello stesso anno al Civic Theatre di Chicago e successivamente vince il New York Drama Critics Circle Award.
Dramma di matrice autobiografica Lo zoo di vetro di T. Williams raggiunge il successo nel 1945, trasformando in uno dei propri cavalli di battaglia un tema fino ad allora poco trattato dalla drammaturgia americana: il contrasto tra la realtà e l´illusione, ma soprattutto la consapevolezza che un´esistenza basata su sogni e speranze porta alla frustrazione e alla solitudine.
Lo zoo è un "luogo" in cui prigionia e protezione, condanna e privilegio si sovrappongono. All'interno di uno zoo si è vivi seppur in gabbia. Si è nutriti e trattati con cura. Ma nell'immaginario del drammaturgo statunitense lo zoo si fa di vetro, amplificando così la debolezza e la fragilità che divengono metafore quanto mai attuali dell'uomo contemporaneo.
Lo zoo di vetro, secondo una definizione dello stesso Williams, è "un dramma di memoria", una potente messa in scena dell'atto del ricordare. E' Tom Wingfield, in un interno piccolo borghese, a raccontare le vicende della sua famiglia, segnata irrimediabilmente dall'abbandono del padre. Le figure della sua memoria tornano reali, bloccate in un perenne presente da cui non c'è fuga. ≪Lo zoo di vetro rappresenta "l'inganno dell'immaginario" - scrive il regista Arturo Cirillo, che si riserva in scena la parte di Tom, alter ego dell'autore -. Ho immaginato un luogo abitato da pochi elementi molto concreti ma immersi in una luce non realistica, quasi pittorica, dove la vicenda venga narrata senza divisioni in quadri, in un unico luogo. Come se ci trovassimo all'interno di un album di famiglia troppe volte sfogliato≫.
Una trama estremamente semplice, per un testo che mette a nudo la solitudine di esseri umani incapaci di comprensione e di comunicazione. In primo piano due figure femminili, due donne che anticipano la galleria di ritratti femminili disturbati e disturbanti dell´opera teatrale dello statunitense, vittime, come ne La professione di Shaw, di un mondo maschile duro e feroce. Ma a differenza di Shaw, ne Lo zoo di Williams nessun giudizio morale aleggia sui protagonisti, ma la loro degradazione si svolge lentamente sotto gli occhi del pubblico.
Incantevole il personaggio di Laura - nella personificazione di una splendida Monica Piseddu - fragile come il vetro e diversa dalla maggior parte della gente. Timida, zoppa ma con una fantasia estremamente raffinata, lei continua ad amare il belloccio del liceo, Gym. Che fuori da qualsiasi luogo comune, pur se bello, spavaldo e ambizioso ammira la purezza di Laura. Il loro incontro, dopo anni trascorsi dal periodo scolastico, riesce a far uscir Laura dalla sua gabbia, anche se solo per il tempo di una cena. E come il suo unicorno di vetro, quando nella felicità di un ballo improvvisato, perderà il suo corno, Laura diventerà una ragazza come tutte le altre, fin quando, dalla bocca di Gym non uscirà il nome Betty, la sua futura sposa. I sogni si infrangono e dalla luce si passa alle tenebre, care all'autore. E con la dis-illusione di Laura finiranno anche le speranze della madre - personaggio tragicomico impersonato dalla bravissima Milvia Marigliano. E solo a quel punto, quando Tom perderà qualsiasi motivo per rimanere a casa, abbandonerà famiglia e cinemaper, forse, ricercare la felicità. E senza Tom, l'uomo di casa, lo sfacelo famigliare è assicurato.
gb
TEATRO GOBETTI
LO ZOO DI VETRO
di Tennessee Williams
traduzione Gerardo Guerrieri
con Milvia Marigliano, Monica Piseddu, Arturo Cirillo, Edoardo Ribatto
regia Arturo Cirillo
scene Dario Gessati
costumi Gianluca Falaschi
luci Mario Loprevite
LO ZOO DI VETRO
di Tennessee Williams
traduzione Gerardo Guerrieri
con Milvia Marigliano, Monica Piseddu, Arturo Cirillo, Edoardo Ribatto
regia Arturo Cirillo
scene Dario Gessati
costumi Gianluca Falaschi
luci Mario Loprevite