teatro stabile
Lorenzi dirige Feydeau
Splendido esempio di commedia degli equivoci, L'albergo del libero scambio è uno dei grandi testi del teatro comico scritto da uno dei maggiori autori francesi. Vissuto a cavallo tra Ottocento e Novecento, capace di una scrittura pungente e sfacciata, Georges Feydeau si è distinto per la capacità di mettere a nudo i difetti della società del suo tempo. Dopo aver risollevato le sorti del vaudeville, è diventato uno degli autori più in voga della Belle Époque per la sua vena ironica e pungente, grottesca e caricaturale.
Si racconta che al debutto de L'albergo del libero scambio, nel 1894, le risate del pubblico erano così fragorose da rendere incomprensibili le battute degli attori durante buona parte del II atto. Gioia giustificata in quanto lo spettacolo metteva e mette tutt'ora in scena - e dunque in mostra - la quotidianità ipocrita della borghesia: i loro sotterfugi educati, le loro menzogne condite con affetto. Insomma, L'albergo del libero scambio, racconta dei tentativi di seduzione di un marito insoddisfatto ai danni della moglie dell'amico. "Panni sporchi" che dal tipico salotto borghese, si spostano ben presto nelle stanze e nei corridoi di un albergo.
George Feydeau
La trama testuale
Feydeau è passato alla storia come uno dei più grandi autori della commedia francese; in realtà la sua verve comica è più registica che autorale; più di situazione, che di parola. Per questo motivo Feydeau non va considerato un mero commediografo. Lui è un teatrante nel senso più ampio del termine; un profondo conoscitore del palcoscenico e del macchinario dello spettacolo, e soprattutto un fine orchestratore del ritmo. Il suo teatro è una partitura di tempi comici, fondata su azioni e gesti, entrate e uscite, porte che si aprono e si chiudono, interazione tra persone e oggetti di uso quotidiano come armadi, letti, valigie e vestiti. Comico è innanzitutto l'uomo nella sua fisicità, nella relazione con il suo ambiente e con i suoi simili. La parola, in Feydeau, serve essenzialmente a fornire al pubblico tutte le informazioni necessarie a scatenare l'equivoco e, in parte, ad alimentarlo attraverso il gioco linguistico. L'effetto comico si ottiene però soprattutto attraverso le azioni compiute maldestramente dai personaggi, o che i personaggi avrebbero voluto ma non sono riusciti a compiere.
I personaggi di Feydeau, infatti, mostrano un'estrema difficoltà nel parlare apertamente dei loro vizi e problemi, e sono fondamentalmente incapaci di prendere decisioni; proprio per questo tendono a cacciarsi in situazioni al limite del paradossale e, cercando di uscirne, non fanno che peggiorare la propria condizione. Sono, in un certo senso, esseri inconsapevolmente disperati che falliscono nel tentativo di vivere autenticamente, rivelandosi così, agli occhi dell'osservatore, ridicoli. Qui sta tutta l'attualità del commediografo francese, nel ritrarre con ironia i fantasmi di una borghesia povera di spirito, l'essenza, cioè, di un ambiente protetto in cui si perpetuano le solite idiosincrasie, senza compiere alcuno sforzo per cambiare le cose e il mondo.
Davide Carnevali
La traduzione 1894 | 2015
Affidata a Davide Carnevali, classe 1981, pluripremiato autore italiano e vincitore del 52° Premio Riccione, la traduzione de L'albero del Libero scambio si fa terreno fertile per una nuova riscrittura drammaturgica.
«Quello che ho cercato di fare è stato piuttosto confezionare un nuovo testo che rivestisse le stesse funzioni che l'originale rivestiva un secolo fa. Una riscrittura dovrebbe tenere conto non solo dell'oggetto in sé –l'opera di Feydeau e il suo potenziale teatrale-, ma anche delle premesse culturali che hanno generato quell'opera e le sue implicazioni sociali nel momento in cui Feydeau scrive. In modo da restituire, al pubblico torinese del 2015, un effetto simile a quello che l'opera poteva suscitare nello spettatore parigino del 1896».
Rispetto a un secolo fa, è cambiata la nostra relazione con il linguaggio: dalle scelte lessicali che originano i doppi sensi, ai tabù linguistici che precorrono quelli comportamentali, i motivi per cui ridiamo o ci scandalizziamo non sono più gli stessi, e nel rispetto del lavoro di Feydeau, occorre dunque, per mantenere il carattere avanguardista della scrittura, reinventare un linguaggio che possa risultare nuovo, o per lo meno non comune. Per questo, in questa nuova rilettura, i caratteri di Feydeau hanno qualcosa di beckettiano, a partire proprio dalla spaventosa impossibilità da parte dei personaggi di cambiare la propria condizione. Infatti, come accade in Beckett, quelli non riescono a uscire dallo spazio ristretto della loro condizione esistenziale, e anche quando apparentemente si spostano – dalla casa all'albergo -, non si muovono mai veramente, imprigionati in quella gabbia che è il loro modo di vivere vuoto e ripetitivo.
La regia
Marco Lorenzi, un trent'enne "diversamente abile"
Il linguaggio di Carnevali e la cifra registica di Lorenzi - classe 1983, formatosi alla Scuola del Teatro Stabile di Torino - si fondono alla perfezione con la vitalità del congegno teatrale orchestrato da Feydeau. Smontato e reinventato, il meccanismo drammaturgico, fondato sul vorticoso alternarsi di entrate e uscite, apparizioni, sparizioni e qui pro quo, che si susseguono in un viavai di sorprese continue, con un ritmo velocissimo e puntuale, serve a Lorenzi per mettere lo spettatore di fronte a sé stesso.
«Il mio teatro, afferma Lorenzi, si basa sulla ricerca di qualcosa che mi permetta di rischiare attraverso il lavoro scenico. Non conosco un altro modo più adatto per conoscere le persone e il mondo; e la regia, a sua volta, diventa uno strumento di conoscenza. Il teatro è ricerca di senso. Fare teatro senza ricercare il senso è, in qualche modo, immorale». Bisogna innescare quindi, nuovamente ieri come oggi, la miccia dello scandalo, in anni di messinscena tranquillizzante e letargica. Come presagiva Pasolini non esistono più classi sociali, ma esiste un'unica grande classe: la borghesia. E in questo unico grande ceto una delle caratteristiche fondamentali è l'immobilismo. Questa immobilità di fondo, già presente nella drammaturgia di Feydeau, coi personaggi che compiono peripezie gigantesche per poi tornare sempre al punto di partenza, non è assenza di movimento, ma è l'impossibilità nostra e dei personaggi, dirà Lorenzi, di avere il coraggio di tentare di fare qualcosa che possa cambiare il ridicolo stato di equilibrio in cui tutti si trovano.
Fonti
Davide Carnevali, Feydeau nel teatro pubblico. Note a una riscrittura de L'albero del libero scambio, libretto di sala.
Ilario Godino, La ricerca del senso. Conversazione con Marco Lorenzi, libretto di sala.
Si racconta che al debutto de L'albergo del libero scambio, nel 1894, le risate del pubblico erano così fragorose da rendere incomprensibili le battute degli attori durante buona parte del II atto. Gioia giustificata in quanto lo spettacolo metteva e mette tutt'ora in scena - e dunque in mostra - la quotidianità ipocrita della borghesia: i loro sotterfugi educati, le loro menzogne condite con affetto. Insomma, L'albergo del libero scambio, racconta dei tentativi di seduzione di un marito insoddisfatto ai danni della moglie dell'amico. "Panni sporchi" che dal tipico salotto borghese, si spostano ben presto nelle stanze e nei corridoi di un albergo.
George Feydeau
La trama testuale
Feydeau è passato alla storia come uno dei più grandi autori della commedia francese; in realtà la sua verve comica è più registica che autorale; più di situazione, che di parola. Per questo motivo Feydeau non va considerato un mero commediografo. Lui è un teatrante nel senso più ampio del termine; un profondo conoscitore del palcoscenico e del macchinario dello spettacolo, e soprattutto un fine orchestratore del ritmo. Il suo teatro è una partitura di tempi comici, fondata su azioni e gesti, entrate e uscite, porte che si aprono e si chiudono, interazione tra persone e oggetti di uso quotidiano come armadi, letti, valigie e vestiti. Comico è innanzitutto l'uomo nella sua fisicità, nella relazione con il suo ambiente e con i suoi simili. La parola, in Feydeau, serve essenzialmente a fornire al pubblico tutte le informazioni necessarie a scatenare l'equivoco e, in parte, ad alimentarlo attraverso il gioco linguistico. L'effetto comico si ottiene però soprattutto attraverso le azioni compiute maldestramente dai personaggi, o che i personaggi avrebbero voluto ma non sono riusciti a compiere.
I personaggi di Feydeau, infatti, mostrano un'estrema difficoltà nel parlare apertamente dei loro vizi e problemi, e sono fondamentalmente incapaci di prendere decisioni; proprio per questo tendono a cacciarsi in situazioni al limite del paradossale e, cercando di uscirne, non fanno che peggiorare la propria condizione. Sono, in un certo senso, esseri inconsapevolmente disperati che falliscono nel tentativo di vivere autenticamente, rivelandosi così, agli occhi dell'osservatore, ridicoli. Qui sta tutta l'attualità del commediografo francese, nel ritrarre con ironia i fantasmi di una borghesia povera di spirito, l'essenza, cioè, di un ambiente protetto in cui si perpetuano le solite idiosincrasie, senza compiere alcuno sforzo per cambiare le cose e il mondo.
Davide Carnevali
La traduzione 1894 | 2015
Affidata a Davide Carnevali, classe 1981, pluripremiato autore italiano e vincitore del 52° Premio Riccione, la traduzione de L'albero del Libero scambio si fa terreno fertile per una nuova riscrittura drammaturgica.
«Quello che ho cercato di fare è stato piuttosto confezionare un nuovo testo che rivestisse le stesse funzioni che l'originale rivestiva un secolo fa. Una riscrittura dovrebbe tenere conto non solo dell'oggetto in sé –l'opera di Feydeau e il suo potenziale teatrale-, ma anche delle premesse culturali che hanno generato quell'opera e le sue implicazioni sociali nel momento in cui Feydeau scrive. In modo da restituire, al pubblico torinese del 2015, un effetto simile a quello che l'opera poteva suscitare nello spettatore parigino del 1896».
Rispetto a un secolo fa, è cambiata la nostra relazione con il linguaggio: dalle scelte lessicali che originano i doppi sensi, ai tabù linguistici che precorrono quelli comportamentali, i motivi per cui ridiamo o ci scandalizziamo non sono più gli stessi, e nel rispetto del lavoro di Feydeau, occorre dunque, per mantenere il carattere avanguardista della scrittura, reinventare un linguaggio che possa risultare nuovo, o per lo meno non comune. Per questo, in questa nuova rilettura, i caratteri di Feydeau hanno qualcosa di beckettiano, a partire proprio dalla spaventosa impossibilità da parte dei personaggi di cambiare la propria condizione. Infatti, come accade in Beckett, quelli non riescono a uscire dallo spazio ristretto della loro condizione esistenziale, e anche quando apparentemente si spostano – dalla casa all'albergo -, non si muovono mai veramente, imprigionati in quella gabbia che è il loro modo di vivere vuoto e ripetitivo.
La regia
Marco Lorenzi, un trent'enne "diversamente abile"
Il linguaggio di Carnevali e la cifra registica di Lorenzi - classe 1983, formatosi alla Scuola del Teatro Stabile di Torino - si fondono alla perfezione con la vitalità del congegno teatrale orchestrato da Feydeau. Smontato e reinventato, il meccanismo drammaturgico, fondato sul vorticoso alternarsi di entrate e uscite, apparizioni, sparizioni e qui pro quo, che si susseguono in un viavai di sorprese continue, con un ritmo velocissimo e puntuale, serve a Lorenzi per mettere lo spettatore di fronte a sé stesso.
«Il mio teatro, afferma Lorenzi, si basa sulla ricerca di qualcosa che mi permetta di rischiare attraverso il lavoro scenico. Non conosco un altro modo più adatto per conoscere le persone e il mondo; e la regia, a sua volta, diventa uno strumento di conoscenza. Il teatro è ricerca di senso. Fare teatro senza ricercare il senso è, in qualche modo, immorale». Bisogna innescare quindi, nuovamente ieri come oggi, la miccia dello scandalo, in anni di messinscena tranquillizzante e letargica. Come presagiva Pasolini non esistono più classi sociali, ma esiste un'unica grande classe: la borghesia. E in questo unico grande ceto una delle caratteristiche fondamentali è l'immobilismo. Questa immobilità di fondo, già presente nella drammaturgia di Feydeau, coi personaggi che compiono peripezie gigantesche per poi tornare sempre al punto di partenza, non è assenza di movimento, ma è l'impossibilità nostra e dei personaggi, dirà Lorenzi, di avere il coraggio di tentare di fare qualcosa che possa cambiare il ridicolo stato di equilibrio in cui tutti si trovano.
Fonti
Davide Carnevali, Feydeau nel teatro pubblico. Note a una riscrittura de L'albero del libero scambio, libretto di sala.
Ilario Godino, La ricerca del senso. Conversazione con Marco Lorenzi, libretto di sala.
gb
TEATRO GOBETTI
L'ALBERGO DEL LIBERO SCAMBIO
di Georges Feydeau
regia Marco Lorenzi
produzione Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale
L'ALBERGO DEL LIBERO SCAMBIO
di Georges Feydeau
regia Marco Lorenzi
produzione Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale