Il Teatro danza si fonde con la scultura
All'areapergolesi sanpapiè e albertario
All'interno della stagione teatrale 2011-2012 Il Contagio, l'Areapergolesi ospita la rassegna d’Art-e-Teatro,VOGLIAMO VIVERE! Punto di Fusione, con lo scopo di unire insieme più discipline, unire insomma il teatro alle altre arti.
Dal 9 al 12 febbraio negli spazi di via pergolesi 8 I Sanpapiè - Lara Guidetti e Francesco Pacelli – mettono in scena il confronto con la scultrice Marica Albertario, ripensando Modelli tagliati in carne – performance site specific proposta per la prima volta al Padiglione d'arte contemporanea di Milano nel giugno del 2009 –, cercando quel compromesso che l'unione di due discipline, la danza e la scultura, comporta per la creazione del punto di fusione auspicato dalla rassegna.
Sebbene il pubblico si aspettasse probabilmente una situazione in cui i performer avrebbero avuto il loro spazio riservato alla danza e la scultrice il suo per modellare, ed in cui al massimo si trattavano le stesse tematiche, probabilmente sarà rimasto deluso nel vedersi palesare una situazione diversa. Perchè se di fusione di arti si parla, si deve necessariamente pensare a quel punto dove le arti si fondono e si con-fondono, nel punto esatto in cui i limiti diventano meno marcati. Ed è li che sta il vero lavoro di unione. Per questo la scultrice Marica Albertario, nel presentarsi come un deus ex machina, diviene l'artista presentato come metafora della sua arte. Lei, inglobata in una sua scultura di tessuti, rappresenta la scultura stessa, è divenuta scultura lei stessa, ferma e immobile – Strega o Fortuna, Natura matrigna o divinità voyerista - a tessere le fila di una umanità corrotta, incapace di perdonarsi e di perdonare. La scultura come l'apollineo, in alto, la danza, il dionisiaco, in basso. È sempre lei, l'artista/scultura/Ente-trascendente che darà dignità di esseri umani a quelle creature, lanciando loro gli abiti – tessuti - che ne faranno simbolicamente delle persone.
Come un destino ironico, o un Demiurgo poco perfetto, questa figura nera interagisce con le stesse creature partorite, “modellate”, da lei stessa. È sempre lei che concede e prende, confonde. E infatti i corpi presentati dai ballerini sono corpi nudi, disumani, umiliati, neofiti della religione della società moderna. Con i vestiti divengono prodotti sociali: corpi che si attraggano e si ripudiano, corpi che se pur si amalgamano perfettamente l'uno con l'altro non riescono ad amarsi, si odiano. Sono vittime delle loro incapacità, e queste diventano frustrazioni, rancori pieni di rabbia repressa. E il corpo soffre, si consuma fra cadute e capriole, fra rialzi e sgambetti, fra passi a due e folli assoli.
In una coreografia - che ricorda la più ambiziosa Frère et soeur di Mathilde Monnier - in cui l'energia è istinto di sopravvivenza e il corpo un'arma, la fisicità di Pacelli, quell'energia maschia e istintiva, quel contorcersi di muscoli e carne, quel capitolare su se stesso con fare insensato o nevrotico isterico, si sposa perfettamente con l'aggressività tutta femminile della Guidetti fatta di movimenti più calcolati, moine orchestrate, furbizie mirate, giochi di potere fondati sul sesso e quello sguardo fisso, terribile e freddo.
Questi corpi combattono la guerra della quotidianità in continuo conflitto fra eros e thenathos e si vede. Tutt'e due i ballerini hanno rossori evidenti, e la ricerca visiva del dolore o del disagio interno ai “personaggi” è sempre un pugno allo stomaco quando si parla di Sanpapiè. Sempre attenti a far “soffrire” empaticamente il pubblico, regalano sempre spunti di riflessioni e forti autocritiche.
Dal 9 al 12 febbraio negli spazi di via pergolesi 8 I Sanpapiè - Lara Guidetti e Francesco Pacelli – mettono in scena il confronto con la scultrice Marica Albertario, ripensando Modelli tagliati in carne – performance site specific proposta per la prima volta al Padiglione d'arte contemporanea di Milano nel giugno del 2009 –, cercando quel compromesso che l'unione di due discipline, la danza e la scultura, comporta per la creazione del punto di fusione auspicato dalla rassegna.
Sebbene il pubblico si aspettasse probabilmente una situazione in cui i performer avrebbero avuto il loro spazio riservato alla danza e la scultrice il suo per modellare, ed in cui al massimo si trattavano le stesse tematiche, probabilmente sarà rimasto deluso nel vedersi palesare una situazione diversa. Perchè se di fusione di arti si parla, si deve necessariamente pensare a quel punto dove le arti si fondono e si con-fondono, nel punto esatto in cui i limiti diventano meno marcati. Ed è li che sta il vero lavoro di unione. Per questo la scultrice Marica Albertario, nel presentarsi come un deus ex machina, diviene l'artista presentato come metafora della sua arte. Lei, inglobata in una sua scultura di tessuti, rappresenta la scultura stessa, è divenuta scultura lei stessa, ferma e immobile – Strega o Fortuna, Natura matrigna o divinità voyerista - a tessere le fila di una umanità corrotta, incapace di perdonarsi e di perdonare. La scultura come l'apollineo, in alto, la danza, il dionisiaco, in basso. È sempre lei, l'artista/scultura/Ente-trascendente che darà dignità di esseri umani a quelle creature, lanciando loro gli abiti – tessuti - che ne faranno simbolicamente delle persone.
Come un destino ironico, o un Demiurgo poco perfetto, questa figura nera interagisce con le stesse creature partorite, “modellate”, da lei stessa. È sempre lei che concede e prende, confonde. E infatti i corpi presentati dai ballerini sono corpi nudi, disumani, umiliati, neofiti della religione della società moderna. Con i vestiti divengono prodotti sociali: corpi che si attraggano e si ripudiano, corpi che se pur si amalgamano perfettamente l'uno con l'altro non riescono ad amarsi, si odiano. Sono vittime delle loro incapacità, e queste diventano frustrazioni, rancori pieni di rabbia repressa. E il corpo soffre, si consuma fra cadute e capriole, fra rialzi e sgambetti, fra passi a due e folli assoli.
In una coreografia - che ricorda la più ambiziosa Frère et soeur di Mathilde Monnier - in cui l'energia è istinto di sopravvivenza e il corpo un'arma, la fisicità di Pacelli, quell'energia maschia e istintiva, quel contorcersi di muscoli e carne, quel capitolare su se stesso con fare insensato o nevrotico isterico, si sposa perfettamente con l'aggressività tutta femminile della Guidetti fatta di movimenti più calcolati, moine orchestrate, furbizie mirate, giochi di potere fondati sul sesso e quello sguardo fisso, terribile e freddo.
Questi corpi combattono la guerra della quotidianità in continuo conflitto fra eros e thenathos e si vede. Tutt'e due i ballerini hanno rossori evidenti, e la ricerca visiva del dolore o del disagio interno ai “personaggi” è sempre un pugno allo stomaco quando si parla di Sanpapiè. Sempre attenti a far “soffrire” empaticamente il pubblico, regalano sempre spunti di riflessioni e forti autocritiche.
gb
AREAPERGOLESI
Sanpapiè - Marica Albertario
Modelli tagliati in carne
www.sanpapie.com
www.maricaalbertario.com
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