A che punto dell'evoluzione siamo?
Scopriamolo con Raphael Bianco
Presentato nell'affascinante cornice della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, il nuovo lavoro di Raphael Bianco. Con Memorie di pietra, evoluzione di un lavoro precedente, il pubblico sarà coinvolto in una performance interattiva in grado di fa suonare anche le pietre. L'11 e il 12 maggio l'Homo non è tanto Sapiens..
Come sempre per il coreografo partire dal corpo significa partire per un viaggio che dall'esterno conduce dentro, all'interno dell'essenza di questo corpo. Insieme di carne e muscoli che ci accomuna agli animali ma che in più racchiude il senso della trascendenza. Spiritualità che ci eleva al disopra degli animali ma che fino ad adesso ha provocato più domande che risposte. In una continua ricerca verso un progresso positivo, il problema, la questione fondamentale, ieri come oggi, è: a che punto dell'evoluzione siamo? e a quali parametri risponde questa categoria? Tecnologici? Chimici? Farmaceutici? Forse che correndo troppo abbiamo perso di vista la meta? Scopriamolo con Raphael Bianco, danzatore e coreografo dalla sensibilità combattuta in bilico sempre fra immanenza e trascendenza.
D. Commissionato originariamente dal Festival Torinodanza nell'edizione del 2005, Silenzio di Pietra si fa Memorie di Pietra. Quali le implicazioni concettuali e cosa differisce il primo dal secondo?
R. Come prima differenza direi che i due eventi si distinguono principalmente per una sostanziale diversità nell'uso del corpo e nella ricerca gestuale. Quando fu commissionato da TorinoDanza "Silenzio di pietra" verteva soprattutto su ciò che rimaneva della civiltà, e delle passate civiltà. La pietra era vista come testimone privilegiato dell'alternarsi di civiltà che nella pietra prima di tutto hanno impresso il loro marchio dalle origini ai giorni nostri. Era uno spettacolo teatrale con un video, le sculture di Pinuccio Sciola erano in scena e Pietro Pirelli suonava in palcoscenico in una sua postazione fissa. C'era un video dove scorrevano immagini di pietra grezza o di monumenti antichi o moderni. La musica era strutturata, composta e legata alla danza da misure predefinite. Il pubblico era in platea. Quando la Fondazione Sandretto ha deciso che voleva ospitare un mio nuovo lavoro ho proposto "Memorie di Pietra" poiché era rimasta in me l'idea che il pubblico avrebbe dovuto sperimentare più da vicino le sculture di Sciola. Ne è derivato un progetto che prevedeva l'interazione con le sculture e il musicista, e soprattutto l'idea fondante non erano più le "civiltà umane" impresse nella pietra, ma l'uomo e l'evoluzione della specie di cui le pietre sono state testimoni impregnandosi della vita e dell'esperienze umane. Il nuovo allestimento spazialmente è differente poiché non ha un unico fronte, e propone un rapporto assolutamente aleatorio con la musica/suono che non è per nulla strutturata ma propone essenzialmente delle suggestioni riferite agli elementi naturali (es. acqua aria terra e fuoco) o all'esistenza (respiro, morte).
D. Fra arte, storia e antropologia, l'importanza della mostra Homo Sapiens per la concezione coreografica.
R. Non riflettevo sull'evoluzione sin dai tempi del liceo, la mostra "Homo sapiens" ha risvegliato in me alcune questioni cruciali: la compresenza di specie "Homo", la non progressione continua dell'evoluzione ed inoltre la fatica della sopravvivenza, le estinzioni più volte rischiate e lo sforzo evolutivo che per noi è impercettibile ma che è di grandissimo fascino. Proprio dopo la mostra ho deciso di svolgere la perfomance a 360° in modo che si percepisse il percorso di ogni singolo individuo e la sua discontinuità (quasi come un "gioco dell'oca"), la compresenza di più livelli evolutivi in alcuni casi il contatto fra loro, e soprattutto le ragioni della trasformazione del corpo e della postura dovute a sollecitazioni esterne o a più o meno lente trasformazioni dovute alla condizione psicofisica dell'individuo.
D. Molti dei tuoi lavori hanno una forte carica esistenziale. Il corpo si fa metafora della condizione umana e in Memorie di Pietra l'evoluzione, il tendere verso, il divenire sono al centro della performance, e per gran parte di essa la "postura eretta" - quella che fa di un animale un uomo - tarda ad arrivare, mostrando un corpo sempre curvo e ripiegato su sé stesso. Siamo ancora dei primati con la differenza di essere bene vestiti e addomesticati? Insomma un'evoluzione umana concreta c'è stata?
R. La postura eretta, conclude la perfomance e sui 55 minuti di durata dell'evento ne occupa 20. I restanti 35 sono un lento discontinuo percorso di sovrapposizioni fra livelli "evolutivi" differenti. Io non sono un antropologo, un paleontologo, non posso certamente pontificare sull'evoluzione, ma personalmente credo che siamo ancora schiavi della tecnologia, tanto quanto i nostri antenati. Penso che dall'invenzione della ruota, o la scoperta del fuoco, siamo legati ad elementi che ci "servono". Oggi abbiamo PC, telefono, auricolari, automobili. Abbiamo un progresso tecnologico spaventoso. Ma la nostra mente? Abbiamo realmente progredito spiritualmente, siamo riusciti a spiegare cosa siamo, da dove veniamo e dove andiamo? Oggi come migliaia di anni fa ci scontriamo ancora con gli stessi quesiti, magari viviamo più comodamente, impigrendo il nostro corpo e sempre più legati ad elementi esterni, magari ci siamo riuniti in comunità con una propria morale che regolamenta e contiene l'istinto, ma siamo, credo, ancora in attesa di un ulteriore stadio evolutivo dove potremo agire e comprendere differentemente da oggi e da allora. Nella mia perfomance vi sono de punti uno all'inizio ed uno alla fine in cui si celebra la morte. Che sia un livello evolutivo arcaico o sia la nostra verticalità, la morte pone le stesse domande e quindi gli stessi molteplici comportamenti senza però al momento ottenere risposte. L'evoluzione non è sempre proiettata al progresso ma ha momenti di arresto e regressione come in alcuni momenti della perfomance, in cui alcuni danzatori rimango arenati in uno spazio circoscritto molto a lungo o ripropongono temi di movimento legati a stadi evolutivi precedenti..
D. La danza: il corpo che scopre sé stesso, gioca e scopre il movimento, intuisce le potenzialità e vuole andare oltre i propri limiti. Un corpo che striscia larvale a terra e che per istinto tende verso l'alto. Torna sempre questo perenne dissidio fra immanente e trascendente, quale lavoro con i danzatori?
R. Il lavoro coi danzatori è stato entusiasmante, poiché per la prima volta non ho dato situazioni umane su cui ricercare ma solo una ricerca sul corpo assoggettato a livelli differenti (sdraiato a terra, basso, medio alto, verticale, ultraverticale). Ne sono scaturite improvvisazioni guidate e mirate a trovare per ogni "stadio evolutivo" una caratteristica non solo nei livelli ma anche nel vocabolario gestuale. Parallelamente ho riflettuto coi danzatori su ciò che trasversalmente caratterizzava l'umanità in tutte sue ere, capire quali le questioni più cruciali, quali i bisogni e le scoperte. Pertanto abbiamo poi abbinato ad ognuno dei blocchi coreografici un significato, sussurrandolo, non evidenziandolo troppo. Certamente con la posizione eretta abbiamo cercato di valorizzare lo sguardo e quindi la "coscienza" fino quasi a trasfigurarlo, e soprattutto a dare una gestualità unica ad ogni singolo da condividere con altri, per suggerire la nascita della parola, del dialogo della comunità: cosciente e pensante e che si autoregola. C'è un grande lavoro di strutturazione ma anche un grande lavoro sull'aleatorietà, molte azioni avvengono per caso, poiché non esiste una musica su cui danzare ma solo dei riferimenti su azioni altrui. Specialmente nell'ultima sezione sui rapporti umani. Le soluzioni e gli intrecci fra i vari danzatori sono ogni volta differenti, per non sclerotizzare l'evento pur mantenendone il vocabolario, che ogni volta viene utilizzato differentemente. L'immanenza e la trascendenza sono sempre state presenti e sono quindi due delle questioni trasversali cruciali su cui si sono dibattute tutte le comunità umane nel loro cammino, non è quindi un percorso all'elevazione ma un divenire incessante di situazioni simili far loro nell'essenza, ma differenti nella loro condizione spazio temporale.
D. Le pietre sonore di Sciola e la partecipazione del pubblico.
R. Le pietre di Sciola sono sculture affascinanti, poiché mute, come le montagne rivelano però un'anima sonora. L'idea di poter abbinare ai suoni racchiusi nelle pietre, memorie di altri tempi mi sembrava interessante: perché la pietra, o la sabbia trattengono e fossilizzano in sé la vita e le esperienze. Le pietre di Sciola sono opere sorprendenti su cui il pubblico si incanta con una curiosità quasi infantile, ho voluto quindi avvicinarle al pubblico e che gli spettatori potessero evocare le memorie arcaiche della pietra con le loro mani, partecipando in modo più coinvolgente alla perfomance, come se oltre ai suoni evocassero anche la danza che quei suoni incarna.
D. Cosa salvare di questa memoria che si fa patrimonio collettivo e quale speranza racchiude l'uscita di scena dei due ballerini verso l'orizzonte o l'ignoto?
R. Della memoria e del patrimonio collettivo salverei le conquiste etiche e sul valore del singolo individuo e la capacità di ricordare ciò che la storia ci insegna nel bene e nel male. Nella perfomance in realtà due danzatori prendono un percorso nuovo fuori dalla scena ma altri rimangono sdraiati, come all'inizio dell'evento: forse per iniziare nuovamente un nuovo percorso con nuovi esiti, mancando due elementi che ne hanno iniziato uno differente altrove. La speranza è quella di evolvere alleggeriti degli strumenti che oggi ci circondano e di cui siamo "schiavi", sviluppando nella mente capacità nuove, di indagine e azione salvaguardando però sempre l'incanto un po' infantile, l'elevazione dello spirito e la curiosità verso l'ignoto.
Come sempre per il coreografo partire dal corpo significa partire per un viaggio che dall'esterno conduce dentro, all'interno dell'essenza di questo corpo. Insieme di carne e muscoli che ci accomuna agli animali ma che in più racchiude il senso della trascendenza. Spiritualità che ci eleva al disopra degli animali ma che fino ad adesso ha provocato più domande che risposte. In una continua ricerca verso un progresso positivo, il problema, la questione fondamentale, ieri come oggi, è: a che punto dell'evoluzione siamo? e a quali parametri risponde questa categoria? Tecnologici? Chimici? Farmaceutici? Forse che correndo troppo abbiamo perso di vista la meta? Scopriamolo con Raphael Bianco, danzatore e coreografo dalla sensibilità combattuta in bilico sempre fra immanenza e trascendenza.
D. Commissionato originariamente dal Festival Torinodanza nell'edizione del 2005, Silenzio di Pietra si fa Memorie di Pietra. Quali le implicazioni concettuali e cosa differisce il primo dal secondo?
R. Come prima differenza direi che i due eventi si distinguono principalmente per una sostanziale diversità nell'uso del corpo e nella ricerca gestuale. Quando fu commissionato da TorinoDanza "Silenzio di pietra" verteva soprattutto su ciò che rimaneva della civiltà, e delle passate civiltà. La pietra era vista come testimone privilegiato dell'alternarsi di civiltà che nella pietra prima di tutto hanno impresso il loro marchio dalle origini ai giorni nostri. Era uno spettacolo teatrale con un video, le sculture di Pinuccio Sciola erano in scena e Pietro Pirelli suonava in palcoscenico in una sua postazione fissa. C'era un video dove scorrevano immagini di pietra grezza o di monumenti antichi o moderni. La musica era strutturata, composta e legata alla danza da misure predefinite. Il pubblico era in platea. Quando la Fondazione Sandretto ha deciso che voleva ospitare un mio nuovo lavoro ho proposto "Memorie di Pietra" poiché era rimasta in me l'idea che il pubblico avrebbe dovuto sperimentare più da vicino le sculture di Sciola. Ne è derivato un progetto che prevedeva l'interazione con le sculture e il musicista, e soprattutto l'idea fondante non erano più le "civiltà umane" impresse nella pietra, ma l'uomo e l'evoluzione della specie di cui le pietre sono state testimoni impregnandosi della vita e dell'esperienze umane. Il nuovo allestimento spazialmente è differente poiché non ha un unico fronte, e propone un rapporto assolutamente aleatorio con la musica/suono che non è per nulla strutturata ma propone essenzialmente delle suggestioni riferite agli elementi naturali (es. acqua aria terra e fuoco) o all'esistenza (respiro, morte).
D. Fra arte, storia e antropologia, l'importanza della mostra Homo Sapiens per la concezione coreografica.
R. Non riflettevo sull'evoluzione sin dai tempi del liceo, la mostra "Homo sapiens" ha risvegliato in me alcune questioni cruciali: la compresenza di specie "Homo", la non progressione continua dell'evoluzione ed inoltre la fatica della sopravvivenza, le estinzioni più volte rischiate e lo sforzo evolutivo che per noi è impercettibile ma che è di grandissimo fascino. Proprio dopo la mostra ho deciso di svolgere la perfomance a 360° in modo che si percepisse il percorso di ogni singolo individuo e la sua discontinuità (quasi come un "gioco dell'oca"), la compresenza di più livelli evolutivi in alcuni casi il contatto fra loro, e soprattutto le ragioni della trasformazione del corpo e della postura dovute a sollecitazioni esterne o a più o meno lente trasformazioni dovute alla condizione psicofisica dell'individuo.
D. Molti dei tuoi lavori hanno una forte carica esistenziale. Il corpo si fa metafora della condizione umana e in Memorie di Pietra l'evoluzione, il tendere verso, il divenire sono al centro della performance, e per gran parte di essa la "postura eretta" - quella che fa di un animale un uomo - tarda ad arrivare, mostrando un corpo sempre curvo e ripiegato su sé stesso. Siamo ancora dei primati con la differenza di essere bene vestiti e addomesticati? Insomma un'evoluzione umana concreta c'è stata?
R. La postura eretta, conclude la perfomance e sui 55 minuti di durata dell'evento ne occupa 20. I restanti 35 sono un lento discontinuo percorso di sovrapposizioni fra livelli "evolutivi" differenti. Io non sono un antropologo, un paleontologo, non posso certamente pontificare sull'evoluzione, ma personalmente credo che siamo ancora schiavi della tecnologia, tanto quanto i nostri antenati. Penso che dall'invenzione della ruota, o la scoperta del fuoco, siamo legati ad elementi che ci "servono". Oggi abbiamo PC, telefono, auricolari, automobili. Abbiamo un progresso tecnologico spaventoso. Ma la nostra mente? Abbiamo realmente progredito spiritualmente, siamo riusciti a spiegare cosa siamo, da dove veniamo e dove andiamo? Oggi come migliaia di anni fa ci scontriamo ancora con gli stessi quesiti, magari viviamo più comodamente, impigrendo il nostro corpo e sempre più legati ad elementi esterni, magari ci siamo riuniti in comunità con una propria morale che regolamenta e contiene l'istinto, ma siamo, credo, ancora in attesa di un ulteriore stadio evolutivo dove potremo agire e comprendere differentemente da oggi e da allora. Nella mia perfomance vi sono de punti uno all'inizio ed uno alla fine in cui si celebra la morte. Che sia un livello evolutivo arcaico o sia la nostra verticalità, la morte pone le stesse domande e quindi gli stessi molteplici comportamenti senza però al momento ottenere risposte. L'evoluzione non è sempre proiettata al progresso ma ha momenti di arresto e regressione come in alcuni momenti della perfomance, in cui alcuni danzatori rimango arenati in uno spazio circoscritto molto a lungo o ripropongono temi di movimento legati a stadi evolutivi precedenti..
D. La danza: il corpo che scopre sé stesso, gioca e scopre il movimento, intuisce le potenzialità e vuole andare oltre i propri limiti. Un corpo che striscia larvale a terra e che per istinto tende verso l'alto. Torna sempre questo perenne dissidio fra immanente e trascendente, quale lavoro con i danzatori?
R. Il lavoro coi danzatori è stato entusiasmante, poiché per la prima volta non ho dato situazioni umane su cui ricercare ma solo una ricerca sul corpo assoggettato a livelli differenti (sdraiato a terra, basso, medio alto, verticale, ultraverticale). Ne sono scaturite improvvisazioni guidate e mirate a trovare per ogni "stadio evolutivo" una caratteristica non solo nei livelli ma anche nel vocabolario gestuale. Parallelamente ho riflettuto coi danzatori su ciò che trasversalmente caratterizzava l'umanità in tutte sue ere, capire quali le questioni più cruciali, quali i bisogni e le scoperte. Pertanto abbiamo poi abbinato ad ognuno dei blocchi coreografici un significato, sussurrandolo, non evidenziandolo troppo. Certamente con la posizione eretta abbiamo cercato di valorizzare lo sguardo e quindi la "coscienza" fino quasi a trasfigurarlo, e soprattutto a dare una gestualità unica ad ogni singolo da condividere con altri, per suggerire la nascita della parola, del dialogo della comunità: cosciente e pensante e che si autoregola. C'è un grande lavoro di strutturazione ma anche un grande lavoro sull'aleatorietà, molte azioni avvengono per caso, poiché non esiste una musica su cui danzare ma solo dei riferimenti su azioni altrui. Specialmente nell'ultima sezione sui rapporti umani. Le soluzioni e gli intrecci fra i vari danzatori sono ogni volta differenti, per non sclerotizzare l'evento pur mantenendone il vocabolario, che ogni volta viene utilizzato differentemente. L'immanenza e la trascendenza sono sempre state presenti e sono quindi due delle questioni trasversali cruciali su cui si sono dibattute tutte le comunità umane nel loro cammino, non è quindi un percorso all'elevazione ma un divenire incessante di situazioni simili far loro nell'essenza, ma differenti nella loro condizione spazio temporale.
D. Le pietre sonore di Sciola e la partecipazione del pubblico.
R. Le pietre di Sciola sono sculture affascinanti, poiché mute, come le montagne rivelano però un'anima sonora. L'idea di poter abbinare ai suoni racchiusi nelle pietre, memorie di altri tempi mi sembrava interessante: perché la pietra, o la sabbia trattengono e fossilizzano in sé la vita e le esperienze. Le pietre di Sciola sono opere sorprendenti su cui il pubblico si incanta con una curiosità quasi infantile, ho voluto quindi avvicinarle al pubblico e che gli spettatori potessero evocare le memorie arcaiche della pietra con le loro mani, partecipando in modo più coinvolgente alla perfomance, come se oltre ai suoni evocassero anche la danza che quei suoni incarna.
D. Cosa salvare di questa memoria che si fa patrimonio collettivo e quale speranza racchiude l'uscita di scena dei due ballerini verso l'orizzonte o l'ignoto?
R. Della memoria e del patrimonio collettivo salverei le conquiste etiche e sul valore del singolo individuo e la capacità di ricordare ciò che la storia ci insegna nel bene e nel male. Nella perfomance in realtà due danzatori prendono un percorso nuovo fuori dalla scena ma altri rimangono sdraiati, come all'inizio dell'evento: forse per iniziare nuovamente un nuovo percorso con nuovi esiti, mancando due elementi che ne hanno iniziato uno differente altrove. La speranza è quella di evolvere alleggeriti degli strumenti che oggi ci circondano e di cui siamo "schiavi", sviluppando nella mente capacità nuove, di indagine e azione salvaguardando però sempre l'incanto un po' infantile, l'elevazione dello spirito e la curiosità verso l'ignoto.
Gb
Fondazione Sandretto Re Rebaudengo
Silenzio di Pietra/Memorie di Pietra
www.egridanza.com
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