teatro Gobetti
Uomini dalle Sante imprese
Dopo aver affrontato le biografie e la Storia del Teatrogiornale di Roberto Cavosi. Dopo le sette meditazioni intorno a Giorgione, Laura Curino e Anagoor uniscono per la terza volta i loro talenti. Al Gobetti, con Santa Impresa, si narra l'intelligenza e lo spirito di uomini straordinari. "Santi sociali", che a Torino, in un'Italia appena nata, furono esempio di compassione, cristianesimo, umanità prendendosi cura dei bisogni, dei dolori e delle ferite del popolo e soprattutto dei suoi giovani.
Con Santa Impresa si è catapultati in una Torino ottocentesca, imprevedibile e inimmaginata. Lontana dalla descrizione patriottica e gloriosa della capitale del Risorgimento italiano. Invasa da nuove idee ma arretrata culturalmente, nella città sabauda sono carestie e pestilenze ed esilii a regnare e non la rivoluzione industriale che matura in Europa. Palcoscenico dello scontro tra Stato e Chiesa, Torino appare, ancora, contraddittoriamente superstiziosa, anticlericale e insieme animata da una fede genuina, semplice. Stato e società civile - diversamente da quanto altrove avveniva da tempo - si mostravano immaturi ed impreparati ad affrontare le sfide della trasformazione.
Aspro fu lo scontro tra il nascente Stato italiano e la Chiesa romana. L'anticlericalismo che si esprimeva attraverso la voce di vari giornali, sposato a fine secolo col pensiero socialista, toccava solo in minima parte le abitudini della popolazione sulle pratiche religiose. Avversati dai Savoia i Santi sociali, ebbero, però, l'appoggio popolare, compreso quello non ufficiale di amministratori e politici. Iniziava a nascere, così, una separazione tra Chiesa e pensiero borghese e anti-borghese.
È in questo affascinante intreccio fra spirito e scienza, fra fabbrica e studio, sopruso e giustizia, oscurantismo e libera circolazione delle idee che si alimentano alcune delle imprese di "bene" più intense ed interessanti della nostra storia. Vere o romanzate che siano, contaminate o meno dal potere poetico della memoria, le loro storie attestano l'umore di un secolo visionario e il senso romantico della sproporzione tra il singolo e la vocazione alla missione.
Uomini e donne che hanno scelto i poveri e per loro si sono impegnati in imprese che hanno lasciato un segno nelle loro vite e nella città: convitti per i giovani, ospedali per i malati, scuole e cortili per i ragazzi. Nell'arco di pochi decenni, lavorando indipendentemente ma a strettissimo contatto, ispirandosi a vicenda, emulandosi e gareggiando, ciascuno di quegli uomini e di quelle donne hanno colmato un vuoto civile guadagnandosi il nome di Santi Sociali. Loro sono Giuseppe Cafasso, Giuseppe Benedetto Cottolengo, Giulia di Barolo, Giovanni Bosco, Leonardo Murialdo, Francesco Faà di Bruno.
Lei, Laura Curino - fetta di storia del teatro di ricerca torinese con l'esperienza, insieme a Gabriele Vacis, del Laboratorio Teatro Settimo - da sola sul parco a dare voce alla cocciutaggine di vite che trovano senso, solo nella devozione per gli altri. Immersa nelle scene di Anagor, nella semplicità del nero e del bianco e in una simmetria spaziale dalla sensibilità fotografica, inizia la sua ri-creazione di atti, parole, caparbietà, speranza, fiducia, fede. Sette giorni che echeggiano i sette giorni del Genesi biblico imitandone struttura, simmetrie, temi.
Proposta di una visione dell'opera divina come aperta, Santa Impresa racconta una realtà in divenire dove l'uomo, creato ad immagine della divinità ma non perfetto, è invitato anche ad inseguirne la somiglianza. Un procedere ritmico - non sempre fluido - anti agiografico, non perfettamente cronologico: sette giornate che tentano di mettere a fuoco il compiersi non sistematico ma irruento, e talvolta confuso dell'opera, prima ancora che la cronistoria lineare delle vite.
Con Santa Impresa si è catapultati in una Torino ottocentesca, imprevedibile e inimmaginata. Lontana dalla descrizione patriottica e gloriosa della capitale del Risorgimento italiano. Invasa da nuove idee ma arretrata culturalmente, nella città sabauda sono carestie e pestilenze ed esilii a regnare e non la rivoluzione industriale che matura in Europa. Palcoscenico dello scontro tra Stato e Chiesa, Torino appare, ancora, contraddittoriamente superstiziosa, anticlericale e insieme animata da una fede genuina, semplice. Stato e società civile - diversamente da quanto altrove avveniva da tempo - si mostravano immaturi ed impreparati ad affrontare le sfide della trasformazione.
Aspro fu lo scontro tra il nascente Stato italiano e la Chiesa romana. L'anticlericalismo che si esprimeva attraverso la voce di vari giornali, sposato a fine secolo col pensiero socialista, toccava solo in minima parte le abitudini della popolazione sulle pratiche religiose. Avversati dai Savoia i Santi sociali, ebbero, però, l'appoggio popolare, compreso quello non ufficiale di amministratori e politici. Iniziava a nascere, così, una separazione tra Chiesa e pensiero borghese e anti-borghese.
È in questo affascinante intreccio fra spirito e scienza, fra fabbrica e studio, sopruso e giustizia, oscurantismo e libera circolazione delle idee che si alimentano alcune delle imprese di "bene" più intense ed interessanti della nostra storia. Vere o romanzate che siano, contaminate o meno dal potere poetico della memoria, le loro storie attestano l'umore di un secolo visionario e il senso romantico della sproporzione tra il singolo e la vocazione alla missione.
Uomini e donne che hanno scelto i poveri e per loro si sono impegnati in imprese che hanno lasciato un segno nelle loro vite e nella città: convitti per i giovani, ospedali per i malati, scuole e cortili per i ragazzi. Nell'arco di pochi decenni, lavorando indipendentemente ma a strettissimo contatto, ispirandosi a vicenda, emulandosi e gareggiando, ciascuno di quegli uomini e di quelle donne hanno colmato un vuoto civile guadagnandosi il nome di Santi Sociali. Loro sono Giuseppe Cafasso, Giuseppe Benedetto Cottolengo, Giulia di Barolo, Giovanni Bosco, Leonardo Murialdo, Francesco Faà di Bruno.
Lei, Laura Curino - fetta di storia del teatro di ricerca torinese con l'esperienza, insieme a Gabriele Vacis, del Laboratorio Teatro Settimo - da sola sul parco a dare voce alla cocciutaggine di vite che trovano senso, solo nella devozione per gli altri. Immersa nelle scene di Anagor, nella semplicità del nero e del bianco e in una simmetria spaziale dalla sensibilità fotografica, inizia la sua ri-creazione di atti, parole, caparbietà, speranza, fiducia, fede. Sette giorni che echeggiano i sette giorni del Genesi biblico imitandone struttura, simmetrie, temi.
Proposta di una visione dell'opera divina come aperta, Santa Impresa racconta una realtà in divenire dove l'uomo, creato ad immagine della divinità ma non perfetto, è invitato anche ad inseguirne la somiglianza. Un procedere ritmico - non sempre fluido - anti agiografico, non perfettamente cronologico: sette giornate che tentano di mettere a fuoco il compiersi non sistematico ma irruento, e talvolta confuso dell'opera, prima ancora che la cronistoria lineare delle vite.
gb
TEATRO GOBETTI
SANTA IMPRESA
di Laura Curino e Anagoor
con Laura Curino
regia Simone Derai
progetto scenico Anagoor
luci Lucio Diana
musiche Mauro Martinuz
ideazione video Anagoor e Giulio Favotto
ideazione e realizzazione costumi Federica De Bona e Silvia Bragagnolo
progetto drammaturgico Laura Curino e Simone Derai
assistente alla regia Marco Menegoni
assistente alla drammaturgia Beatrice Marzorati
Fondazione del Teatro Stabile di Torino
www.anagoor.com
SANTA IMPRESA
di Laura Curino e Anagoor
con Laura Curino
regia Simone Derai
progetto scenico Anagoor
luci Lucio Diana
musiche Mauro Martinuz
ideazione video Anagoor e Giulio Favotto
ideazione e realizzazione costumi Federica De Bona e Silvia Bragagnolo
progetto drammaturgico Laura Curino e Simone Derai
assistente alla regia Marco Menegoni
assistente alla drammaturgia Beatrice Marzorati
Fondazione del Teatro Stabile di Torino
www.anagoor.com