La luce di Ciaccio & Valsecchi
All'interno del panorama variegato di mostre ed eventi artistici promosse dalle istituzioni milanesi, due esposizioni, in particolare, ci danno modo di riflettere su un unico punto di vista. L'una, Lumen di Carlo Valsecchi alla Galleria Carla Sozzani; l'altra, Inter/Vallum di Roberto Ciaccio, nella sede regale di Palazzo Reale, espongono la visione particolareggiata che ognuno dei due artisti ha rispetto al tema dellaluce. Visione o apparizione? Contemplazione o partecipazione? Scopriamolo.
Le fotografie di grande formato che compongono Lumen - curata da Nathalie Herschdorfer e William A. Ewing, in mostra fino al 13 novembre - hanno come soggetti panorami industriali, le monumentali architetture metropolitane, gli impianti che si trovano negli interni; ancora panorami notturni delle città che abbagliano come vulcani. Potremmo dire che dai luminosi laboratori high-tech alle ordinate cassette di frutta e verdura dei mercati, Valsecchi riprende e fissa attraverso il suo obbiettivo pezzetti di civilizzazione, di progresso ed evoluzione.
E i suoi soggetti, protagonisti silenziosi grazie ad una luce che a volte abbaglia, in altri casi illumina, si vestono di un natura altra: dalla loro fredda condizione di oggetti, al caldo sentimentalismo che suscita la visione, intima e intimista, che l'artista-autore ha proprio di questi oggetti. Non a caso si sceglie il titolo "Lumen" come invitando lo spettatore a comprendere quanto protagonisti delle opere non siano gli oggetti, bensì la luce che cade sugli oggetti, che li trasforma concedendogli anche condizioni ed emozioni umane. Molto vicino agli studi impressionisti e alla loro idea di "impressione", trovare l'assoluto e lo spirituale in un raggio di luce sembra per Valsecchi il modo migliore per convivere con una società sempre più meccanizzata, dove la presenza degli esseri umani può anche venire meno. Nelle sue opere infatti non vi è traccia umana. Neo-animismo o denuncia?
Le grandi lastre di ferro, rame, ottone e zinco che insieme danno vita all'istallazione site specific di Roberto Ciaccio - a cura di Remo Bodei, Kurt W. Forster, Arturo Schwarz, in mostra fino al 20 novembre - pongono il problema della luce da un altro punto di vista. Tali opere, che nascono come matrici, attraverso il processo creativo divengono vere e proprie opere a sé stanti. E come nella migliore tradizione contemporanea sono chiamate ad interagire sia con lo spazio, sia con il pubblico. Situata all'interno della sala delle Cariatidi l'installazione dialoga con le statue, con le aperture, gli specchi e ciò che ne deriva sono delle fughe prospettiche create ad hoc, in modo che dall'interazione possano nascere figure, presenze fantastiche, ombre.
Anche qui la luce è padrona. I riflessi degli specchi, la luce naturale e artificiale, la non-luce delle ombre dei presenti, modificano inevitabilmente le opere, arricchendole.
Tutto è in divenire, compresa l'opera. È dagli intervalli di spazio reale - quello della sala e delle opere - si passa agli "intervalli" della mente in un continuo fluire del conscio nell'inconscio e viceversa. Sono ricordi, immagini sbiadite di vite che si confondono, aspirazioni religiose, nostalgie e speranze future quelle che il pubblico può leggere in questi libri metallici scritti con la luce. Per questo l'installazione di Ciaccio pone più l'accento sulla partecipazione che sulla contemplazione - a differenza di Valsecchi che proponeva un personale punto di vista sul mondo e il pubblico doveva semplicemente prenderne atto. In inter/vallum la luce non è oggetto, è protagonista insieme a tutte le altre componenti pubblico compreso. È un'opera di origine artistica che vede di buon occhio la musica e la filosofia, arti che non possono che intendersi con l'occhio della mente.
Le due mostre, pur avendo un filo rosso che le lega, partoriscono soluzioni diverse, come diverse sono le loro accezioni di luce. L'una vede la luce come lumen, la luce che tocca gli oggetti e li ridefinisce, l'altra come vera è propria lux che crea l'opera, e da qui le diverse fruizioni delle opere stesse. Valsecchi va guardato, visto e meditato, Ciaccio va esperito, lo spettatore, cioè, deve mettere in gioco il proprio vissuto per una piena comprensione.
Le fotografie di grande formato che compongono Lumen - curata da Nathalie Herschdorfer e William A. Ewing, in mostra fino al 13 novembre - hanno come soggetti panorami industriali, le monumentali architetture metropolitane, gli impianti che si trovano negli interni; ancora panorami notturni delle città che abbagliano come vulcani. Potremmo dire che dai luminosi laboratori high-tech alle ordinate cassette di frutta e verdura dei mercati, Valsecchi riprende e fissa attraverso il suo obbiettivo pezzetti di civilizzazione, di progresso ed evoluzione.
E i suoi soggetti, protagonisti silenziosi grazie ad una luce che a volte abbaglia, in altri casi illumina, si vestono di un natura altra: dalla loro fredda condizione di oggetti, al caldo sentimentalismo che suscita la visione, intima e intimista, che l'artista-autore ha proprio di questi oggetti. Non a caso si sceglie il titolo "Lumen" come invitando lo spettatore a comprendere quanto protagonisti delle opere non siano gli oggetti, bensì la luce che cade sugli oggetti, che li trasforma concedendogli anche condizioni ed emozioni umane. Molto vicino agli studi impressionisti e alla loro idea di "impressione", trovare l'assoluto e lo spirituale in un raggio di luce sembra per Valsecchi il modo migliore per convivere con una società sempre più meccanizzata, dove la presenza degli esseri umani può anche venire meno. Nelle sue opere infatti non vi è traccia umana. Neo-animismo o denuncia?
Le grandi lastre di ferro, rame, ottone e zinco che insieme danno vita all'istallazione site specific di Roberto Ciaccio - a cura di Remo Bodei, Kurt W. Forster, Arturo Schwarz, in mostra fino al 20 novembre - pongono il problema della luce da un altro punto di vista. Tali opere, che nascono come matrici, attraverso il processo creativo divengono vere e proprie opere a sé stanti. E come nella migliore tradizione contemporanea sono chiamate ad interagire sia con lo spazio, sia con il pubblico. Situata all'interno della sala delle Cariatidi l'installazione dialoga con le statue, con le aperture, gli specchi e ciò che ne deriva sono delle fughe prospettiche create ad hoc, in modo che dall'interazione possano nascere figure, presenze fantastiche, ombre.
Anche qui la luce è padrona. I riflessi degli specchi, la luce naturale e artificiale, la non-luce delle ombre dei presenti, modificano inevitabilmente le opere, arricchendole.
Tutto è in divenire, compresa l'opera. È dagli intervalli di spazio reale - quello della sala e delle opere - si passa agli "intervalli" della mente in un continuo fluire del conscio nell'inconscio e viceversa. Sono ricordi, immagini sbiadite di vite che si confondono, aspirazioni religiose, nostalgie e speranze future quelle che il pubblico può leggere in questi libri metallici scritti con la luce. Per questo l'installazione di Ciaccio pone più l'accento sulla partecipazione che sulla contemplazione - a differenza di Valsecchi che proponeva un personale punto di vista sul mondo e il pubblico doveva semplicemente prenderne atto. In inter/vallum la luce non è oggetto, è protagonista insieme a tutte le altre componenti pubblico compreso. È un'opera di origine artistica che vede di buon occhio la musica e la filosofia, arti che non possono che intendersi con l'occhio della mente.
Le due mostre, pur avendo un filo rosso che le lega, partoriscono soluzioni diverse, come diverse sono le loro accezioni di luce. L'una vede la luce come lumen, la luce che tocca gli oggetti e li ridefinisce, l'altra come vera è propria lux che crea l'opera, e da qui le diverse fruizioni delle opere stesse. Valsecchi va guardato, visto e meditato, Ciaccio va esperito, lo spettatore, cioè, deve mettere in gioco il proprio vissuto per una piena comprensione.
gb
www.intervallum.it
www.galleriacarlasozzani.org
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