Fra diritti e doveri
Galileo secondo Lavia
Con Vita di Galileo di Bertolt Brecht, per la regia e l'interpretazione di Gabriele Lavia, al Teatro Carignano, lo Stabile inaugura la nuova stagione.
Grandioso affresco con ventisei interpreti e tre musicisti dal vivo, Vita di Galileo, con le musiche originali di Hanns Eisler, vede per la prima volta Gabriele Lavia confrontarsi con Brecht.
Fortunatissimo l'incontro, del resto non poteva essere altrimenti, dal momento che Lavia ha dalla sua consapevelozza, cultura, spessore, gusto estetico, non ultimo rispetto per il valore che il Teatro ricopre. E dunque il suo Galileo, lunghissimo, porta con sè una doppia valenza: narrare certo la vita di Galileo e ergerla a metafora più grande, ma allo stesso tempo impone una lezione importantissima agli spettatori odierni. L'impegno della conoscenza, lo sforzo enorme che richiedono le quattro ore di spettacolo, nascondono - come svelerà Lavia a Federica Mazzocchi - la consapevolezza del dovere che si ha di fronte al diritto che Galileo ha contribuito a darci.
Galilei
L'uomo sempre attuale
Galileo Galilei fu l'uomo dalle innumerevoli intuizioni, soprattutto in campo astronomico - le montagne della Luna, la scoperta delle macchie solari, i satelliti di Giove, gli anelli di Saturno, le fasi di Venere e l'intuizione della presenza di un ulteriore corpo celeste al di là di Saturno, ovvero Urano. Ma la sua figura riveste fondamentale importanza per lo sviluppo e la diffusione della teoria copernicana basata sull'eliocentrismo, che ai suoi tempi si scagliava in netta opposizione al non opinabile geocentrismoinsegnato da Platone e Aristotele. Geocentrismo su cui la Chiesa Cattolica basava la giustificazione della grandezza di Dio e l'esistenza stessa della figura del Creatore.
La Terra insomma, in quanto creazione di Dio, doveva rappresentare il centro di tutto l'universo, pianeta "prescelto" e "superiore" rispetto ad una stella o ad un altro corpo celeste. Con le sue rivoluzionarie intuizioni, Galileo prova a minare gli equilibri teologici e sociali del suo tempo, e si vengono a scontrare, così, due linguaggi differenti. Il primo, quello di Galilei, basato sull'empirismo, quale pilastro fondamentale e colonna portante del metodo scientifico; il secondo, quello convenzionale dell'epoca, basato su dogmi della fede e della Chiesa Cristiana. Innovazione dello sguardo contro la cecità più bieca.
L'Inquisizione condanna Galilei alla pena di morte nel 1633. Pena tramutata in isolamento forzato grazie all'abiura delle sue tesi, ma funzionale nel ribadire l'auctoritas della Chiesa e delle teorie tolemaico-aristoteliche vigenti. Galileo soccombe al Santo Uffizio ma allo stesso tempo gli è concesso di portare avanti gli studi nel campo della fisica e della dinamica. Nonostante la sua fede negli uomini e nella loro ragione,Galileo, per istinto di sopravvivenza e perdendo la sua battaglia, si sottopone all'autorità.
Brecht
La sensibilità artistica
Al di là delle faccende personali narrate nel dramma, Brecht focalizza la sua attenzione sul rapporto tra la ricerca scientifica e il potere, e, ampliando gli orizzonti, il rapporto lacerante e tutt'oggi lacerato che si interpone fra la cultura nascente e la cultura del potere. Brecht è un politico e parla della verità della polis, dello stare al mondo insieme con gli altri.
Inserendo il dramma nel suo contesto storico, si può comprendere quanto sia intriso di verve sarcastica e pungente l'opera del drammaturgo tedesco, edita in una prima stesura nel 1938 durante l'esilio in Danimarca, già modellata come una riflessione su argomenti di attualità. Rimodellata poi, durante l'esilio in California, a causa di scoperte quali la scissione dell'atomo d'uranio e il suo utilizzo nelle bombe atomiche della Seconda Guerra mondiale, non ultimo la balistica applicata, al fine di sottolineare come tali scoperte vengano utilizzate dai governi mondiali a fini bellici. Rimane fondamentalmente uno il messaggio che Brecht vuole far arrivare: la scienza deve risultare libera da ogni cappio ideologico e politico e deve essere strumento di progresso degli uomini e non fonte della loro distruzione.
Il Galileo brechtiano, in dissonanza con la figura tramandataci dagli storici, è figura umanamente ricca, moderna, perché pur asserendo la verità contro l'ignoranza, la superstizione e il conformismo, rimane in bilico perenne tra verità e dissimulazione - contrasto interiore che ricorda quello che lega l'attore al personaggio. Umano dunque, con evidenti paure, timori e incertezze. La vita di un genio, metafora dell'artista, logorato dalla voglia di combattere o cedere di fronte al potere.
Strehler vs Lavia
Le principali versioni, quella danese e quella statunitense, confluite poi nella versione berlinese risalgono rispettivamente agli anni 1938/39, 1943-45 e 1956. Vita di Galileo arriva in Italia nel 1963 al Piccolo di Milano, con la regia di Giorgio Strehler, con Tino Buazzelli nel ruolo di Galileo. Lo spettacolo, visto da un allora giovanissimo Gabriele Lavia, cambia irrimediabilmente la sua vita. «Ho preso dentro di me la grande decisione di fare teatro», ricorda Lavia, «quindi di dare un indirizzo alla mia vita, dal quale poi non mi sarei più tolto o potuto togliere, dopo aver visto Vita di Galileo di Strehler. Alla prima a Milano non ero ancora entrato alla ‘Silvio d'Amico', presi allora la decisione di candidarmi.
Non appare dunque strano che Lavia dedichi a uno dei suoi maestri - insieme a Costa - il suo Galileo, ma non come tributo, forse con la necessaria consapevolezza di quanto un Galileo sia importante per le nostre società oggi, e affermando - nella conversazione con Federica Mazzocchi per Retroscena, organizzato dallo Stabile al Gobetti, che pur nelle enormi diversità - pensiamo all'austerità di Strehler contrapposta all'esuberanza di Lavia, lo spettacolo è lo stesso.
Andiamo adesso, attraverso le parole del regista a capire come mai urgono, soprattutto in Italia tantissimi Galileo. «Brecht pone una domanda, dichiara Lavia: che cos'è la verità? la risposta è: l'essenza (la possibilità) della verità è la libertà. Non si può trovare la verità se non a costo, duro, difficile, doloroso, della libertà. La libertà non è fare quello che ci pare, è la limitatezza della conoscenza.
Il grande insegnamento che ci dà Brecht, attraverso la vita di Galileo, è che l'uomo ha il diritto di sapere e di capire. È uno scambio costante. A un certo punto il piccolo Andrea Sarti dice a Galileo: "ma perché vi ostinate a farla capire a me? Sono ancora troppo piccolo! Ho undici anni..." Galileo, cioè Brecht, risponde ad Andrea Sarti, ovvero lo spettatore e la società intera: "Voglio proprio questo! Tutti hanno il diritto di capire! Anche i bambini". Tutti hanno il diritto di capire, ma nel diritto il dovere, che deve essere imperativo kantiano, di coltivare, nutrire, un tale privilegio.
Grandioso affresco con ventisei interpreti e tre musicisti dal vivo, Vita di Galileo, con le musiche originali di Hanns Eisler, vede per la prima volta Gabriele Lavia confrontarsi con Brecht.
Fortunatissimo l'incontro, del resto non poteva essere altrimenti, dal momento che Lavia ha dalla sua consapevelozza, cultura, spessore, gusto estetico, non ultimo rispetto per il valore che il Teatro ricopre. E dunque il suo Galileo, lunghissimo, porta con sè una doppia valenza: narrare certo la vita di Galileo e ergerla a metafora più grande, ma allo stesso tempo impone una lezione importantissima agli spettatori odierni. L'impegno della conoscenza, lo sforzo enorme che richiedono le quattro ore di spettacolo, nascondono - come svelerà Lavia a Federica Mazzocchi - la consapevolezza del dovere che si ha di fronte al diritto che Galileo ha contribuito a darci.
Galilei
L'uomo sempre attuale
Galileo Galilei fu l'uomo dalle innumerevoli intuizioni, soprattutto in campo astronomico - le montagne della Luna, la scoperta delle macchie solari, i satelliti di Giove, gli anelli di Saturno, le fasi di Venere e l'intuizione della presenza di un ulteriore corpo celeste al di là di Saturno, ovvero Urano. Ma la sua figura riveste fondamentale importanza per lo sviluppo e la diffusione della teoria copernicana basata sull'eliocentrismo, che ai suoi tempi si scagliava in netta opposizione al non opinabile geocentrismoinsegnato da Platone e Aristotele. Geocentrismo su cui la Chiesa Cattolica basava la giustificazione della grandezza di Dio e l'esistenza stessa della figura del Creatore.
La Terra insomma, in quanto creazione di Dio, doveva rappresentare il centro di tutto l'universo, pianeta "prescelto" e "superiore" rispetto ad una stella o ad un altro corpo celeste. Con le sue rivoluzionarie intuizioni, Galileo prova a minare gli equilibri teologici e sociali del suo tempo, e si vengono a scontrare, così, due linguaggi differenti. Il primo, quello di Galilei, basato sull'empirismo, quale pilastro fondamentale e colonna portante del metodo scientifico; il secondo, quello convenzionale dell'epoca, basato su dogmi della fede e della Chiesa Cristiana. Innovazione dello sguardo contro la cecità più bieca.
L'Inquisizione condanna Galilei alla pena di morte nel 1633. Pena tramutata in isolamento forzato grazie all'abiura delle sue tesi, ma funzionale nel ribadire l'auctoritas della Chiesa e delle teorie tolemaico-aristoteliche vigenti. Galileo soccombe al Santo Uffizio ma allo stesso tempo gli è concesso di portare avanti gli studi nel campo della fisica e della dinamica. Nonostante la sua fede negli uomini e nella loro ragione,Galileo, per istinto di sopravvivenza e perdendo la sua battaglia, si sottopone all'autorità.
Brecht
La sensibilità artistica
Al di là delle faccende personali narrate nel dramma, Brecht focalizza la sua attenzione sul rapporto tra la ricerca scientifica e il potere, e, ampliando gli orizzonti, il rapporto lacerante e tutt'oggi lacerato che si interpone fra la cultura nascente e la cultura del potere. Brecht è un politico e parla della verità della polis, dello stare al mondo insieme con gli altri.
Inserendo il dramma nel suo contesto storico, si può comprendere quanto sia intriso di verve sarcastica e pungente l'opera del drammaturgo tedesco, edita in una prima stesura nel 1938 durante l'esilio in Danimarca, già modellata come una riflessione su argomenti di attualità. Rimodellata poi, durante l'esilio in California, a causa di scoperte quali la scissione dell'atomo d'uranio e il suo utilizzo nelle bombe atomiche della Seconda Guerra mondiale, non ultimo la balistica applicata, al fine di sottolineare come tali scoperte vengano utilizzate dai governi mondiali a fini bellici. Rimane fondamentalmente uno il messaggio che Brecht vuole far arrivare: la scienza deve risultare libera da ogni cappio ideologico e politico e deve essere strumento di progresso degli uomini e non fonte della loro distruzione.
Il Galileo brechtiano, in dissonanza con la figura tramandataci dagli storici, è figura umanamente ricca, moderna, perché pur asserendo la verità contro l'ignoranza, la superstizione e il conformismo, rimane in bilico perenne tra verità e dissimulazione - contrasto interiore che ricorda quello che lega l'attore al personaggio. Umano dunque, con evidenti paure, timori e incertezze. La vita di un genio, metafora dell'artista, logorato dalla voglia di combattere o cedere di fronte al potere.
Strehler vs Lavia
Le principali versioni, quella danese e quella statunitense, confluite poi nella versione berlinese risalgono rispettivamente agli anni 1938/39, 1943-45 e 1956. Vita di Galileo arriva in Italia nel 1963 al Piccolo di Milano, con la regia di Giorgio Strehler, con Tino Buazzelli nel ruolo di Galileo. Lo spettacolo, visto da un allora giovanissimo Gabriele Lavia, cambia irrimediabilmente la sua vita. «Ho preso dentro di me la grande decisione di fare teatro», ricorda Lavia, «quindi di dare un indirizzo alla mia vita, dal quale poi non mi sarei più tolto o potuto togliere, dopo aver visto Vita di Galileo di Strehler. Alla prima a Milano non ero ancora entrato alla ‘Silvio d'Amico', presi allora la decisione di candidarmi.
Non appare dunque strano che Lavia dedichi a uno dei suoi maestri - insieme a Costa - il suo Galileo, ma non come tributo, forse con la necessaria consapevolezza di quanto un Galileo sia importante per le nostre società oggi, e affermando - nella conversazione con Federica Mazzocchi per Retroscena, organizzato dallo Stabile al Gobetti, che pur nelle enormi diversità - pensiamo all'austerità di Strehler contrapposta all'esuberanza di Lavia, lo spettacolo è lo stesso.
Andiamo adesso, attraverso le parole del regista a capire come mai urgono, soprattutto in Italia tantissimi Galileo. «Brecht pone una domanda, dichiara Lavia: che cos'è la verità? la risposta è: l'essenza (la possibilità) della verità è la libertà. Non si può trovare la verità se non a costo, duro, difficile, doloroso, della libertà. La libertà non è fare quello che ci pare, è la limitatezza della conoscenza.
Il grande insegnamento che ci dà Brecht, attraverso la vita di Galileo, è che l'uomo ha il diritto di sapere e di capire. È uno scambio costante. A un certo punto il piccolo Andrea Sarti dice a Galileo: "ma perché vi ostinate a farla capire a me? Sono ancora troppo piccolo! Ho undici anni..." Galileo, cioè Brecht, risponde ad Andrea Sarti, ovvero lo spettatore e la società intera: "Voglio proprio questo! Tutti hanno il diritto di capire! Anche i bambini". Tutti hanno il diritto di capire, ma nel diritto il dovere, che deve essere imperativo kantiano, di coltivare, nutrire, un tale privilegio.
gb
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