La consapevolezza del male
Il Male Inteso all'astra
Per la sezione TEMPI MODERNI - testi di nuova drammaturgia, novità assolute, in un confronto creativo con altri linguaggi in cui regie e attori attualissimi interpretano lo spirito della nostra contemporaneità - il Teatro Astra, dal 10 al 13 aprile, propone la riscrittura del primo testo teatrale di uno dei padri dell'esistenzialismo francese. Con il Male Inteso - il Malinteso di Albert Camus, Parigi 1943 - la Compagnia Proprietà Commutativa, sposta gli addendi e fa di un equivoco, la consapevolezza del male.
Il testo originale non ebbe una vita teatrale rigogliosa e le due importanti rappresentazioni si datano ambedue nella prima metà del Novecento. Nel 1944 a Parigi, al Théâtre des Mathurins, per di Marcel Herraud, e nel1950, per la traduzione di Vito Pandolfi che diresse la prima italiana al Teatro La Soffitta di Bologna. Ecco allora che il testo poco conosciuto del padre dello Straniero, ri-emerge dopo circa 60 anni, ri-scoperto da una compagnia di giovani e talentuosi attori. Formata da un gruppo di attori diplomati al Teatro Stabile di Torino, all'Accademia dei Filodrammatici e all'Accademia Silvio d'Amico, la Compagnia proprietà Commutativa da anni lavora nei più importanti Teatri di Prosa Italiani. Per il Malinteso di Camus, ci dice il gruppo, "ci siamo voluti prendere un tempo nostro" [...] per intraprendere "un percorso che vuole rifondare uno spirito di fare teatro, che si basi sull'allenamento e su ciò che davvero ci accade".
"Ciò che davvero ci accade". Camus scrive questo testo quando i tedeschi occupano la Francia, è il 1943. Vive il non senso della guerra quindi, l'abbandono da parte di Dio, il bene che si traveste di mentite spoglie, la vita umana che si fa animalesca nell'istinto di sopravvivenza. Potremmo dire che Il Malinteso è il contraltare emotivo di Guernica di Picasso del 1937, racconta a parole del deserto emotivo che aleggiava sull'Europa del tempo. E cosa c'è di peggiore per una madre di non riconoscere il figlio? A che punto la sua speranza muore per far posto alla freddezza rassegnazione di una Medea colpita e affondata? Non ha caso è la famiglia, come per Pinter del Ritorno a Casa del 1964, il palcoscenico in cui natura e cultura si scontrano. Il nucleo da cui si formano traumi e coscienze, dipendenze ed affetti. In Camus è la figura paterna a mancare e, con la partenza del figlio restano solo, la Madre e la figlia Marta.
Lei è il centro di tutto: di una vita persa e vissuta all'ombra della madre della quale eredita tutto, di un rancore perenne denso d'odio che coltiva ancora una repressa speranza di una vita migliore. E tutte le sfumature di emozioni negative, ancor più della madre che ormai non riesce più a esternarle, passano per il viso contratto e rigido di Marta e scendono fino ai pugni sempre stretti. Un linguaggio del corpo costretto da una forma che ormai è troppo stretta per non straripare e buttare fuori il desiderio di affermazione, la non sopportazione di azioni che si sanno sbagliate. Il fine come può giustificare i mezzi? Come la felicità delle due donne poteva giustificare gli omicidi?
Ecco la guerra. Tutte le morti insensate in un contesto in cui uccidere diviene l'unica cosa possibile e plausibile. Razionale e calcolatrice. Pianificata da riti apparentemente benevoli come l'offerta del tè. E come nella Lista di Schindler il colore rosso del cappottino della bambina, rappresenta la vita e la speranza, anche il figlio, con i suoi ricci e i suoi colori vivi rappresenta la salvezza nelle vite ormai sull'orlo del baratro.Il deserto della guerra si è fatto aridità nelle coscienze delle due donne, il buio delle loro anime è talmente fitto da non riconoscere neppure il sangue del proprio sangue. Forse Marta lo aveva riconosciuto ma ormai nel deserto riusciva a vedere solo oasi illusorie e continuava a vivere solo con il pensiero del mare: portare a termine un comando cioè, anche se questo veniva da sé stessa!
Uccidono il figlio come molti altri prima di lui, freddamente con la convinzione della necessità. La tragedia sembra compiuta, quando la madre in un raptus vitalistico e ormai consapevole dell'identità dell'uomo, decide di raggiungere il figlio annegato al fiume piuttosto che rimanere con la figlia viva e complice. E Marta? per una vita aveva assecondato il volere della madre, si era macchiata le mani di sangue, tutto aveva sopportato per poi? Rimanere da sola, senza mare e sull'isola deserta che era la sua anima. Mai più sole e mare.
E Dio? che ruolo ha? Il cameriere che tutto vede e sa ma che non parla mai; che ancora prima di iniziare lo spettacolo cammina fra il pubblico in cerca delle sue prede. Lui è aiutante, amico, complice, lui è super partes. E Dio che sapendo tutto, anche il futuro - perché lui riconosce il figlio - lascia all'uomo il pesante fardello del libero arbitrio. E quando la moglie del figlio, Maria, andrà a cercare il marito nell'albergo della famiglia, conoscerà la cognata e capirà la situazione, lì e a quel punto in ginocchio invocherà l'aiuto di Dio:
"Oh! Dio mio! Non posso vivere in questo deserto! Parlerò a Voi e saprò trovare le parole. Perché è a Voi che mi affido. Abbiate pietà di me. Signore, ascoltatemi, stendetemi la Vostra mano". A questo punto arriva il maggiordomo e dice: "Mi ha chiamato?". Maria (voltandosi verso di lui) - Oh! Non so! Mi aiuti, perché ho bisogno di essere aiutata. Abbia pietà e acconsenta di aiutarmi! - No! risponde l'uomo, e il sipario si lascia cadere.
Cosa ci accade realmente: la guerra è solo il pretesto per Camus di parlare della vita. Di una Vita priva di senso e senza Dio, non perché lui ci abbia abbandonati o grecamente, non si occupa di noi, ma perché è l'uomo stesso che ha smesso di cercalo e di credere nel fondamento di Gesù uomo. I valori fondamentali del cristianesimo possono essere racchiusi nella massima, Ama il prossimo tuo come te stesso, che con le interpretazioni religiose ha poco a che fare. Qui si uniscono le persone non si dividono e qui, Dio non è trascendenza ma è immanenza. E' desiderio dell'altro, un aiuto, una carezza, un sorriso banale, la fratellanza cristiana. L'amore per se stessi che mai si può tradurre con l'odio verso gli altri. E quindi diviene chiaro perché il maggiordomo/dio risponde negativamente e provocatoriamente. Non devono sempre essere rivolte verso gli altri le nostre guerre, forse è il caso che insieme alla Compagnia ci rendiamo conto di cosa sta succedendo intorno e dentro di noi. Combattiamoci!
Il testo originale non ebbe una vita teatrale rigogliosa e le due importanti rappresentazioni si datano ambedue nella prima metà del Novecento. Nel 1944 a Parigi, al Théâtre des Mathurins, per di Marcel Herraud, e nel1950, per la traduzione di Vito Pandolfi che diresse la prima italiana al Teatro La Soffitta di Bologna. Ecco allora che il testo poco conosciuto del padre dello Straniero, ri-emerge dopo circa 60 anni, ri-scoperto da una compagnia di giovani e talentuosi attori. Formata da un gruppo di attori diplomati al Teatro Stabile di Torino, all'Accademia dei Filodrammatici e all'Accademia Silvio d'Amico, la Compagnia proprietà Commutativa da anni lavora nei più importanti Teatri di Prosa Italiani. Per il Malinteso di Camus, ci dice il gruppo, "ci siamo voluti prendere un tempo nostro" [...] per intraprendere "un percorso che vuole rifondare uno spirito di fare teatro, che si basi sull'allenamento e su ciò che davvero ci accade".
"Ciò che davvero ci accade". Camus scrive questo testo quando i tedeschi occupano la Francia, è il 1943. Vive il non senso della guerra quindi, l'abbandono da parte di Dio, il bene che si traveste di mentite spoglie, la vita umana che si fa animalesca nell'istinto di sopravvivenza. Potremmo dire che Il Malinteso è il contraltare emotivo di Guernica di Picasso del 1937, racconta a parole del deserto emotivo che aleggiava sull'Europa del tempo. E cosa c'è di peggiore per una madre di non riconoscere il figlio? A che punto la sua speranza muore per far posto alla freddezza rassegnazione di una Medea colpita e affondata? Non ha caso è la famiglia, come per Pinter del Ritorno a Casa del 1964, il palcoscenico in cui natura e cultura si scontrano. Il nucleo da cui si formano traumi e coscienze, dipendenze ed affetti. In Camus è la figura paterna a mancare e, con la partenza del figlio restano solo, la Madre e la figlia Marta.
Lei è il centro di tutto: di una vita persa e vissuta all'ombra della madre della quale eredita tutto, di un rancore perenne denso d'odio che coltiva ancora una repressa speranza di una vita migliore. E tutte le sfumature di emozioni negative, ancor più della madre che ormai non riesce più a esternarle, passano per il viso contratto e rigido di Marta e scendono fino ai pugni sempre stretti. Un linguaggio del corpo costretto da una forma che ormai è troppo stretta per non straripare e buttare fuori il desiderio di affermazione, la non sopportazione di azioni che si sanno sbagliate. Il fine come può giustificare i mezzi? Come la felicità delle due donne poteva giustificare gli omicidi?
Ecco la guerra. Tutte le morti insensate in un contesto in cui uccidere diviene l'unica cosa possibile e plausibile. Razionale e calcolatrice. Pianificata da riti apparentemente benevoli come l'offerta del tè. E come nella Lista di Schindler il colore rosso del cappottino della bambina, rappresenta la vita e la speranza, anche il figlio, con i suoi ricci e i suoi colori vivi rappresenta la salvezza nelle vite ormai sull'orlo del baratro.Il deserto della guerra si è fatto aridità nelle coscienze delle due donne, il buio delle loro anime è talmente fitto da non riconoscere neppure il sangue del proprio sangue. Forse Marta lo aveva riconosciuto ma ormai nel deserto riusciva a vedere solo oasi illusorie e continuava a vivere solo con il pensiero del mare: portare a termine un comando cioè, anche se questo veniva da sé stessa!
Uccidono il figlio come molti altri prima di lui, freddamente con la convinzione della necessità. La tragedia sembra compiuta, quando la madre in un raptus vitalistico e ormai consapevole dell'identità dell'uomo, decide di raggiungere il figlio annegato al fiume piuttosto che rimanere con la figlia viva e complice. E Marta? per una vita aveva assecondato il volere della madre, si era macchiata le mani di sangue, tutto aveva sopportato per poi? Rimanere da sola, senza mare e sull'isola deserta che era la sua anima. Mai più sole e mare.
E Dio? che ruolo ha? Il cameriere che tutto vede e sa ma che non parla mai; che ancora prima di iniziare lo spettacolo cammina fra il pubblico in cerca delle sue prede. Lui è aiutante, amico, complice, lui è super partes. E Dio che sapendo tutto, anche il futuro - perché lui riconosce il figlio - lascia all'uomo il pesante fardello del libero arbitrio. E quando la moglie del figlio, Maria, andrà a cercare il marito nell'albergo della famiglia, conoscerà la cognata e capirà la situazione, lì e a quel punto in ginocchio invocherà l'aiuto di Dio:
"Oh! Dio mio! Non posso vivere in questo deserto! Parlerò a Voi e saprò trovare le parole. Perché è a Voi che mi affido. Abbiate pietà di me. Signore, ascoltatemi, stendetemi la Vostra mano". A questo punto arriva il maggiordomo e dice: "Mi ha chiamato?". Maria (voltandosi verso di lui) - Oh! Non so! Mi aiuti, perché ho bisogno di essere aiutata. Abbia pietà e acconsenta di aiutarmi! - No! risponde l'uomo, e il sipario si lascia cadere.
Cosa ci accade realmente: la guerra è solo il pretesto per Camus di parlare della vita. Di una Vita priva di senso e senza Dio, non perché lui ci abbia abbandonati o grecamente, non si occupa di noi, ma perché è l'uomo stesso che ha smesso di cercalo e di credere nel fondamento di Gesù uomo. I valori fondamentali del cristianesimo possono essere racchiusi nella massima, Ama il prossimo tuo come te stesso, che con le interpretazioni religiose ha poco a che fare. Qui si uniscono le persone non si dividono e qui, Dio non è trascendenza ma è immanenza. E' desiderio dell'altro, un aiuto, una carezza, un sorriso banale, la fratellanza cristiana. L'amore per se stessi che mai si può tradurre con l'odio verso gli altri. E quindi diviene chiaro perché il maggiordomo/dio risponde negativamente e provocatoriamente. Non devono sempre essere rivolte verso gli altri le nostre guerre, forse è il caso che insieme alla Compagnia ci rendiamo conto di cosa sta succedendo intorno e dentro di noi. Combattiamoci!
gb
Teatro Astra
Il Male Inteso
Uno spettacolo liberamente tratto da "Il Malinteso" di Albert Camus
COMPAGNIA PROPRIETA' COMMUTATIVA
Progetto e Regia di Alessandro Federico
Con Valentina Virando, Elisa Galvagno, Lucia
Cammalleri, Lorenzo Bartoli, Luca Di Prospero.
Riscrittura di Marco Racca e Alessandro Federico
www.inboxproject.it/schedacompagnia
Il Male Inteso
Uno spettacolo liberamente tratto da "Il Malinteso" di Albert Camus
COMPAGNIA PROPRIETA' COMMUTATIVA
Progetto e Regia di Alessandro Federico
Con Valentina Virando, Elisa Galvagno, Lucia
Cammalleri, Lorenzo Bartoli, Luca Di Prospero.
Riscrittura di Marco Racca e Alessandro Federico
www.inboxproject.it/schedacompagnia