Cuboteatro
intervista ai direttori
Urgenza e necessità. Etica e trasparenza. Nuova e migliore redistribuzione dei fondi. Qualità e contenuto sono le parole chiave per leggere Schegge, palinsesto teatrale a cura di Girolamo Lucania e Silvia Limone, al CuboTeatro.
In un periodo in cui la Cultura ha perso le sue idiosincrasie, facendosi mercato e mischiandosi con i giochi di potere, il Teatro vive una vita difficile, a metà tra il grande Teatro, quello dei grandi nomi e delle grandi Istituzioni - il teatro storicizzato potremmo dire - e un teatro che rivendica sé stesso, nella sua volontà attuale di parlare del contingente, quello fatto da giovani, futuri nomi, lo stesso che nell'attualità segue le nuove traiettorie artistiche.
Questo è il caso di CuboTeatro, luogo in cui, come spesso diciamo commentando gli spettacoli di Schegge, presenta una selezione di pièce attualissime. Non solo perché le compagnie sono giovanissime, ma soprattutto perché il loro studio e approccio al teatro è investito dalle nuove consapevolezze artistico-teatrali. Non ci stancheremo mai di dirlo come oggi gli attori debbano accettare i dettami del corpo - intuizione per altro che fa parte della storia del teatro, non certo una scoperta recente - in un insieme unitario che unisca rex cogitans a res extensa.
Gli spettacoli del Cubo hanno questa nuova, odierna, predisposizione, e Schegge si fa portavoce di una contemporaneità contingente, che coltiva la sperimentazione mettendola in scena, offrendo esempi di recentissimo teatro, non storico e non contemporaneo. Il teatro d'oggi insomma. Ma come vive, o sopravvive, un teatro come il Cubo in una realtà stratificata di programmazione teatrale, come quella torinese? Scopriamolo con l'intervista ai direttori artistici Girolamo Lucania e Silvia Limone.
D. 5 anni di Cubo. Un impegno alla resistenza?
R.Si può dire di sì. Fare Teatro, fare cultura in generale, è una forma di resistenza, in quest'epoca di bombardamenti mediatici che tutto fanno tranne che migliorare il livello intellettuale, sociale e umano della gente. Quindi sì, lo è. Anzi, per certi versi si può dire che è un piccolo atto rivoluzionario.. Nel nostro caso nasce in effetti 5 anni fa. La forma della Stagione era diversa, era più un Festival che una Stagione. Poi col tempo e con gli anni Schegge è diventata Stagione, ha preso casa al Cubo ed è migliorata costantemente. Lo spirito con cui abbiamo cominciato in ogni caso ci accompagna anche ora: portare spettacoli di qualità, di compagnie professionali, in un luogo teatrale non convenzionato, o comunque non sovvenzionato, a bassi costi e con un livello raro di accoglienza e accessibilità per il pubblico. L'unica differenza è che ormai il Cubo non è più un luogo non convenzionale dove fare teatro.
In realtà oggi la vera resistenza sta nell'organizzare una stagione di teatro "seria" in tutti i sensi: cercando di pagare le persone che lavorano, chiamando i professionisti e non gli "improvvisati", cercando di essere trasparenti e "puliti".
D. Torino e le realtà teatrali.
R. Domanda scomoda… Ci sono realtà che lavorano bene, senza citare nessuno. Ci sono sprechi, senza citare nessuno. E poi ci sono le grandi istituzioni teatrali. A Torino il teatro dovrebbe essere più presente. Non che non lo sia: è presente ma in forme non utili al movimento teatrale. Teatro amatoriale, Stagioni che fanno scelte opinabili, Festival il cui cartellone è composto per la stragrande maggioranza da spettacoli prodotti dall'organizzatore stesso… Poi ci sono realtà vive, che però faticano, perché a fronte di una passione e di un'etica, non ricevono adeguate risorse economiche per sopravvivere e lavorare meglio.
Diciamo che dovrebbe esserci un'attenzione maggiore da parte delle Istituzioni alle varie realtà del Teatro, con un sistema meritocratico di visibilità e finanziamento economico. Pensiamo di aver organizzato quest'anno una Stagione degna di questo nome, ma il pubblico purtroppo è stato abituato a seguire le mode, forse si è davvero un po' persa la "cultura" del teatro, e le colpe sono un po' di tutti.
D. La necessità di un teatro mai d'intrattenimento: al Cubo si "deve" imparare?
R. Non abbiamo questa ambizione educativa o didattica… Ma è innegabile che le scelte teatrali che abbiamo fatto sono legate fra di loro dall'urgenza e la necessità, due parole fondamentali per il teatro e la cultura in genere. Il teatro d'intrattenimento puro non fa per noi, da noi il pubblico deve vedere del bel teatro, del teatro che dice qualcosa di urgente rispetto alla contemporaneità, e poi può uscire dalla sala e incontrare noi, gli artisti e il resto del pubblico per parlarne. Il tutto - speriamo - sentendosi accolti come a casa.
Lo sappiamo che le nostre proposte non sono "facili", ma il teatro ha il dovere di far pensare, e poi, diciamolo, di intrattenimento ne abbiamo davvero fin troppo, è troppo comodo.
D. Ilva, dipendenze, Cie. Le scelte di schegge.
R. Come si diceva, scelte dettate dall'urgenza e dalla necessità. Sono temi attuali, forti. E sono "raccontati" - è bene sottolinearlo - da artisti veri, che fanno del vero teatro: mai didascalico, mai banale. Insomma anche sulla qualità siamo stati molto attenti. Tematiche e qualità sono le parole chiave per le scelte dei nostri lavori. Quando vediamo un lavoro di questo tipo, sappiamo che possiamo ospitarlo con piacere. E sappiamo di accogliere artisti che ci credono davvero in quello che fanno, che non hanno lo spettacolo costruito per la "ricorrenza dell'anno". Tutte le proposte nascono da lavori di ricerca, da approfondimenti e scelte precise e volute.
D. Anticipazioni sul prossimo anno?
R. L'ambizione è - naturalmente - quella di migliorare sempre, mantenendo fede alle nostre regole di etica. Quindi continueremo a fare scelte come le abbiamo sempre fatte, cercando di portare sempre artisti di alto livello. E collaborazioni. Perché sarebbe davvero bello trovare compagni di viaggio e di "resistenza" che lo siano davvero. Crediamo nelle "reti", ma che siano reti che nascono veramente da convinzioni condivise e non da opportunismi economici e commerciali. Altro per il momento non si può dire.
In un periodo in cui la Cultura ha perso le sue idiosincrasie, facendosi mercato e mischiandosi con i giochi di potere, il Teatro vive una vita difficile, a metà tra il grande Teatro, quello dei grandi nomi e delle grandi Istituzioni - il teatro storicizzato potremmo dire - e un teatro che rivendica sé stesso, nella sua volontà attuale di parlare del contingente, quello fatto da giovani, futuri nomi, lo stesso che nell'attualità segue le nuove traiettorie artistiche.
Questo è il caso di CuboTeatro, luogo in cui, come spesso diciamo commentando gli spettacoli di Schegge, presenta una selezione di pièce attualissime. Non solo perché le compagnie sono giovanissime, ma soprattutto perché il loro studio e approccio al teatro è investito dalle nuove consapevolezze artistico-teatrali. Non ci stancheremo mai di dirlo come oggi gli attori debbano accettare i dettami del corpo - intuizione per altro che fa parte della storia del teatro, non certo una scoperta recente - in un insieme unitario che unisca rex cogitans a res extensa.
Gli spettacoli del Cubo hanno questa nuova, odierna, predisposizione, e Schegge si fa portavoce di una contemporaneità contingente, che coltiva la sperimentazione mettendola in scena, offrendo esempi di recentissimo teatro, non storico e non contemporaneo. Il teatro d'oggi insomma. Ma come vive, o sopravvive, un teatro come il Cubo in una realtà stratificata di programmazione teatrale, come quella torinese? Scopriamolo con l'intervista ai direttori artistici Girolamo Lucania e Silvia Limone.
D. 5 anni di Cubo. Un impegno alla resistenza?
R.Si può dire di sì. Fare Teatro, fare cultura in generale, è una forma di resistenza, in quest'epoca di bombardamenti mediatici che tutto fanno tranne che migliorare il livello intellettuale, sociale e umano della gente. Quindi sì, lo è. Anzi, per certi versi si può dire che è un piccolo atto rivoluzionario.. Nel nostro caso nasce in effetti 5 anni fa. La forma della Stagione era diversa, era più un Festival che una Stagione. Poi col tempo e con gli anni Schegge è diventata Stagione, ha preso casa al Cubo ed è migliorata costantemente. Lo spirito con cui abbiamo cominciato in ogni caso ci accompagna anche ora: portare spettacoli di qualità, di compagnie professionali, in un luogo teatrale non convenzionato, o comunque non sovvenzionato, a bassi costi e con un livello raro di accoglienza e accessibilità per il pubblico. L'unica differenza è che ormai il Cubo non è più un luogo non convenzionale dove fare teatro.
In realtà oggi la vera resistenza sta nell'organizzare una stagione di teatro "seria" in tutti i sensi: cercando di pagare le persone che lavorano, chiamando i professionisti e non gli "improvvisati", cercando di essere trasparenti e "puliti".
D. Torino e le realtà teatrali.
R. Domanda scomoda… Ci sono realtà che lavorano bene, senza citare nessuno. Ci sono sprechi, senza citare nessuno. E poi ci sono le grandi istituzioni teatrali. A Torino il teatro dovrebbe essere più presente. Non che non lo sia: è presente ma in forme non utili al movimento teatrale. Teatro amatoriale, Stagioni che fanno scelte opinabili, Festival il cui cartellone è composto per la stragrande maggioranza da spettacoli prodotti dall'organizzatore stesso… Poi ci sono realtà vive, che però faticano, perché a fronte di una passione e di un'etica, non ricevono adeguate risorse economiche per sopravvivere e lavorare meglio.
Diciamo che dovrebbe esserci un'attenzione maggiore da parte delle Istituzioni alle varie realtà del Teatro, con un sistema meritocratico di visibilità e finanziamento economico. Pensiamo di aver organizzato quest'anno una Stagione degna di questo nome, ma il pubblico purtroppo è stato abituato a seguire le mode, forse si è davvero un po' persa la "cultura" del teatro, e le colpe sono un po' di tutti.
D. La necessità di un teatro mai d'intrattenimento: al Cubo si "deve" imparare?
R. Non abbiamo questa ambizione educativa o didattica… Ma è innegabile che le scelte teatrali che abbiamo fatto sono legate fra di loro dall'urgenza e la necessità, due parole fondamentali per il teatro e la cultura in genere. Il teatro d'intrattenimento puro non fa per noi, da noi il pubblico deve vedere del bel teatro, del teatro che dice qualcosa di urgente rispetto alla contemporaneità, e poi può uscire dalla sala e incontrare noi, gli artisti e il resto del pubblico per parlarne. Il tutto - speriamo - sentendosi accolti come a casa.
Lo sappiamo che le nostre proposte non sono "facili", ma il teatro ha il dovere di far pensare, e poi, diciamolo, di intrattenimento ne abbiamo davvero fin troppo, è troppo comodo.
D. Ilva, dipendenze, Cie. Le scelte di schegge.
R. Come si diceva, scelte dettate dall'urgenza e dalla necessità. Sono temi attuali, forti. E sono "raccontati" - è bene sottolinearlo - da artisti veri, che fanno del vero teatro: mai didascalico, mai banale. Insomma anche sulla qualità siamo stati molto attenti. Tematiche e qualità sono le parole chiave per le scelte dei nostri lavori. Quando vediamo un lavoro di questo tipo, sappiamo che possiamo ospitarlo con piacere. E sappiamo di accogliere artisti che ci credono davvero in quello che fanno, che non hanno lo spettacolo costruito per la "ricorrenza dell'anno". Tutte le proposte nascono da lavori di ricerca, da approfondimenti e scelte precise e volute.
D. Anticipazioni sul prossimo anno?
R. L'ambizione è - naturalmente - quella di migliorare sempre, mantenendo fede alle nostre regole di etica. Quindi continueremo a fare scelte come le abbiamo sempre fatte, cercando di portare sempre artisti di alto livello. E collaborazioni. Perché sarebbe davvero bello trovare compagni di viaggio e di "resistenza" che lo siano davvero. Crediamo nelle "reti", ma che siano reti che nascono veramente da convinzioni condivise e non da opportunismi economici e commerciali. Altro per il momento non si può dire.
gb
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