Pirandello con gli occhi di Beckett
Kripton Teatro all'Astra
Al Teatro Astra Uno, nessuno e centomila di Pirandello.
Con l'adattamento teatrale di Giuseppe Manfridi, il Teatro Studio Krypton - con la regia di Giancarlo Cauteruccio e in scena Fulvio Cauteruccio, Monica Bauco, Laura Bandellini - unisce attraverso un'iperbole tematica Pirandello a Beckett facendo della pazzia di Moscarda il male di vivere dei tanti Vladimiro beckettiani. Dal 5 al 7 dicembre, negli spazi di via Rosolino Pilo, la metabolizzazione del romanzo degli specchi.
Non è una lettura filologica, non è neanche un rifacimento contemporaneo, ma è probabilmente la riflessione sul grande romanzo, sulla sua essenza che interessa al Krypton Teatro, che associa il padre della dissoluzione dell'Io del primo Novecento, con chi, nella seconda metà del secolo ha sviscerato questa disgregazione esaltandola a cifra stilistica. Ecco che allora il piatto di portata è Pirandello condito con le spezie Beckett.
Un accostamento difficile, certo, un azzardo forse. Allora perché? Quali le ragioni di questa scelta? - ci chiediamo insieme al regista- La prima è sicuramente il desiderio della sfida che contraddistingue il mio lavoro, che mi attrae anche quando non c'è alcuna certezza di farcela; poi il desiderio di mettere in gioco il mio immaginario astratto insieme alla passione attorale di mio fratello Fulvio, generando ancora una volta un conflitto espressivo, vitale nel comune viaggio che abbiamo intrapreso da anni.
Fin dagli anni 80 il Krypton Teatro si contraddistingue per una precisa predilezione per un teatro che dialoga con l'architettura e le arti visive. Confermata questa inclinazione che sovente sfocia in una scrittura scenica multimediale i personaggi di Uno, nessuno e centomila, si riducono e tutti ruotano al centro del camaleontico Moscarda. Vittima della sua sete di verità combatterà, fino all'ultimo, la guerra contro i mulini a vento. Combatte contro l'aria, l'ossigeno, il pane che alimenta tanto il "piccolo" Sud quanto l'algido Nord, che da Pirandello fino ad oggi non ha smesso di nutrirsi dei medesimi ingredienti: l'ipocrisia vigliacca, l'opportunismo più bieco, l'amicizia priva del suo sentimento costitutivo.
Ecco allora che il romanzo, si fa quasi monologo, e attraverso un teatro di voce, potente e di non lontana memoria, si palesano sul palco tutte quelle situazioni interne che Moscarda prova e sente una volta che il treno ha fischiato. Il padre, che in questo allestimento è rappresentato da una voce emanata dall'altoparlante; la moglie Dida, che come un fantasma appare e scompare nelle sue vesti sontuose e mondane, altro non sono, forse, che il simbolo di una società opprimente che vuole sempre altro da noi. La stessa società che miete vittime consapevole di non poter essere incolpata. E se io non ho un nemico o almeno non posso palesarlo, contro chi combatto? potrebbe chiedersi Moscarda. Ovviamente contro sé stesso, scegliendo, suo malgrado la felicità della solitudine -come tutti i personaggi di Beckett- lontano, come eremiti, dalla società che li ha partoriti. Conoscersi troppo non va bene, dirà Moscarda ad un certo punto. Beata ignoranza!
Un appunto
E' più di un secolo che si sente parlare di disgregazione dell'Io, di mancanza totale di conoscenza di sé e di come si sono costituite le società. Quest'ultime, sembriamo dimenticarlo, sono formate da uomini. Quindi se l'assunto La legge non ammette ignoranza, lo trasportiamo alla vita, potrebbe diventare La vita non ammette ignoranza, includendo nella frase la conoscenza di sé e almeno della società in cui si è nati. Nel 2013, dopo anni di letteratura, teatro, teorie politiche, parole impresse sulla carta, può essere ancora colpa della società se io non riesco a trovare, nell'era della globalizzazione, il mio posto in questo maledetto mondo? Forse è il caso che si accusi meno l'esterno, e che partendo dall'accusare noi stessi, troviamo il coraggio delle responsabilità delle nostre azioni, invece che rinunciare come Moscarda e rinchiuderci in manicomio. Certo, a teatro, al cinema e in letteratura, sembra l'atto di scelta più grande e difficile, ma nella realtà è un atto di grandissima vigliaccheria esattamente come il suicidio. Se non cambia l'uomo le società tarderanno a modificarsi, insomma. Forse è proprio il caso che tutti noi notiamo gli impercettibili difetti che ci fa comodo evitare.
Con l'adattamento teatrale di Giuseppe Manfridi, il Teatro Studio Krypton - con la regia di Giancarlo Cauteruccio e in scena Fulvio Cauteruccio, Monica Bauco, Laura Bandellini - unisce attraverso un'iperbole tematica Pirandello a Beckett facendo della pazzia di Moscarda il male di vivere dei tanti Vladimiro beckettiani. Dal 5 al 7 dicembre, negli spazi di via Rosolino Pilo, la metabolizzazione del romanzo degli specchi.
Non è una lettura filologica, non è neanche un rifacimento contemporaneo, ma è probabilmente la riflessione sul grande romanzo, sulla sua essenza che interessa al Krypton Teatro, che associa il padre della dissoluzione dell'Io del primo Novecento, con chi, nella seconda metà del secolo ha sviscerato questa disgregazione esaltandola a cifra stilistica. Ecco che allora il piatto di portata è Pirandello condito con le spezie Beckett.
Un accostamento difficile, certo, un azzardo forse. Allora perché? Quali le ragioni di questa scelta? - ci chiediamo insieme al regista- La prima è sicuramente il desiderio della sfida che contraddistingue il mio lavoro, che mi attrae anche quando non c'è alcuna certezza di farcela; poi il desiderio di mettere in gioco il mio immaginario astratto insieme alla passione attorale di mio fratello Fulvio, generando ancora una volta un conflitto espressivo, vitale nel comune viaggio che abbiamo intrapreso da anni.
Fin dagli anni 80 il Krypton Teatro si contraddistingue per una precisa predilezione per un teatro che dialoga con l'architettura e le arti visive. Confermata questa inclinazione che sovente sfocia in una scrittura scenica multimediale i personaggi di Uno, nessuno e centomila, si riducono e tutti ruotano al centro del camaleontico Moscarda. Vittima della sua sete di verità combatterà, fino all'ultimo, la guerra contro i mulini a vento. Combatte contro l'aria, l'ossigeno, il pane che alimenta tanto il "piccolo" Sud quanto l'algido Nord, che da Pirandello fino ad oggi non ha smesso di nutrirsi dei medesimi ingredienti: l'ipocrisia vigliacca, l'opportunismo più bieco, l'amicizia priva del suo sentimento costitutivo.
Ecco allora che il romanzo, si fa quasi monologo, e attraverso un teatro di voce, potente e di non lontana memoria, si palesano sul palco tutte quelle situazioni interne che Moscarda prova e sente una volta che il treno ha fischiato. Il padre, che in questo allestimento è rappresentato da una voce emanata dall'altoparlante; la moglie Dida, che come un fantasma appare e scompare nelle sue vesti sontuose e mondane, altro non sono, forse, che il simbolo di una società opprimente che vuole sempre altro da noi. La stessa società che miete vittime consapevole di non poter essere incolpata. E se io non ho un nemico o almeno non posso palesarlo, contro chi combatto? potrebbe chiedersi Moscarda. Ovviamente contro sé stesso, scegliendo, suo malgrado la felicità della solitudine -come tutti i personaggi di Beckett- lontano, come eremiti, dalla società che li ha partoriti. Conoscersi troppo non va bene, dirà Moscarda ad un certo punto. Beata ignoranza!
Un appunto
E' più di un secolo che si sente parlare di disgregazione dell'Io, di mancanza totale di conoscenza di sé e di come si sono costituite le società. Quest'ultime, sembriamo dimenticarlo, sono formate da uomini. Quindi se l'assunto La legge non ammette ignoranza, lo trasportiamo alla vita, potrebbe diventare La vita non ammette ignoranza, includendo nella frase la conoscenza di sé e almeno della società in cui si è nati. Nel 2013, dopo anni di letteratura, teatro, teorie politiche, parole impresse sulla carta, può essere ancora colpa della società se io non riesco a trovare, nell'era della globalizzazione, il mio posto in questo maledetto mondo? Forse è il caso che si accusi meno l'esterno, e che partendo dall'accusare noi stessi, troviamo il coraggio delle responsabilità delle nostre azioni, invece che rinunciare come Moscarda e rinchiuderci in manicomio. Certo, a teatro, al cinema e in letteratura, sembra l'atto di scelta più grande e difficile, ma nella realtà è un atto di grandissima vigliaccheria esattamente come il suicidio. Se non cambia l'uomo le società tarderanno a modificarsi, insomma. Forse è proprio il caso che tutti noi notiamo gli impercettibili difetti che ci fa comodo evitare.
gb
Teatro Astra
Uno, nessuno e centomila
di Luigi Pirandello
TEATRO STUDIO KRYPTON
regia Giancarlo Cauteruccio
adattamento teatrale di Giuseppe Manfridi
con Fulvio Cauteruccio (Vitangelo Moscarda), Monica Bauco (Anna Rosa), Laura Bandelloni (Dida)
voci off Irene Barbugli, Roberto Gioffrè, Riccardo Naldini, Carlo Salvador, Tommaso Taddei
ideazione scenica Giancarlo Cauteruccio
scena e luci Loris Giancola
costumi Massimo Bevilacqua
elaborazioni video Stefano Fomasi
fonica Lorenzo Battisti
www.compagniakrypton.it
Uno, nessuno e centomila
di Luigi Pirandello
TEATRO STUDIO KRYPTON
regia Giancarlo Cauteruccio
adattamento teatrale di Giuseppe Manfridi
con Fulvio Cauteruccio (Vitangelo Moscarda), Monica Bauco (Anna Rosa), Laura Bandelloni (Dida)
voci off Irene Barbugli, Roberto Gioffrè, Riccardo Naldini, Carlo Salvador, Tommaso Taddei
ideazione scenica Giancarlo Cauteruccio
scena e luci Loris Giancola
costumi Massimo Bevilacqua
elaborazioni video Stefano Fomasi
fonica Lorenzo Battisti
www.compagniakrypton.it