La Gam non è un paese per vecchi
Pellegrini e Zenelli
Proseguono alla GAM - Galleria Civica di Arte Moderna di Torino i cicli Surprise e Vitrine.
Il primo è un appuntamento annuale dedicato ad aspetti specifici della ricerca artistica torinese tra gli anni Sessanta e Settanta, curato da Maria Teresa Roberto (docente di Storia dell'Arte Contemporanea presso l'Accademia Albertina di Torino); il secondo, un progetto dedicato alla ricerca artistica contemporanea sviluppata in Piemonte e curato da Anna Musini, curatrice della GAM.
Per la prima volta, per il ciclo Surprise, si presenta al pubblico una selezione di opere degli anni Sessanta di Max Pellegrini, di ispirazione Pop e provenienti da alcune importanti collezioni private italiane. Scoperto e molto apprezzato dal grande critico Luigi Carluccio, Pellegrini nasce a Torino nel 1945, dove tuttora vive e lavora; si diploma all'Accademia Albertina di Belle Arti e si laurea in Architettura al Politecnico di Torino.
Dopo la sua prima personale alla Galleria il Punto, dove nel 1966 espone una serie di ritratti femminili di ispirazione Pop, partecipa insieme agli artisti del gruppo Fluxus alla scena artistica torinese che ruota intorno al Piper, dove nel 1967 organizza la performance: Al Piper è la fine del mondo.
Il progetto Surprise intende sondare e mettere a fuoco aspetti e snodi di quel periodo, durante il quale sono state gettate le basi per il riconoscimento artistico di Torino a livello internazionale.
La mostra si concentra su uno specifico periodo della produzione dell'artista, gli anni fra il 1966 e il 1971, in cui i ritratti femminili assumono un'aspetto importante nella sua ricerca ed in cui è più che evidente l'influenza e la conoscenza della Pop Art americana. Ci aveva pensato la Galleria Sperone a portare a Torino esponenti pop-americani come Roy Liechtenstein, Robert Rauschenberg e Jasper Johns, di lì a poco consacrati a Venezia.
Pellegrini è figlio di questa cultura innovativa, che non copia semplicemente i grandi - pensiamo all'uso di Warhol dell'immagine commerciale che, consumata dalle masse, diviene il nuovo soggetto dell'opera d'arte, escludendo così qualsiasi legame con la prassi artistica - ma li rilegge, come nello stesso periodo facevano alcuni giovani artisti romani gravitando attorno la figura più rappresentativa di Mario Schifano, affiancando alla voracità di immagini della cultura pop, la tradizione figurativa europea e, nel suo caso, italiana. < br/> Fondamentale è anche la ricerca sulla connessione tra fotografia e pittura che in quegli anni anima lo scenario sia artistico che culturale.
Interessante indubbiamente il percorso di scoperta e rivalutazione degli artisti cittadini a cavallo fra anni Sessanta e Settanta, però una considerazione va fatta. Alle inaugurazioni della Gam mancano i giovani, gli stessi ai quali una struttura museale deve rivolgersi. Solo un numero sparuto di under trenta (ma non di molto) si vedeva muoversi intorno all'opera di Zenelli. La maggioranza era composta di over 40 (anche di molto!) e la Gam non è, almeno nel suo intento, un "museo per vecchi". Certo le generazioni precedenti detengono un enorme patrimonio culturale, ma se Surprise intende trasmetterlo ai posteri, non ha -almeno in questo caso- colto nel segno: all'inaugurazione c'erano quasi solo coetanei dell'artista. Sarebbe forse da rivedere l'interlocutore per i singoli momenti espositivi e da esso partire per una buona campagna marketing. Soprattutto perchè tale lacuna evidenziata non si esaurirà di certo esponendo Renoir.
Per Vitrine, giunto alla sua terza edizione, la curatrice Anna Musini è partita dal lavoro di Renato Guttuso Gente in Strada.
L'opera cristallizza un momento, una scena rubata dalla strada, dalla quotidianità, un'immagine comune cui siamo abituati, che seppure datata 1956-1957 resta assolutamente attuale. La strada e il passaggio divengono i simboli della società, della realtà civile e quotidiana.
L'arte non può prescindere dall'essere espressione di un preciso momento storico, caratterizzato da particolari situazioni sociali, economiche, politiche, culturali. Attraverso linguaggi e tecniche differenti le opere che verranno presentate in questa terza edizione del progetto si propongono d'innescare un confronto con la società civile, uno scambio di sguardi, che coinvolge artista e spettatore nel narrare ed interpretare il vissuto quotidiano.
Driant Zenelli, classe 1983, con Leave me Alone inaugura l'inizio di questo nuovo ciclo espositivo. Il problema qui si pone su un altro versante: quello che vedo è interessante per come l'artista lo ha tradotto in arte, o quello che vedo diviene interessante perché capisco dove il comunicato o la presentazione che sia, vogliono arrivare? Certa arte contemporanea può essere vagliata da questo quesito. In questo caso specifico sembra che si sia ricoperto di contenuti nuovi un contenitore vecchio, ovvero lo schermo.
Anche se la ricerca artistica di Zenelli ha previsto l'uso e la selezioni di immagini in rete, il prodotto scelto viene presentato in uno schermo, reiterato e ripetuto, in modo che l'assunto di partenza -lasciami solo- si vanifichi e diventi altro. Resti, cioè, un grido anonimo di aiuto in cui ognuno può rispecchiarsi nel caos delle "strade odierne".
Concettualmente è un lavoro impeccabile, ed è un peccato che la resa sia molto -troppo- vicina a opere di una quarantina d'anni fa.
Pensiamo alle prime sperimentazioni del mezzo come opera d'arte negli anni '60, al suo sviluppo nella video arte che già in nuce si faceva portatrice delle stesse istanze che ancora oggi colpiscono e Zenelli e la curatrice: la spersonalizzazione e l'anonimato dei grandi centri urbani.
Nulla di nuovo, insomma, e non resta che convenire con Luca Beatrice, nell'andare a "rovistare" all'Accademia.
SURPRISE
Ciclo espositivo a cura di Maria Teresa Roberto
Max Pellegrini. Ritratti femminili 1966-1971
VITRINE
Terza edizione: Gente in strada (passaggio pedonale) a cura di Anna Musini
DRIANT ZENELI - Leave me alone
Il primo è un appuntamento annuale dedicato ad aspetti specifici della ricerca artistica torinese tra gli anni Sessanta e Settanta, curato da Maria Teresa Roberto (docente di Storia dell'Arte Contemporanea presso l'Accademia Albertina di Torino); il secondo, un progetto dedicato alla ricerca artistica contemporanea sviluppata in Piemonte e curato da Anna Musini, curatrice della GAM.
Per la prima volta, per il ciclo Surprise, si presenta al pubblico una selezione di opere degli anni Sessanta di Max Pellegrini, di ispirazione Pop e provenienti da alcune importanti collezioni private italiane. Scoperto e molto apprezzato dal grande critico Luigi Carluccio, Pellegrini nasce a Torino nel 1945, dove tuttora vive e lavora; si diploma all'Accademia Albertina di Belle Arti e si laurea in Architettura al Politecnico di Torino.
Dopo la sua prima personale alla Galleria il Punto, dove nel 1966 espone una serie di ritratti femminili di ispirazione Pop, partecipa insieme agli artisti del gruppo Fluxus alla scena artistica torinese che ruota intorno al Piper, dove nel 1967 organizza la performance: Al Piper è la fine del mondo.
Il progetto Surprise intende sondare e mettere a fuoco aspetti e snodi di quel periodo, durante il quale sono state gettate le basi per il riconoscimento artistico di Torino a livello internazionale.
La mostra si concentra su uno specifico periodo della produzione dell'artista, gli anni fra il 1966 e il 1971, in cui i ritratti femminili assumono un'aspetto importante nella sua ricerca ed in cui è più che evidente l'influenza e la conoscenza della Pop Art americana. Ci aveva pensato la Galleria Sperone a portare a Torino esponenti pop-americani come Roy Liechtenstein, Robert Rauschenberg e Jasper Johns, di lì a poco consacrati a Venezia.
Pellegrini è figlio di questa cultura innovativa, che non copia semplicemente i grandi - pensiamo all'uso di Warhol dell'immagine commerciale che, consumata dalle masse, diviene il nuovo soggetto dell'opera d'arte, escludendo così qualsiasi legame con la prassi artistica - ma li rilegge, come nello stesso periodo facevano alcuni giovani artisti romani gravitando attorno la figura più rappresentativa di Mario Schifano, affiancando alla voracità di immagini della cultura pop, la tradizione figurativa europea e, nel suo caso, italiana. < br/> Fondamentale è anche la ricerca sulla connessione tra fotografia e pittura che in quegli anni anima lo scenario sia artistico che culturale.
Interessante indubbiamente il percorso di scoperta e rivalutazione degli artisti cittadini a cavallo fra anni Sessanta e Settanta, però una considerazione va fatta. Alle inaugurazioni della Gam mancano i giovani, gli stessi ai quali una struttura museale deve rivolgersi. Solo un numero sparuto di under trenta (ma non di molto) si vedeva muoversi intorno all'opera di Zenelli. La maggioranza era composta di over 40 (anche di molto!) e la Gam non è, almeno nel suo intento, un "museo per vecchi". Certo le generazioni precedenti detengono un enorme patrimonio culturale, ma se Surprise intende trasmetterlo ai posteri, non ha -almeno in questo caso- colto nel segno: all'inaugurazione c'erano quasi solo coetanei dell'artista. Sarebbe forse da rivedere l'interlocutore per i singoli momenti espositivi e da esso partire per una buona campagna marketing. Soprattutto perchè tale lacuna evidenziata non si esaurirà di certo esponendo Renoir.
Per Vitrine, giunto alla sua terza edizione, la curatrice Anna Musini è partita dal lavoro di Renato Guttuso Gente in Strada.
L'opera cristallizza un momento, una scena rubata dalla strada, dalla quotidianità, un'immagine comune cui siamo abituati, che seppure datata 1956-1957 resta assolutamente attuale. La strada e il passaggio divengono i simboli della società, della realtà civile e quotidiana.
L'arte non può prescindere dall'essere espressione di un preciso momento storico, caratterizzato da particolari situazioni sociali, economiche, politiche, culturali. Attraverso linguaggi e tecniche differenti le opere che verranno presentate in questa terza edizione del progetto si propongono d'innescare un confronto con la società civile, uno scambio di sguardi, che coinvolge artista e spettatore nel narrare ed interpretare il vissuto quotidiano.
Driant Zenelli, classe 1983, con Leave me Alone inaugura l'inizio di questo nuovo ciclo espositivo. Il problema qui si pone su un altro versante: quello che vedo è interessante per come l'artista lo ha tradotto in arte, o quello che vedo diviene interessante perché capisco dove il comunicato o la presentazione che sia, vogliono arrivare? Certa arte contemporanea può essere vagliata da questo quesito. In questo caso specifico sembra che si sia ricoperto di contenuti nuovi un contenitore vecchio, ovvero lo schermo.
Anche se la ricerca artistica di Zenelli ha previsto l'uso e la selezioni di immagini in rete, il prodotto scelto viene presentato in uno schermo, reiterato e ripetuto, in modo che l'assunto di partenza -lasciami solo- si vanifichi e diventi altro. Resti, cioè, un grido anonimo di aiuto in cui ognuno può rispecchiarsi nel caos delle "strade odierne".
Concettualmente è un lavoro impeccabile, ed è un peccato che la resa sia molto -troppo- vicina a opere di una quarantina d'anni fa.
Pensiamo alle prime sperimentazioni del mezzo come opera d'arte negli anni '60, al suo sviluppo nella video arte che già in nuce si faceva portatrice delle stesse istanze che ancora oggi colpiscono e Zenelli e la curatrice: la spersonalizzazione e l'anonimato dei grandi centri urbani.
Nulla di nuovo, insomma, e non resta che convenire con Luca Beatrice, nell'andare a "rovistare" all'Accademia.
SURPRISE
Ciclo espositivo a cura di Maria Teresa Roberto
Max Pellegrini. Ritratti femminili 1966-1971
VITRINE
Terza edizione: Gente in strada (passaggio pedonale) a cura di Anna Musini
DRIANT ZENELI - Leave me alone
Gam website:
www.gamtorino.it
www.gamtorino.it