Esther Nienhuis
Se Baudelaire preferiva vedere il mondo da dietro una finestra illuminata da una candela, a lei aggrada guardare ciò che la circonda attraverso uno schermo e per la precisione uno schermo invaso d'acqua.
Classe 1977, Esther Nienhuis nasce a De Bilt, in Olanda. Laureatasi in Storia Contemporanea presso l'Università di Groningen, decide di frequentare l'Accademia di Belle Arti di Den Haag, città in cui vive e lavora. Qui apprenderà tecniche e stili e svilupperà un linguaggio suo proprio fatto di poesia e iper-realismo, a metà fra cura maniacale del dettaglio e composizioni in-definite.
Dal 2007 in poi, i suoi lavori hanno sempre ricercato il confine in cui tempo e spazio si annullano, in cui il qui e l'ora si dilatano tanto da diventare eterni, suscitando così l'interesse di galleristi e collezionisti. La sua arte, quindi, non ha nulla a che fare con l'immanenza - anche se è dal contingente che si origina - ma tende tutta verso quel trascendente fatto di grigi, nasce dall'assenza di certezze. E le sue tele conducono, infatti, in quel non luogo dove tutto può essere ridiscusso e ridefinito, in quello spazio in cui tutto si distrugge per rinascere a nuova vita. Guardando il mondo - o comunque l'esterno - attraverso uno schermo, già cambia la visuale di chi guarda; poi se questo filtro è ricoperto d'acqua, si capisce bene come ciò che si vede appaia sbiadito, poco nitido, indecifrabile. Così, l'artista dalla visione miope - potremmo chiamarla in questo modo - pur volendo vedere meno riesce, attraverso l'occhio interno dell'arte, a guardare oltre riuscendo a vedere di più.
Le sue tele sono il palcoscenico in cui gocce di pioggia danzano e si posizionano sullo schermo come a volerne narrare una storia. Piccoli dettagli si intravedono oltre questo muro d'acqua: una strada, un albero, una casa, un finestrino, un paesaggio. Comunque si narra la vita, quella interna o quella esterna poco importa. Ha importanza il racconto, la riflessione, il porsi domande. E per intraprendere questo percorso occorre fare un viaggio, lo stesso che l'artista attraverso le sue opere fa e ci invita a fare. Un viaggio può essere anche una fuga ed è per questo che le sue tele parlano di assenze e desideri, di treni che si sono persi e che si vuole arrivare a prendere, di tempeste vissute dentro lo spazio protetto di un'auto. Parlano di passato, certo, ma è nella rivalutazione dello stesso, fra ricordi vacui e sentimenti inespressi che si guarda al futuro volendo migliorare il proprio presente.
Questa è la poetica della nostra artista che, da brava olandese, non fa prescindere la sua arte da quella cura del dettaglio e del dato naturale che fece grandi i suoi predecessori. Quindi una natura dipinta con volontà fotografica si esprime attraverso una tecnica pregiabilissima, capace d'ingannare lo sguardo.
La pioggia quasi palpabile - tanto che vien voglia di togliere quelle gocce d'acqua per riuscir a veder meglio - ed il suo movimento costituiscono un altro racconto all'interno della storia narrata dalle immagini. Le immagini sbiadite, infatti, come simbolo della vita reale, la pioggia come richiamo del dato interno, caotico, irruento, indomabile.
E questo crea all'occhio dello spettatore un contrasto sensibilissimo fra la chiarezza della resa pittorica e la visione evanescente delle immagini dipinte. Un mix ottimale fra tecnica e messaggio, atto a individuare come nell'uomo contemporaneo la forma e il suo mostrarsi possano apparire nitidi, perfetti perché omologati, come di fronte ad un perfetto uomo socializzato.
Ma, quando dalla forma passiamo all'essenza, troveremo la stessa chiarezza? E i confini, saranno così marcati?
Esther Nienhuis ha esposto il suo lavoro in Olanda, Regno Unito, Australia, Canada, Francia, Belgio e Usa, Italia. Recentemente ha vinto il premio d'arte olandese 'Gasunie Kunstprijs'.
Classe 1977, Esther Nienhuis nasce a De Bilt, in Olanda. Laureatasi in Storia Contemporanea presso l'Università di Groningen, decide di frequentare l'Accademia di Belle Arti di Den Haag, città in cui vive e lavora. Qui apprenderà tecniche e stili e svilupperà un linguaggio suo proprio fatto di poesia e iper-realismo, a metà fra cura maniacale del dettaglio e composizioni in-definite.
Dal 2007 in poi, i suoi lavori hanno sempre ricercato il confine in cui tempo e spazio si annullano, in cui il qui e l'ora si dilatano tanto da diventare eterni, suscitando così l'interesse di galleristi e collezionisti. La sua arte, quindi, non ha nulla a che fare con l'immanenza - anche se è dal contingente che si origina - ma tende tutta verso quel trascendente fatto di grigi, nasce dall'assenza di certezze. E le sue tele conducono, infatti, in quel non luogo dove tutto può essere ridiscusso e ridefinito, in quello spazio in cui tutto si distrugge per rinascere a nuova vita. Guardando il mondo - o comunque l'esterno - attraverso uno schermo, già cambia la visuale di chi guarda; poi se questo filtro è ricoperto d'acqua, si capisce bene come ciò che si vede appaia sbiadito, poco nitido, indecifrabile. Così, l'artista dalla visione miope - potremmo chiamarla in questo modo - pur volendo vedere meno riesce, attraverso l'occhio interno dell'arte, a guardare oltre riuscendo a vedere di più.
Le sue tele sono il palcoscenico in cui gocce di pioggia danzano e si posizionano sullo schermo come a volerne narrare una storia. Piccoli dettagli si intravedono oltre questo muro d'acqua: una strada, un albero, una casa, un finestrino, un paesaggio. Comunque si narra la vita, quella interna o quella esterna poco importa. Ha importanza il racconto, la riflessione, il porsi domande. E per intraprendere questo percorso occorre fare un viaggio, lo stesso che l'artista attraverso le sue opere fa e ci invita a fare. Un viaggio può essere anche una fuga ed è per questo che le sue tele parlano di assenze e desideri, di treni che si sono persi e che si vuole arrivare a prendere, di tempeste vissute dentro lo spazio protetto di un'auto. Parlano di passato, certo, ma è nella rivalutazione dello stesso, fra ricordi vacui e sentimenti inespressi che si guarda al futuro volendo migliorare il proprio presente.
Questa è la poetica della nostra artista che, da brava olandese, non fa prescindere la sua arte da quella cura del dettaglio e del dato naturale che fece grandi i suoi predecessori. Quindi una natura dipinta con volontà fotografica si esprime attraverso una tecnica pregiabilissima, capace d'ingannare lo sguardo.
La pioggia quasi palpabile - tanto che vien voglia di togliere quelle gocce d'acqua per riuscir a veder meglio - ed il suo movimento costituiscono un altro racconto all'interno della storia narrata dalle immagini. Le immagini sbiadite, infatti, come simbolo della vita reale, la pioggia come richiamo del dato interno, caotico, irruento, indomabile.
E questo crea all'occhio dello spettatore un contrasto sensibilissimo fra la chiarezza della resa pittorica e la visione evanescente delle immagini dipinte. Un mix ottimale fra tecnica e messaggio, atto a individuare come nell'uomo contemporaneo la forma e il suo mostrarsi possano apparire nitidi, perfetti perché omologati, come di fronte ad un perfetto uomo socializzato.
Ma, quando dalla forma passiamo all'essenza, troveremo la stessa chiarezza? E i confini, saranno così marcati?
Esther Nienhuis ha esposto il suo lavoro in Olanda, Regno Unito, Australia, Canada, Francia, Belgio e Usa, Italia. Recentemente ha vinto il premio d'arte olandese 'Gasunie Kunstprijs'.
Gb
www.esthernienhuis.nl