Sacrificio, perseveranza, determinazione.
Il Teatro (serio) di Silvia Battaglio
E' stata una sorpresa, piacevolissima, scoprire, nell'onnivora Torino, il gusto e la sua idea di teatro.
Fin dalla visione di Jeanne, proseguendo poi con Maria, fino a giungere a Lolita, completando così la trilogia tutta al femminile, Silvia Battaglio regalava al pubblico un punto di vista personalissimo. Originale e fuori dal coro, simile, con le dovute differenze, a la poetica degli Zerogrammi, con i quali collabora. Due relatà torinesi che vivono un pò ai margini della "grande offerta" di danza, ma nascondono in sè, forse, il meglio del teatro-danza piemontese. Portavoce di un teatro che sia completo nell'unione di voce e corpo, e che sia, perchè così deve essere, rito collettivo, l'artista torinese, unisce al suo lavoro creativo l'attività didattica.
In occasione del suo ultimo lavoro, Nati dalla Tempesta, insieme agli allievi del Laboratorio annuale di ricerca teatrale, presentato al Tangram Teatro per Maldipalco, l'abbiamo incontrata. Le abbiamo chiesto del suo essere insegnate, di come nasce un'idea e di come si concretizza sulla scena. Abbiamo cercato di capire cosa è arte e cosa teatro. Non ultimo cercare di capire se in Italia il talento paga e come si vive fuori dai grandi circuiti commerciali. Per voi, il teatro secondo Silvia Battaglio
D. MaldiPalco e l'insegnamento. Dietro le quinte le emozioni di Silvia.
R. Dietro le quinte le mie emozioni e quelle dei giovani interpreti dello spettacolo. Sono loro che, più di tutti, attendono il "momento", sono loro che stanno raccolti in un concentrato silenzio con in mano qualcosa che assomiglia quasi ad un sogno: l'attimo prima di entrare. L'attimo in cui pensi che ormai tutto (il possibile) è stato fatto, in cui speri di non deluderti e deludere, di restare calmo, presente a te stesso perché è soltanto lì che vorresti essere e non altrove, dopo mesi di lavoro, quella è la prova che il tuo impegno è servito a qualcosa, quantomeno a sentirti felice, impaurito, indeciso, determinato, scosso, appassionato: vivo. Ci sono loro dietro le quinte della piccola e intima sala del Tangram Teatro il cui palco è talmente prossimo al pubblico che sembra davvero possibile sentir battere all'unisono il cuore di chi sta al di qua e al di là del palco. E dunque sono i valorosi Elisa Diacono, Giulia Maino, Giulia Madau, Daniela Pisci, Lorenzo Paladini, Luca Molinari, Luca Manero i combattenti che aspettano di portare in scena il loro sentimento, di farne condivisione e rito. E io li guardo. Dalla consolle, li seguo, li ascolto davvero, o almeno ci provo. Li assecondo con le luci e la musica, sperando di accompagnarli con discrezione e cura, di non anticiparli o di perdermi, dal momento che loro, interpreti autentici e generosi, rischiano di farmi commuovere e io invece devo restare "ferma" per poter manovrare come si conviene i cursori del mixer che dal fondo della sala mi conducono attraverso un ponte invisibile fin sul palco, da loro. La stima che mi lega a questo gruppo è stata la base che ha permesso di realizzare lo spettacolo, una stima umana, professionale, che ha caratterizzato il nostro percorso di formazione, ognuno dei componenti di Lart (laboratorio annuale ricerca teatrale) ha bisogno di fare teatro prima di tutto, c'è chi aspira a farlo per professione, c'è invece chi lo fa per "sola" passione ritagliandosi, magari con fatica, un piccolo spazio per sé, e denudandosi senza riserve con onestà e serietà. Ed io ammiro questa capacità di saper stare, davvero, dentro un processo. Ammiro l'impegno, lo spirito di solidarietà e, nonostante non si tratti di professionisti nel senso stretto del termine (quantomeno non ancora), la professionalità di cui sono capaci è qualcosa di molto prezioso che tante volte non si incontra tra coloro che si ritengono professionisti: la mia gioia più grande è riposta nella consapevolezza che Nati dalla Tempesta è stato un lavoro che è "servito" ad altri oltre che a me.
D. Le nuove leve. Esiste ancora e purtroppo, e ne parlavamo prima dello spettacolo, nell'immaginario dei performer la dicotomia fra corpo e voce, o meglio gli attori credono che si reciti solo con la voce - penso al tuo insistere sugli addominali - e i danzatori che la voce non sia corpo, che recitare non sia fisico insomma. Dunque, ancora oggi dopo Odin e le esperienze del Living, e tutte le speculazioni successive, neanche chi vuol fare teatro sa come farlo?
R. Certamente l'Odin, i Living e altri grandi maestri della danza e del teatro hanno aperto la strada verso quello che è stata (ed è ancora) la ricerca di nuovi linguaggi e accompagnandoci, aprendoci gli occhi di fronte al naturale superamento della dicotomia tra corpo e voce che dovrebbe essere un pensiero guida per tutti coloro che si avvicinano al teatro e alla danza, purtroppo molto spesso, sul piano dell'offerta formativa, è ancora persistente la tendenza a scindere i due piani. Sicuramente gli aspiranti danzatori e dall'altra parte gli aspiranti attori necessitano di percorsi di base ben differenziati che li preparino all'una o all'altra professione, ma entrambe le "categorie" potrebbero giovare di metodologie integrate tra corpo-voce, amplificando le proprie capacità tecniche ed espressive. Spesso invece passa un po' l'idea (obsoleta) che un attore possa anche non possedere una solida tecnica sul piano fisico, e che un danzatore possa anche fare a meno di una preparazione sul piano interpretativo e/o vocale. E' bene differenziare le professioni certo, ma penso che risulterebbe assai costruttivo investire maggiormente su percorsi didattici intrecciati e complementari che contribuiscano alla formazione di performer completi: attori-danzatori, o viceversa, a seconda di quale sia la principale "specialità". Ai giovani aspiranti attori o danzatori direi che è bene avere una formazione accademica, di base, certamente, ma sarebbe buona cosa cercare la propria strada aprendosi a percorsi di formazione che più possibile facciano scaturire domande, dubbi, suscitino turbamento, oltre che appagamento, che mettano nella condizione di sentirsi confusi, destabilizzati, attraversati, che diano la possibilità di scoprire qualcosa che non si sa di avere dentro se stessi, e di farne risorsa, tesoro, crescita.
D. Shakespeare: Amleto e Otello. Due col diavolo in corpo?
R. I giovani interpreti di Lart (Laboratorio annuale ricerca teatrale) hanno studiato con me sia tecniche del corpo che della voce, per poi approdare nel laboratorio e concentrarsi su un testo complesso, anzi due testi: Otello e Amleto. Per Maldipalco 2015, il cui tema quest'anno è stato il Diavolo in Corpo, mi sembrava attinente la scelta di lavorare su un testo che fosse il frutto di una drammaturgia incrociata tra le due opere Shakesperiane che pulsano di fisicità, passione, fuoco, contrasto, e anche di violenza. E così è arrivato il titolo, Nati dalla Tempesta, ovvero, nati da un lavoro di ricerca corale che spesso ci ha messo nella travagliata condizione di "non sapere" dove saremo approdati, ma allo stesso tempo ci ha stimolato e coinvolto fino a farci toccare la verità, l'impulso, l'anima dei testi Shakesperiani così pregni di fisicità, portandoci dentro a temi inevitabilmente forti, quali la naturale tensione dell'uomo verso la guerra, la prevaricazione nei confronti dei più deboli, il desiderio mai inappagato di potere, ma toccando al contempo il sentimento unico, indispensabile e comune ad ogni essere umano: l'amore.
D. Fra linee curve, disequilibri ed ellissi fisiche la Tempesta si fa caos di carne, impulso sessuale, vitalismo violento. E così che si nasce dalla Tempesta, soffrendo ci stai dicendo?
R. Non penso che si nasca (o si rinasca) per forza soffrendo, ognuno "decide" cosa e quanto investire in termini personali nella ricerca di una strada da percorrere, e tante volte il percorso è costellato di inciampi, ripensamenti, intuizioni, sorprese (anche belle!), alcune volte se siamo fortunati il percorso ci mette di fronte a incontri speciali che, se lo permettiamo, possono farci crescere. Ma per crescere è necessario confrontarsi, talvolta ammettendo i propri limiti, e tutto questo costa sacrificio, perseveranza, determinazione, senza contare che, per poter intraprendere la "nostra" strada e crescere nel modo che ci corrisponde, è necessario prima di tutto saper riconoscere i nostri reali bisogni, e non sempre è semplice (specie da ragazzi) sapere ciò che di cui si ha davvero bisogno.
D. Tu scrivi: abusi di potere, prevaricazione.. la vita diventa una danza feroce per la conquista di un ruolo da interpretare, come in una vera e propria giostra di esistenze precarie. Stai parlando del nostro presente? Perchè quello che scrivi sembra proprio la visione disincantata della nostra Italia, in cui gli artisti, e non solo - forse quelli più meritevoli - devono combattere per la conquista di un proprio, meritato, ruolo.
R. Nati dalla Tempesta vuole essere un meccanismo ad orologeria, un acquario, una giostra che reitera comportamenti, attitudini, difetti umani, un non-luogo della mente in cui sette giovani interpreti si fanno portavoce di quel senso di precarietà - rintracciabile sia sul piano esistenziale che sociale - che accumuna molti di noi (non solo artisti ovviamente) nella ricerca di un "posto nel mondo", di un riconoscimento sul piano personale e, perché no, professionale.
D. Lolita, la tua ultima creazione. Raccontaci il successo dello spettacolo.
R. Il senso della precarietà, intesa come fragilità, mi interessa molto, in Lolita infatti è stato uno dei temi portanti, una precarietà che sfociava nell'inconsistenza di un'età non vissuta, nella solitudine di una bambina dimenticata, se non addirittura abusata, dal mondo degli adulti, e quindi sola, precaria, fragile, senza riferimento alcuno. L'anteprima all'Odin Teatret diretto dal maestro Eugenio Barba in Danimarca e il prestigioso debutto al Teatro Stabile di Torino la scorsa stagione, hanno permesso di far crescere Lolita e di affacciarsi al mondo diventando uno spettacolo completo, considerato attuale, dal titolo "strategico", tecnicamente agile, pronto per girare l'Italia insomma. Lolita ha giovato di importanti collaborazioni, ha avuto un bellissimo e fortunato percorso di nascita e crescita, ha infine riscontrato un'ottima risposta tra critica e pubblico, si può dunque dire che abbia avuto la sua buona dose di successo. Ma il successo è anche connesso, credo, alla possibilità di veder circuitare il proprio lavoro, di condividerlo, di distribuirlo, e se questo non avviene nei termini e nei modi che ci si aspetta, allora anche il successo (percepito) risulta limitato, costretto, compresso, e il ciclo vitale stesso della creazione, in qualche modo, viene un po' meno: questo discorso certamente vale per tutti coloro che fanno il mio mestiere e che ogni giorno lavorano e si prodigano affinché le proprie creazioni possano vivere trovando respiro in Italia. Ma qui si aprirebbe un lungo discorso: gli sbarramenti che il teatro di ricerca trova nei cartelloni italiani, la difficoltà dei programmatori di portare nelle proprie stagioni spettacoli non accomodanti, non facili, caratterizzati da un linguaggio di confine, le scelte che pendono sempre di più verso un teatro commerciale, leggero, di "distrazione" più che di "riflessione e partecipazione", e infine l'amara constatazione che anche nel teatro, così come in tutte le altre professioni, il processo di selezione sia spesso legato a criteri di convenienza piuttosto che a criteri connessi alla reale qualità artistica del progetto. Ma è buona pratica continuare a creare, impegnandosi con rigore e coerenza, facendo del proprio mestiere, qualunque esso sia - e se si ha la fortuna di farlo per scelta - occasione di crescita, rinnovamento e resistenza.
Fin dalla visione di Jeanne, proseguendo poi con Maria, fino a giungere a Lolita, completando così la trilogia tutta al femminile, Silvia Battaglio regalava al pubblico un punto di vista personalissimo. Originale e fuori dal coro, simile, con le dovute differenze, a la poetica degli Zerogrammi, con i quali collabora. Due relatà torinesi che vivono un pò ai margini della "grande offerta" di danza, ma nascondono in sè, forse, il meglio del teatro-danza piemontese. Portavoce di un teatro che sia completo nell'unione di voce e corpo, e che sia, perchè così deve essere, rito collettivo, l'artista torinese, unisce al suo lavoro creativo l'attività didattica.
In occasione del suo ultimo lavoro, Nati dalla Tempesta, insieme agli allievi del Laboratorio annuale di ricerca teatrale, presentato al Tangram Teatro per Maldipalco, l'abbiamo incontrata. Le abbiamo chiesto del suo essere insegnate, di come nasce un'idea e di come si concretizza sulla scena. Abbiamo cercato di capire cosa è arte e cosa teatro. Non ultimo cercare di capire se in Italia il talento paga e come si vive fuori dai grandi circuiti commerciali. Per voi, il teatro secondo Silvia Battaglio
D. MaldiPalco e l'insegnamento. Dietro le quinte le emozioni di Silvia.
R. Dietro le quinte le mie emozioni e quelle dei giovani interpreti dello spettacolo. Sono loro che, più di tutti, attendono il "momento", sono loro che stanno raccolti in un concentrato silenzio con in mano qualcosa che assomiglia quasi ad un sogno: l'attimo prima di entrare. L'attimo in cui pensi che ormai tutto (il possibile) è stato fatto, in cui speri di non deluderti e deludere, di restare calmo, presente a te stesso perché è soltanto lì che vorresti essere e non altrove, dopo mesi di lavoro, quella è la prova che il tuo impegno è servito a qualcosa, quantomeno a sentirti felice, impaurito, indeciso, determinato, scosso, appassionato: vivo. Ci sono loro dietro le quinte della piccola e intima sala del Tangram Teatro il cui palco è talmente prossimo al pubblico che sembra davvero possibile sentir battere all'unisono il cuore di chi sta al di qua e al di là del palco. E dunque sono i valorosi Elisa Diacono, Giulia Maino, Giulia Madau, Daniela Pisci, Lorenzo Paladini, Luca Molinari, Luca Manero i combattenti che aspettano di portare in scena il loro sentimento, di farne condivisione e rito. E io li guardo. Dalla consolle, li seguo, li ascolto davvero, o almeno ci provo. Li assecondo con le luci e la musica, sperando di accompagnarli con discrezione e cura, di non anticiparli o di perdermi, dal momento che loro, interpreti autentici e generosi, rischiano di farmi commuovere e io invece devo restare "ferma" per poter manovrare come si conviene i cursori del mixer che dal fondo della sala mi conducono attraverso un ponte invisibile fin sul palco, da loro. La stima che mi lega a questo gruppo è stata la base che ha permesso di realizzare lo spettacolo, una stima umana, professionale, che ha caratterizzato il nostro percorso di formazione, ognuno dei componenti di Lart (laboratorio annuale ricerca teatrale) ha bisogno di fare teatro prima di tutto, c'è chi aspira a farlo per professione, c'è invece chi lo fa per "sola" passione ritagliandosi, magari con fatica, un piccolo spazio per sé, e denudandosi senza riserve con onestà e serietà. Ed io ammiro questa capacità di saper stare, davvero, dentro un processo. Ammiro l'impegno, lo spirito di solidarietà e, nonostante non si tratti di professionisti nel senso stretto del termine (quantomeno non ancora), la professionalità di cui sono capaci è qualcosa di molto prezioso che tante volte non si incontra tra coloro che si ritengono professionisti: la mia gioia più grande è riposta nella consapevolezza che Nati dalla Tempesta è stato un lavoro che è "servito" ad altri oltre che a me.
D. Le nuove leve. Esiste ancora e purtroppo, e ne parlavamo prima dello spettacolo, nell'immaginario dei performer la dicotomia fra corpo e voce, o meglio gli attori credono che si reciti solo con la voce - penso al tuo insistere sugli addominali - e i danzatori che la voce non sia corpo, che recitare non sia fisico insomma. Dunque, ancora oggi dopo Odin e le esperienze del Living, e tutte le speculazioni successive, neanche chi vuol fare teatro sa come farlo?
R. Certamente l'Odin, i Living e altri grandi maestri della danza e del teatro hanno aperto la strada verso quello che è stata (ed è ancora) la ricerca di nuovi linguaggi e accompagnandoci, aprendoci gli occhi di fronte al naturale superamento della dicotomia tra corpo e voce che dovrebbe essere un pensiero guida per tutti coloro che si avvicinano al teatro e alla danza, purtroppo molto spesso, sul piano dell'offerta formativa, è ancora persistente la tendenza a scindere i due piani. Sicuramente gli aspiranti danzatori e dall'altra parte gli aspiranti attori necessitano di percorsi di base ben differenziati che li preparino all'una o all'altra professione, ma entrambe le "categorie" potrebbero giovare di metodologie integrate tra corpo-voce, amplificando le proprie capacità tecniche ed espressive. Spesso invece passa un po' l'idea (obsoleta) che un attore possa anche non possedere una solida tecnica sul piano fisico, e che un danzatore possa anche fare a meno di una preparazione sul piano interpretativo e/o vocale. E' bene differenziare le professioni certo, ma penso che risulterebbe assai costruttivo investire maggiormente su percorsi didattici intrecciati e complementari che contribuiscano alla formazione di performer completi: attori-danzatori, o viceversa, a seconda di quale sia la principale "specialità". Ai giovani aspiranti attori o danzatori direi che è bene avere una formazione accademica, di base, certamente, ma sarebbe buona cosa cercare la propria strada aprendosi a percorsi di formazione che più possibile facciano scaturire domande, dubbi, suscitino turbamento, oltre che appagamento, che mettano nella condizione di sentirsi confusi, destabilizzati, attraversati, che diano la possibilità di scoprire qualcosa che non si sa di avere dentro se stessi, e di farne risorsa, tesoro, crescita.
D. Shakespeare: Amleto e Otello. Due col diavolo in corpo?
R. I giovani interpreti di Lart (Laboratorio annuale ricerca teatrale) hanno studiato con me sia tecniche del corpo che della voce, per poi approdare nel laboratorio e concentrarsi su un testo complesso, anzi due testi: Otello e Amleto. Per Maldipalco 2015, il cui tema quest'anno è stato il Diavolo in Corpo, mi sembrava attinente la scelta di lavorare su un testo che fosse il frutto di una drammaturgia incrociata tra le due opere Shakesperiane che pulsano di fisicità, passione, fuoco, contrasto, e anche di violenza. E così è arrivato il titolo, Nati dalla Tempesta, ovvero, nati da un lavoro di ricerca corale che spesso ci ha messo nella travagliata condizione di "non sapere" dove saremo approdati, ma allo stesso tempo ci ha stimolato e coinvolto fino a farci toccare la verità, l'impulso, l'anima dei testi Shakesperiani così pregni di fisicità, portandoci dentro a temi inevitabilmente forti, quali la naturale tensione dell'uomo verso la guerra, la prevaricazione nei confronti dei più deboli, il desiderio mai inappagato di potere, ma toccando al contempo il sentimento unico, indispensabile e comune ad ogni essere umano: l'amore.
D. Fra linee curve, disequilibri ed ellissi fisiche la Tempesta si fa caos di carne, impulso sessuale, vitalismo violento. E così che si nasce dalla Tempesta, soffrendo ci stai dicendo?
R. Non penso che si nasca (o si rinasca) per forza soffrendo, ognuno "decide" cosa e quanto investire in termini personali nella ricerca di una strada da percorrere, e tante volte il percorso è costellato di inciampi, ripensamenti, intuizioni, sorprese (anche belle!), alcune volte se siamo fortunati il percorso ci mette di fronte a incontri speciali che, se lo permettiamo, possono farci crescere. Ma per crescere è necessario confrontarsi, talvolta ammettendo i propri limiti, e tutto questo costa sacrificio, perseveranza, determinazione, senza contare che, per poter intraprendere la "nostra" strada e crescere nel modo che ci corrisponde, è necessario prima di tutto saper riconoscere i nostri reali bisogni, e non sempre è semplice (specie da ragazzi) sapere ciò che di cui si ha davvero bisogno.
D. Tu scrivi: abusi di potere, prevaricazione.. la vita diventa una danza feroce per la conquista di un ruolo da interpretare, come in una vera e propria giostra di esistenze precarie. Stai parlando del nostro presente? Perchè quello che scrivi sembra proprio la visione disincantata della nostra Italia, in cui gli artisti, e non solo - forse quelli più meritevoli - devono combattere per la conquista di un proprio, meritato, ruolo.
R. Nati dalla Tempesta vuole essere un meccanismo ad orologeria, un acquario, una giostra che reitera comportamenti, attitudini, difetti umani, un non-luogo della mente in cui sette giovani interpreti si fanno portavoce di quel senso di precarietà - rintracciabile sia sul piano esistenziale che sociale - che accumuna molti di noi (non solo artisti ovviamente) nella ricerca di un "posto nel mondo", di un riconoscimento sul piano personale e, perché no, professionale.
D. Lolita, la tua ultima creazione. Raccontaci il successo dello spettacolo.
R. Il senso della precarietà, intesa come fragilità, mi interessa molto, in Lolita infatti è stato uno dei temi portanti, una precarietà che sfociava nell'inconsistenza di un'età non vissuta, nella solitudine di una bambina dimenticata, se non addirittura abusata, dal mondo degli adulti, e quindi sola, precaria, fragile, senza riferimento alcuno. L'anteprima all'Odin Teatret diretto dal maestro Eugenio Barba in Danimarca e il prestigioso debutto al Teatro Stabile di Torino la scorsa stagione, hanno permesso di far crescere Lolita e di affacciarsi al mondo diventando uno spettacolo completo, considerato attuale, dal titolo "strategico", tecnicamente agile, pronto per girare l'Italia insomma. Lolita ha giovato di importanti collaborazioni, ha avuto un bellissimo e fortunato percorso di nascita e crescita, ha infine riscontrato un'ottima risposta tra critica e pubblico, si può dunque dire che abbia avuto la sua buona dose di successo. Ma il successo è anche connesso, credo, alla possibilità di veder circuitare il proprio lavoro, di condividerlo, di distribuirlo, e se questo non avviene nei termini e nei modi che ci si aspetta, allora anche il successo (percepito) risulta limitato, costretto, compresso, e il ciclo vitale stesso della creazione, in qualche modo, viene un po' meno: questo discorso certamente vale per tutti coloro che fanno il mio mestiere e che ogni giorno lavorano e si prodigano affinché le proprie creazioni possano vivere trovando respiro in Italia. Ma qui si aprirebbe un lungo discorso: gli sbarramenti che il teatro di ricerca trova nei cartelloni italiani, la difficoltà dei programmatori di portare nelle proprie stagioni spettacoli non accomodanti, non facili, caratterizzati da un linguaggio di confine, le scelte che pendono sempre di più verso un teatro commerciale, leggero, di "distrazione" più che di "riflessione e partecipazione", e infine l'amara constatazione che anche nel teatro, così come in tutte le altre professioni, il processo di selezione sia spesso legato a criteri di convenienza piuttosto che a criteri connessi alla reale qualità artistica del progetto. Ma è buona pratica continuare a creare, impegnandosi con rigore e coerenza, facendo del proprio mestiere, qualunque esso sia - e se si ha la fortuna di farlo per scelta - occasione di crescita, rinnovamento e resistenza.
Tangram Teatro web site:
www.tangramteatro.it
Cie Silvia Battaglio website:
www.silviabattaglio.com
www.tangramteatro.it
Cie Silvia Battaglio website:
www.silviabattaglio.com