Di Marca legge BolaÑo
L'ultima conferenza al Circolo dei lettori
Nell'ambito del progetto A VOCE ALTA, programma di spettacoli a carattere letterario realizzato dalla Fondazione del Teatro Stabile di Torino e dal Circolo dei lettori, negli spazi di via bogino 9, giovedì 3 aprile, è andato in scena LA LINEA SPEZZATA DELLA TEMPESTA. Produzione Compagnia del Meta-Teatro, il reading verte su la figura di Roberto Bolaño, grande poeta cileno scomparso nel 2003, la voce e la presenza diPippo di Marca.
Nome di culto per il teatro di ricerca italiano, Pippo Di Marca è autore e interprete di questa conferenza, omaggio alla memoria del grande protagonista della migliore stagione letteraria sudamericana. Lui nell'intimità di un luogo raccolto, la sua voce a narrare di luoghi sporchi e di scopate.
Insieme al poeta Mario Santiago Papasquiaro (che sarà il modello per Ulises Lima nel romanzo Detective Selvaggi, che ottiene i primi riconoscimenti solo a partire dal 1998) Bolaño, fonda l'infrarealismo, il movimento poetico d'avanguardia che si formò dopo alcune riunioni nel Café de la Habana di Calle Bucarelli. Definito come Dada alla messicana, il movimento si opponeva radicalmente ai poteri dominanti dell'establishment letterario messicano che, allora, era incentrato sulla figura preponderante di Octavio Paz. Anche se intorno a questo movimento ruotavano all'incirca una quindicina di poeti, Roberto Bolaño e Mario Santiago Papasquiaro furono gli esponenti stilisticamente più solidi, autori di una poesia quotidiana, dissonante e con vari elementi dadaisti.
«L'opera (e probabilmente la vita, al di là e al di sopra delle apparenze e della mitizzazione che si è creata intorno alla sua esistenza) di Roberto Bolaño – scrive Pippo Di Marca - è un labirinto, il più straordinario labirinto partorito dall'immaginifica letteratura latinoamericana (che quanto a labirinti e realismi magici forse non ha pari) nella seconda metà del Novecento. [...] Tant'è che la sua poetica si può sintetizzare in una formula semplice quanto tremenda: l'orrore della vita, l'orrore del mondo. E questo lo avvicina, non solo per affinità elettive ma anche per scelta, per scienza e conoscenza consapevoli, ai grandi maledetti dell'Ottocento francese, a quelli che lui stesso considera i quattro cavalieri dell'apocalisse del moderno.>>
Bolaño è morto nel 2003 all'età di 50 anni. E sapeva di morire. Lo sapeva da almeno una dozzina d'anni. Ha vissuto l'ultima parte della sua vita in attesa di un trapianto di fegato che non ha fatto in tempo ad avere: aspettando, curandosi e soprattutto scrivendo come un forsennato libri su libri. Una delle ultime cose che ha scritto, forse l'ultima, pubblicata nel 2003 pochi mesi prima della morte, è un racconto-saggio in cui parla della sua malattia trasfigurandola nella malattia della letteratura, della poesia. […] Il tutto ci viene presentato, retoricamente, sotto forma di una surreale e al tempo stesso terribile e visionaria 'conferenza' sulla malattia».
Bolaño vive per soli 50 anni, e da quando ne aveva 38 sapeva di morire a causa della sua vita volutamente eccessiva, viziata dal desiderio tossico di conoscerne solo alcuni aspetti. Ha vent'anni nel 1973 quindi più che i maledetti francesi e più che i dadaisti svizzero-francesi, lui vive il periodo delle grandi ondate di rivoluzione giovanile, della beat generation, dei grandi trapassi in autostop, delle grandi ideologie che sempre e comunque fanno capo a riflessioni partorite a cavallo fra XIX e XX sec., ma che dopo il secondo conflitto mondiale rivivono, ma in un contesto ormai mutato rispetto quello di origine.
Mi spiego, c'è differenza fra Dada della prima metà del secolo e New Dada della seconda, così come c'è differenza fra i poeti maledetti e la loro interpretazione negli anni 60 e 70 filtrata dal movimento beat, i movimenti pacifisti e le grandi rivendicazioni politico-sociali. Nel senso che invece di prendere il meglio di quelle vittime sacrificali che in realtà furono i maledetti, vittime di sé stesse così come molti altri prima di loro, si affascinarono solo dei loro deliri e presero a modello le loro esistenze perché cool, patinate, rock e oscure come diremmo oggi.
Quindi il labirinto citato sopra, quello della sua opera e anche quello della sua vita, alla fine non è altro che un vortice da cui lui stesso si lascia condurre giù, fino al baratro saziandosi solo di ciò che trova a terra, in basso. Non stupisce che sia il sesso, quello animale e istintivo a sedurlo, e poi fiumi di alcool e vita bohemien, che già a partire dagli anni Ottanta risulta un cliché.
Certo è più facile perdersi che redimersi. E' più creativo, in quanto il dolore è più riflessivo della felicità, che sempre ci invita a godere del tempo piuttosto che a rimuginarci sopra. Quello che risulta difficile, ieri come oggi, è riuscire per molti, artisti e non, a cambiare, trasformarsi, crescere. Bolaño ha sguazzato dentro il torpore della sua esistenza, ne ha preso il meglio, lo ha innalzato tanto da farne letteratura - negli occhi di chi l'ha rivalutato, forse anche a fini commerciali - ma già all'età di 38 anni sapeva di dover morire.
Vita intensa? vissuta? gustata ed apprezzata? L'unica cosa che resta è lo scrivere, trovare nel racconto il senso di una vita che aveva perso il suo scopo. E per dodici anni scrive forsennatamente, nella volontà legittima, di lasciare un segno e di dare un senso alla sua morte più che alla sua vita. E lo prova il fatto che il suo primo riconoscimento arriva nel 1998, cinque anni prima la sua morte. Scrittura, la sua, che diviene simbolo a metà strada fra speranza e possibilità dell'immortalità.
Nome di culto per il teatro di ricerca italiano, Pippo Di Marca è autore e interprete di questa conferenza, omaggio alla memoria del grande protagonista della migliore stagione letteraria sudamericana. Lui nell'intimità di un luogo raccolto, la sua voce a narrare di luoghi sporchi e di scopate.
Insieme al poeta Mario Santiago Papasquiaro (che sarà il modello per Ulises Lima nel romanzo Detective Selvaggi, che ottiene i primi riconoscimenti solo a partire dal 1998) Bolaño, fonda l'infrarealismo, il movimento poetico d'avanguardia che si formò dopo alcune riunioni nel Café de la Habana di Calle Bucarelli. Definito come Dada alla messicana, il movimento si opponeva radicalmente ai poteri dominanti dell'establishment letterario messicano che, allora, era incentrato sulla figura preponderante di Octavio Paz. Anche se intorno a questo movimento ruotavano all'incirca una quindicina di poeti, Roberto Bolaño e Mario Santiago Papasquiaro furono gli esponenti stilisticamente più solidi, autori di una poesia quotidiana, dissonante e con vari elementi dadaisti.
«L'opera (e probabilmente la vita, al di là e al di sopra delle apparenze e della mitizzazione che si è creata intorno alla sua esistenza) di Roberto Bolaño – scrive Pippo Di Marca - è un labirinto, il più straordinario labirinto partorito dall'immaginifica letteratura latinoamericana (che quanto a labirinti e realismi magici forse non ha pari) nella seconda metà del Novecento. [...] Tant'è che la sua poetica si può sintetizzare in una formula semplice quanto tremenda: l'orrore della vita, l'orrore del mondo. E questo lo avvicina, non solo per affinità elettive ma anche per scelta, per scienza e conoscenza consapevoli, ai grandi maledetti dell'Ottocento francese, a quelli che lui stesso considera i quattro cavalieri dell'apocalisse del moderno.>>
Bolaño è morto nel 2003 all'età di 50 anni. E sapeva di morire. Lo sapeva da almeno una dozzina d'anni. Ha vissuto l'ultima parte della sua vita in attesa di un trapianto di fegato che non ha fatto in tempo ad avere: aspettando, curandosi e soprattutto scrivendo come un forsennato libri su libri. Una delle ultime cose che ha scritto, forse l'ultima, pubblicata nel 2003 pochi mesi prima della morte, è un racconto-saggio in cui parla della sua malattia trasfigurandola nella malattia della letteratura, della poesia. […] Il tutto ci viene presentato, retoricamente, sotto forma di una surreale e al tempo stesso terribile e visionaria 'conferenza' sulla malattia».
Bolaño vive per soli 50 anni, e da quando ne aveva 38 sapeva di morire a causa della sua vita volutamente eccessiva, viziata dal desiderio tossico di conoscerne solo alcuni aspetti. Ha vent'anni nel 1973 quindi più che i maledetti francesi e più che i dadaisti svizzero-francesi, lui vive il periodo delle grandi ondate di rivoluzione giovanile, della beat generation, dei grandi trapassi in autostop, delle grandi ideologie che sempre e comunque fanno capo a riflessioni partorite a cavallo fra XIX e XX sec., ma che dopo il secondo conflitto mondiale rivivono, ma in un contesto ormai mutato rispetto quello di origine.
Mi spiego, c'è differenza fra Dada della prima metà del secolo e New Dada della seconda, così come c'è differenza fra i poeti maledetti e la loro interpretazione negli anni 60 e 70 filtrata dal movimento beat, i movimenti pacifisti e le grandi rivendicazioni politico-sociali. Nel senso che invece di prendere il meglio di quelle vittime sacrificali che in realtà furono i maledetti, vittime di sé stesse così come molti altri prima di loro, si affascinarono solo dei loro deliri e presero a modello le loro esistenze perché cool, patinate, rock e oscure come diremmo oggi.
Quindi il labirinto citato sopra, quello della sua opera e anche quello della sua vita, alla fine non è altro che un vortice da cui lui stesso si lascia condurre giù, fino al baratro saziandosi solo di ciò che trova a terra, in basso. Non stupisce che sia il sesso, quello animale e istintivo a sedurlo, e poi fiumi di alcool e vita bohemien, che già a partire dagli anni Ottanta risulta un cliché.
Certo è più facile perdersi che redimersi. E' più creativo, in quanto il dolore è più riflessivo della felicità, che sempre ci invita a godere del tempo piuttosto che a rimuginarci sopra. Quello che risulta difficile, ieri come oggi, è riuscire per molti, artisti e non, a cambiare, trasformarsi, crescere. Bolaño ha sguazzato dentro il torpore della sua esistenza, ne ha preso il meglio, lo ha innalzato tanto da farne letteratura - negli occhi di chi l'ha rivalutato, forse anche a fini commerciali - ma già all'età di 38 anni sapeva di dover morire.
Vita intensa? vissuta? gustata ed apprezzata? L'unica cosa che resta è lo scrivere, trovare nel racconto il senso di una vita che aveva perso il suo scopo. E per dodici anni scrive forsennatamente, nella volontà legittima, di lasciare un segno e di dare un senso alla sua morte più che alla sua vita. E lo prova il fatto che il suo primo riconoscimento arriva nel 1998, cinque anni prima la sua morte. Scrittura, la sua, che diviene simbolo a metà strada fra speranza e possibilità dell'immortalità.
gb
Teatro Stabile Tornio
Circolo dei lettori
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Compagnia del Meta - Teatro
www.teatrostabiletorino.it
www.circolodeilettori.it
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