Sven Marquardt
Artista Dionisiaco
Gli inizi
Marquardt nella Berlino Est
Cresciuto all'ombra del muro – il simbolo più odiato della guerra fredda - costruito soltanto un anno prima della sua nascita, Sven Marquardt viene al mondo nel 1962 nel quartiere di Pankow, nella Berlino Est. Da piccolo, passa quasi tutto il suo tempo libero nella panetteria dei genitori, a Prenzlauer Berg.
Ribelle e presenza anomala nell'ordinata capitale della Germania Socialista, da adolescente, dopo aver conosciuto Robert Paris, figlio della celebre fotografa Helga, aderisce alla cultura underground del Punk, ai tempi della Stasi vista come uno schiaffo al regime, e inizia a frequentare gli ambienti artistici alternativi dove la sua inquietudine trovava sfogo.
Più che l'incontro con Robert, fu la conoscenza della madre Helga Paris - che negli anni Ottanta documentava, con le immagini, i diversi stili di vita del "periodo DDR" - a spronarlo e condurlo alla fotografia. «Lei mi ha spronato molto a continuare, anche nei momenti più bui. Io le facevo vedere i miei scatti e lei mi spiegava cosa funzionava e cosa no. E' stata davvero molto importante» dirà in un'intervista.
Successivamente fu l'incontro con Rudolf Schäfer, più contenuto come fotografo, a fargli fare un passo ulteriore nella sua idea di fotografia.«Rudolf aveva un metodo di fotografare più avanzato del mio e tendeva a presentare "lavori normali", non so se mi spiego; erano idee e immagini che, tendenzialmente, gli avrebbero evitato problemi con la Stasi – al contrario dei lavori di Helga Paris». Ma soprattutto la collaborazione con la rivista di moda Sibylle grazie a Sibylle Bergemann, che gli consentì di intraprendere la carriera artistica e di dare forma alla sua personalissima visione che in origine appartiene a quella Berlino dell'Est, anarchica e sregolata di cui Sven ha fatto parte ed ha saputo coglierne l'atmosfera edonistica, decadente e ribelle.
«Sono sempre stato un anticonformista e quello era il mio habitat naturale, anche se negli anni Ottanta era abbastanza pericoloso essere punk nella Berlino Est: la polizia ti arrestava anche soltanto se ti beccava chiedere moneta per strada.
Ascoltavo moltissimo sia il punk che la new wave, dai Sex Pistols ai Joy Division, passando attraverso i The Cure e B-52's, ma quello che facevo regolarmente era presenziare ai concerti illegali di band sconosciute berlinesi. La maggior parte delle volte erano organizzati dentro delle cantine. Concerti che spessissimo erano supportati dalla Chiesa, la quale sosteneva e aiutava la cultura underground perché andava contro il regime della DDR».
Quel muro ingombrante, che separava non soltanto due città ma due universi opposti, cadendo travolse con fragore occidentale la società artistica e culturale dell'Est. La perdita di amicizie e relazioni in seguito a una massiccia emigrazione verso Ovest portò Marquardt a sospendere per qualche anno la sua produzione artistica e dal 1993 al 2000, smette letteralmente di fotografare.
«Ho iniziato a fotografare perché desideravo una libertà che con la DDR non esisteva. All'inizio della mia carriera traevo spunto dal sentimento generale della gente che viveva a Berlino Est durante gli anni del Muro, nel momento in cui tutto è finito, ho sentito come se fosse terminato anche il mio compito, come se il mio desiderio fosse stato esaudito».
Marquardt dopo il Muro
Nel 1990, pochi mesi dopo la caduta del Muro, Sven inizia a lavorare per suo fratello Olivier, alias DJ Jauche, come buttafuori durante i party dell'Ostgut, l'antenato del Berghain, diventando il "guardiano del tempio" della musica elettronica e del movimento underground.
La parola buttafuori non gli piace affema, «Preferisco selezionatore». «Il mio lavoro come selector del Berghain è stato di grande inspirazione. Quando sono alla porta, vedo tanta gente passarmi davanti, molta della quale è una grossa fonte d'ispirazione per me».
Contrariamente a molti artisti dell'ex DDR, vittime della schiacciante predominanza economica e commerciale dell'ovest, Marquardt conserva, tuttavia, la sua poetica originaria ampliandone la ricerca espressiva, grazie alle nuove opportunità che nascevano dalla trasformazione della città e dei suoi abitanti.
Durante gli anni Novanta quella che era stata definita la "società rinchiusa" viene dimenticata e volutamente ignorata dall'establishment dell'arte contemporanea occidentale.
Proprio di quegli anni è il progressivo sviluppo di quello che gli artisti dell'ex Berlino Est chiamano Ostalgie, ovvero la nostalgia per la vita durante il sistema socialista.
Da allora numerosi fotografi tedeschi, a partire dagli anni Ottanta del secolo breve costituiscono, con le loro opere, un valido documento in grado di restituire, per dirla con Sander, il volto del tempo: da Herbert Tobias a Evelyn Richter, da Gabriele e Helmut Nothhelfer a Michael Schmidt, da Roger Melis a Sybille Bergemann, da Gundula Schulze-Eldowy a Rudolf Schäfer, da Heinz e Beate Rose a Wilmar Koenig, da Thomas Ruff a Candida Höfer.
poetica
Distante dalla fotografia di matrice socialista che caratterizzava la GDR, Sven Marquardt si situa nella tradizione dei cosiddetti fotografi "storytellers", con cui condivide l'interesse ad abbattere il diaframma tra obiettivo e vita e a considerare la macchina fotografica alla stregua di un'estensione della propria esperienza.
Un modus operandi dipanato in trent'anni, che presenta diversi punti di contatto con le ricerche dei suoi connazionali che a partire da August Sander - che negli anni Venti del Novecento avvia la sua monumentale opera, incompiuta, finalizzata a registrare fotograficamente la società della Repubblica di Weimar - conduce a Juergen Teller e Wolfgang Tillmans (che iniziano a fotografare all'incirca negli stessi anni), ed ai loro contraltari americani, tra gli altri: Larry Clark, Nan Goldin, Dash Snow, Ryan McGinley.
L'universo fotografico di Sven Marquardt restituisce un grandioso affresco storico del crepuscolo di un'epoca, recupera i toni melodrammatici e il gusto decadente filtrati attraverso l'estetica post-punk, malinconica ed esangue, che contraddistingue, nei primi anni Ottanta, il brulicante universo underground di Berlino Est.
È un microcosmo segnato da determinati codici visivi e indumentali, ideologici e comportamentali, un'epoca consumatasi insieme alla maggior parte dei suoi, necessariamente "dannati", protagonisti bohémien.
La serie Rudel rappresenta efficacemente questa concezione iconografica. In questo ciclo di ritratti, Bouncers & Djs subiscono una metamorfosi grazie alla sapiente regia dell'artista, trasformandosi in guardiani e sacerdoti del "tempio" all'interno degli scatti che ne enfatizzano l'aspetto nobile e severo. La struttura del Berghain – ed in particolare la Halle – costituiscono l'atelier naturale delle foto di Sven Marquardt, utilizzata dall'artista a partire dal 2004 per diverse serie come Shame on you del 2008, commissionata da Levi's, o Angesicht del 2009, fino alla recentissima Nachtblende del 2013, commissionata in parte da Hugo Boss, dove la monumentalità industriale dell'edificio fa da cornice ad un viaggio della natura umana verso il proprio destino.
La trasformazione dei modelli in semi-dei risulta molto evidente nelle due serie Gefallen del 2007 ed Erzengel del 2006, sempre commissionate da Levi's, dove l'aspetto iconico del lavoro di Marquardt viene sottolineato chiamando in causa i canoni religiosi e spirituali propri della tradizione cristiana. Lost highway del 2014 rappresenta l'ultima tappa dell'esplorazione temporale e onirica del suo immaginario, di quella Berlino insana, morbosa e dimenticata, popolata da figure melanconiche e oscure, così come conviene alla simbologia del mito nell'ora del suo crepuscolo.
Torino incontra Berlino
Marquardt e la retrospettiva italiana
Götterdämmerung – Il Crepuscolo degli Dei (Torino, 9 novembre 2014 – 12 gennaio 2015) è l'insieme di due mostre curate da Enrico Debandi e Eugenio Viola che, nel sovrapporsi e rincorrersi delle serie e delle cronologie, sintetizzano bene i due macrocosmi attraverso i quali si esprime l'ambivalenza dell'intero corpus di Marquardt. Vincente, la scelta espositiva di suddividere le immagini su due sedi rappresentative come l'Appartamento Padronale di Palazzo Saluzzo Paesana e nelle cripte dell'ex Cimitero di San Pietro in Vincoli.
Nelle auliche sale del Palazzo sono state raggruppate le immagini più edonistiche ed oniriche, mentre nelle cripte di San Pietro in Vincoli, aperte per la prima volta al pubblico, trovano posto le opere più oscure e spirituali – collegando idealmente i due edifici in un percorso di salita all'Olimpo e discesa agli Inferi o viceversa.
Particolari le analogie che intercorrono tra le sedi espositive e alcuni scatti presenti in mostra, in particolare la Dama velata scelta come icona della mostra che rimanda ad una scultura che ornava un tempo il cimitero di San Pietro in Vincoli, parte del monumento funebre di Varvàra Belosèlskij.
La figura, realizzata da Innocenzo Spinazzi nel 1794, rappresenta "la Religione" e un tempo conosciuta come "la Morte velata", deriva da esempi coevi di ambito partenopeo come il celebre "Cristo velato" di Giuseppe Sammartino o "la Pudicizia" di Antonio Corradini esposte nella stupefacente Cappella Sansevero di Napoli. La scultura, attualmente parte delle collezioni della Galleria d'Arte Moderna di Torino, rivela una bellezza adombrata di melanconia corrispondente alla stessa struggente eleganza senza tempo, catturata dall'obbiettivo di Sven Marquardt nella "Dama velata".
Le fotografie, realizzate rigorosamente con una camera analogica e in bianco e nero, si sviluppano lungo un arco cronologico di trent'anni, e trattano un tema cruciale intorno al quale l'arte occidentale si è interrogata per secoli e oggi torna quanto mai attuale, ovvero il contrapporsi di Eros e Thanatos (Todestrieb), la pulsione di vita e la pulsione di morte, che si oppongono completandosi nelle esistenze umane e nel loro eterno dualismo fra i principi di Amore e di Odio, di Vita e di Morte, Luce e Oscurità, Apollo e Dioniso.
Le Tenebre infatti per Marquardt, come in Tennessee Williams, non sono intese come negazione della luce, bensì come la sua assenza, pertanto non con un'accezione negativa dell'oscurità, ma come una potenzialità non espressa o ancora non raggiunta dall'Illuminazione.
Abitati da presenze inquiete, da antieroi silenti di un Olimpo ormai dissoltosi per sempre, i suoi ritratti immortalano gli ultimi eredi del senso di atavica angoscia che appartiene agli antichi dei nibelungici. Ieri melanconici nella Berlino ancora mutilata e rabbiosa degli anni Ottanta, oggi più che mai edonisticamente immersi nel magmatico clima della capitale tedesca e della sua rinascita.
Un rigoroso controllo formale che si manifesta nelle inquadrature, nella messa a fuoco, nella costruzione di arditi piani prospettici, nell'accurata composizione luministica. Elementi diversi che tendono alla creazione di un'atmosfera perturbante. Alcuni mostrano piglio deciso, altri un atteggiamento assorto, altezzoso o ironico, altri ancora uno sguardo enigmatico, desiderante, evasivo o suadente. È difficile eludere i loro sguardi, il loro "esserci" colto nell'attimo del dis-velamento, nell'inconsapevolezza - spontanea o costruita, non importa - di un atteggiamento.
Nelle auliche sale del Palazzo sono state raggruppate le immagini più edonistiche ed oniriche, mentre nelle cripte di San Pietro in Vincoli, aperte per la prima volta al pubblico, trovano posto le opere più oscure e spirituali – collegando idealmente i due edifici in un percorso di salita all'Olimpo e discesa agli Inferi o viceversa.
Particolari le analogie che intercorrono tra le sedi espositive e alcuni scatti presenti in mostra, in particolare la Dama velata scelta come icona della mostra che rimanda ad una scultura che ornava un tempo il cimitero di San Pietro in Vincoli, parte del monumento funebre di Varvàra Belosèlskij.
La figura, realizzata da Innocenzo Spinazzi nel 1794, rappresenta "la Religione" e un tempo conosciuta come "la Morte velata", deriva da esempi coevi di ambito partenopeo come il celebre "Cristo velato" di Giuseppe Sammartino o "la Pudicizia" di Antonio Corradini esposte nella stupefacente Cappella Sansevero di Napoli. La scultura, attualmente parte delle collezioni della Galleria d'Arte Moderna di Torino, rivela una bellezza adombrata di melanconia corrispondente alla stessa struggente eleganza senza tempo, catturata dall'obbiettivo di Sven Marquardt nella "Dama velata".
Le fotografie, realizzate rigorosamente con una camera analogica e in bianco e nero, si sviluppano lungo un arco cronologico di trent'anni, e trattano un tema cruciale intorno al quale l'arte occidentale si è interrogata per secoli e oggi torna quanto mai attuale, ovvero il contrapporsi di Eros e Thanatos (Todestrieb), la pulsione di vita e la pulsione di morte, che si oppongono completandosi nelle esistenze umane e nel loro eterno dualismo fra i principi di Amore e di Odio, di Vita e di Morte, Luce e Oscurità, Apollo e Dioniso.
Le Tenebre infatti per Marquardt, come in Tennessee Williams, non sono intese come negazione della luce, bensì come la sua assenza, pertanto non con un'accezione negativa dell'oscurità, ma come una potenzialità non espressa o ancora non raggiunta dall'Illuminazione.
Abitati da presenze inquiete, da antieroi silenti di un Olimpo ormai dissoltosi per sempre, i suoi ritratti immortalano gli ultimi eredi del senso di atavica angoscia che appartiene agli antichi dei nibelungici. Ieri melanconici nella Berlino ancora mutilata e rabbiosa degli anni Ottanta, oggi più che mai edonisticamente immersi nel magmatico clima della capitale tedesca e della sua rinascita.
Un rigoroso controllo formale che si manifesta nelle inquadrature, nella messa a fuoco, nella costruzione di arditi piani prospettici, nell'accurata composizione luministica. Elementi diversi che tendono alla creazione di un'atmosfera perturbante. Alcuni mostrano piglio deciso, altri un atteggiamento assorto, altezzoso o ironico, altri ancora uno sguardo enigmatico, desiderante, evasivo o suadente. È difficile eludere i loro sguardi, il loro "esserci" colto nell'attimo del dis-velamento, nell'inconsapevolezza - spontanea o costruita, non importa - di un atteggiamento.
Fonti
Bassan Valerio, L'uomo più temuto di Berlino: la vera storia di Sven, il buttafuori del Berghain, pubblicato in Il Mitte, 15 agosto 2012
Debandi Enrico, Principio respice finem, Introduzione alla mostra Goetterdaemmerung, testo all'interno del catalogo della mostra.
Grigolo Mattia, Sven Marquardt non è un mostro: intervista all'uomo-simbolo del Berghain, pubblicato in Il Mitte, 11 gennaio 2014
Viola Eugenio, Götterdämmerung. Note sul "crepuscolo degli dei" di Sven Marquardt testo presente nel catologo della mostra.
Bassan Valerio, L'uomo più temuto di Berlino: la vera storia di Sven, il buttafuori del Berghain, pubblicato in Il Mitte, 15 agosto 2012
Debandi Enrico, Principio respice finem, Introduzione alla mostra Goetterdaemmerung, testo all'interno del catalogo della mostra.
Grigolo Mattia, Sven Marquardt non è un mostro: intervista all'uomo-simbolo del Berghain, pubblicato in Il Mitte, 11 gennaio 2014
Viola Eugenio, Götterdämmerung. Note sul "crepuscolo degli dei" di Sven Marquardt testo presente nel catologo della mostra.
Gb
Palazzo Saluzzo Paesana
Sven Marquardt
Goetterdaemmerung - Il Crepuscolo degli Dei
9 novembre 2014 - 12 gennaio 2015
www.marquardtfotografie.com
www.goetterdaemmerung.it
Sven Marquardt
Goetterdaemmerung - Il Crepuscolo degli Dei
9 novembre 2014 - 12 gennaio 2015
www.marquardtfotografie.com
www.goetterdaemmerung.it