La lezione di Cyrano
Al Gobetti il naso di Ferrini
Secondo appuntamento del cartellone Stabile.
Fino al 16 novembre, al teatro Gobetti è l'eco antico di Cyrano de Bergerac, nella versione Jurij Ferrini, a giungere fino a noi. Fra duelli, paure e insicurezze il paradigma di un eroe.
Cyrano è un eroe del Seicento inventato nell'Ottocento. Andato in scena nel dicembre 1897, due anni dopo Il Gabbiano di Checov e un anno dopo Ubu Roi di Jarry, fu da subito un successo. Cyrano però, fu figura bistrattata - come ci informa Andrea Porcheddu in E' ancora rosa quell'apostrofo, testo di riferimento per la stesura della recensione - al contrario di tutti i protagonisti di quella fin de siècle teatrale, facendo dell'opera di Rostand, un'opera minore, insomma qualcosa di passeggero. In effetti, il teatro romantico, quello proposto da Ronstand, era molto scomodo per la società borghese di allora, che costruiva la propria identità sui capitali e aveva bisogno di sentire in scena quello che era il dialogo del proprio salotto, di confrontarsi, cioè, con le proprie aspirazioni.
Un Cyrano non si poteva concepire in quel sistema, assecondarlo avrebbe rappresentato una minaccia interna alla stessa società. E Rostand - allora ventinovenne - lo partorì proprio per questo, nell'urgenza di parlare di sentimenti e valori - allora già - desueti, scrivendo di fantasia e romanticherie. Perché la storia di Cyrano è d'amore e di poesia, di amicizia e di sacrificio, di passione e di entusiasmo, di desiderio e di pudore. Tutti quei sentimenti squisitamente umani che dai Tre moschettieri a Don Chisciotte fino al Corsaro Nero, da Achille a Orlando, hanno impregnano e accesso l'immaginario collettivo.
A metà strada fra Don Giovanni, che non si innamora mai, e Casanova, che si innamora sempre, Cyrano si innamora una sola volta, ed è per tutta la vita.
Lui, imbattibile con la spada, capace di sbaragliare cento nemici in una notte, crolla, teneramente, difronte agli occhi di Rossana. A nulla serve il coraggio e l'audacia, niente può far la sua sfrontatezza e la sua caparbietà, men che meno lo può aiutare il suo orgoglio quando il nemico da affrontare è Amore. Quel sentimento purissimo che non mira al possesso ma anela la felicità dell'oggetto amato. Anche se fa soffrire, anche se non può palesarsi, l'amore di Cyrano resta devoto. E questo vuol dire morire nell'accontentarsi delle briciole, nel cerotto auto-imposto ad una ferita auto-impressa. Vivere cioè, in Cristiano, il bello sciocco di cui si è innamorata la bella cugina. Vivere, in ultima istanza, schiavo di un perenne e sordo dolore. E il Romanticismo ci dice che non c'è scampo al dolore. Tutti, anche seguendo ideali positivi come lo stessoRostand riconosceva, soffrono: Rossana si strugge per Cristiano, quest'ultimo si cruccia a causa della sua natura "rozza", Cyrano per la sua condizione di brutto e profondissimo essere.
Se il regista si chiedeva: oggi, in questa società che è agli antipodi, più sicura e borghese, forse che il dolore ci è risparmiato? Noi proponiamo: oggi, dato il dolore dilagante e inconscio, quanti riconoscono il potere di un dolore che può sublimarsi? Perché, in effetti, il dolore, come l'amore e l'odio, è un forte motore creativo, generatore potenziale di un senso nuovo, o semplicemente, nasconde in sé, il potere di affermare, di nuovo, antichissime verità.
Perché il dolore generalizzato di oggi altro non è che la rivendicazione, inconsapevole, di un senso di umanità ormai perso, già dai tempi di Rostand. Che abbiamo nel nostro dna, certo, ma che non sappiamo più comunicare, anacronistico ci sembra il suo linguaggio. Bisogna che ci siano delle conferenze, insomma, magari sulla Tenerezza, come ci suggerisce la dama di compagnia di Rossana: andiamo, faremo tardi, andiamo ci perderemo la conferenza. E ancora una volta i migliori inviti arrivano dal basso.
"Si può tornare a Cyrano, afferma Ferrini, perché esiste una richiesta - secondo me del tutto pertinente - di un teatro popolare che abbia una spinta verso il sublime. Non è più il tempo di contrapporre il teatro "popolare" al teatro "colto". Con questa spaccatura abbiamo troppo a lungo svuotato le platee. Un classico, continua, è un testo che - sarà banale ricordarlo - è entrato a far parte del genoma umano. E' un qualcosa che si tramanda, che è nel nostro immaginario collettivo. E sopravvive alle epoche successive a patto che lo si tiri fuori dal clichè. Interpretare un classico impastandolo di manierismi significa sottrarlo alle future generazioni, fino a quando qualcuno riesce a riportarlo al suo presente, alla contemporaneità cui si rivolge.
E Cyrano detesta l'arte manierata. "Il gioco iniziale è quello, per il Guascone, di interrompere uno spettacolo che lui detesta. Cyrano odiando l'arte manierata, blocca lo spettacolo di Montfleury, per raccontare la sua storia. Come nei Sei personaggi in cerca d'autore, lui occupa per raccontare la propria storia. Un'altra via possibile.
Interprete raffinato, intellettuale vivo e presente, Ferrini ha dalla sua grande talento e solidissima preparazione: cose d'altri tempi, appunto. Nei suoi allestimenti opta sempre per una semplicità che è felice essenzialità; tiene salde le redini di un'energia scenica contagiosa; lavora sulla incisiva verità dell'attore; cerca sistematicamente il dialogo col pubblico. Il suo potrebbe essere un "teatro all'antica", se non fosse così sapientemente calato nelle contraddizioni culturali e produttive. E la scenografia, composta da tante scatole vuote, ideate da Gaia Moltedo, suggerisce bene, e a ragione, di cercare il contenuto dentro l'omologazione.
Il problema dell'essere sé stessi, infine, è di conoscere la propria volontà momento per momento e adoperarsi per realizzarla. Invece è più semplice mascherarsi per essere sé stessi, e se una volta si usavano le maschere oggi non di meno si usano i nickname. Dunque non si può non essere d'accordo con il regista, quando afferma:è il momento di contrastare la paura dominante con una bella iniezione di coraggio e di sentimento. Il che non significa affatto prendere le armi, al contrario, significa che, se siamo uniti, ci possiamo difendere l'un l'altro. E il teatro, luogo laico di aggregazione spirituale, può e deve, dare coraggio.
Guardandomi intorno, afferma il regista, sorrido di fronte a quanti cercano la beatificazione in vita, a chi fa le cose pensando di essere ricordato per le proprie creazioni. Io cerco cose che funzionino quella sera lì, che reggano la scena, che incontrino gli spettatori. Cerco di fare cose che funzionino. E il suo Cyrano funziona, commuove e mette speranza. Inspira la nostalgia di una primavera delle coscienze. Tutti, quindi, ad ascoltare la conferenza sulla Tenerezza, e che sia un ascolto attivo!
Fino al 16 novembre, al teatro Gobetti è l'eco antico di Cyrano de Bergerac, nella versione Jurij Ferrini, a giungere fino a noi. Fra duelli, paure e insicurezze il paradigma di un eroe.
Cyrano è un eroe del Seicento inventato nell'Ottocento. Andato in scena nel dicembre 1897, due anni dopo Il Gabbiano di Checov e un anno dopo Ubu Roi di Jarry, fu da subito un successo. Cyrano però, fu figura bistrattata - come ci informa Andrea Porcheddu in E' ancora rosa quell'apostrofo, testo di riferimento per la stesura della recensione - al contrario di tutti i protagonisti di quella fin de siècle teatrale, facendo dell'opera di Rostand, un'opera minore, insomma qualcosa di passeggero. In effetti, il teatro romantico, quello proposto da Ronstand, era molto scomodo per la società borghese di allora, che costruiva la propria identità sui capitali e aveva bisogno di sentire in scena quello che era il dialogo del proprio salotto, di confrontarsi, cioè, con le proprie aspirazioni.
Un Cyrano non si poteva concepire in quel sistema, assecondarlo avrebbe rappresentato una minaccia interna alla stessa società. E Rostand - allora ventinovenne - lo partorì proprio per questo, nell'urgenza di parlare di sentimenti e valori - allora già - desueti, scrivendo di fantasia e romanticherie. Perché la storia di Cyrano è d'amore e di poesia, di amicizia e di sacrificio, di passione e di entusiasmo, di desiderio e di pudore. Tutti quei sentimenti squisitamente umani che dai Tre moschettieri a Don Chisciotte fino al Corsaro Nero, da Achille a Orlando, hanno impregnano e accesso l'immaginario collettivo.
A metà strada fra Don Giovanni, che non si innamora mai, e Casanova, che si innamora sempre, Cyrano si innamora una sola volta, ed è per tutta la vita.
Lui, imbattibile con la spada, capace di sbaragliare cento nemici in una notte, crolla, teneramente, difronte agli occhi di Rossana. A nulla serve il coraggio e l'audacia, niente può far la sua sfrontatezza e la sua caparbietà, men che meno lo può aiutare il suo orgoglio quando il nemico da affrontare è Amore. Quel sentimento purissimo che non mira al possesso ma anela la felicità dell'oggetto amato. Anche se fa soffrire, anche se non può palesarsi, l'amore di Cyrano resta devoto. E questo vuol dire morire nell'accontentarsi delle briciole, nel cerotto auto-imposto ad una ferita auto-impressa. Vivere cioè, in Cristiano, il bello sciocco di cui si è innamorata la bella cugina. Vivere, in ultima istanza, schiavo di un perenne e sordo dolore. E il Romanticismo ci dice che non c'è scampo al dolore. Tutti, anche seguendo ideali positivi come lo stessoRostand riconosceva, soffrono: Rossana si strugge per Cristiano, quest'ultimo si cruccia a causa della sua natura "rozza", Cyrano per la sua condizione di brutto e profondissimo essere.
Se il regista si chiedeva: oggi, in questa società che è agli antipodi, più sicura e borghese, forse che il dolore ci è risparmiato? Noi proponiamo: oggi, dato il dolore dilagante e inconscio, quanti riconoscono il potere di un dolore che può sublimarsi? Perché, in effetti, il dolore, come l'amore e l'odio, è un forte motore creativo, generatore potenziale di un senso nuovo, o semplicemente, nasconde in sé, il potere di affermare, di nuovo, antichissime verità.
Perché il dolore generalizzato di oggi altro non è che la rivendicazione, inconsapevole, di un senso di umanità ormai perso, già dai tempi di Rostand. Che abbiamo nel nostro dna, certo, ma che non sappiamo più comunicare, anacronistico ci sembra il suo linguaggio. Bisogna che ci siano delle conferenze, insomma, magari sulla Tenerezza, come ci suggerisce la dama di compagnia di Rossana: andiamo, faremo tardi, andiamo ci perderemo la conferenza. E ancora una volta i migliori inviti arrivano dal basso.
"Si può tornare a Cyrano, afferma Ferrini, perché esiste una richiesta - secondo me del tutto pertinente - di un teatro popolare che abbia una spinta verso il sublime. Non è più il tempo di contrapporre il teatro "popolare" al teatro "colto". Con questa spaccatura abbiamo troppo a lungo svuotato le platee. Un classico, continua, è un testo che - sarà banale ricordarlo - è entrato a far parte del genoma umano. E' un qualcosa che si tramanda, che è nel nostro immaginario collettivo. E sopravvive alle epoche successive a patto che lo si tiri fuori dal clichè. Interpretare un classico impastandolo di manierismi significa sottrarlo alle future generazioni, fino a quando qualcuno riesce a riportarlo al suo presente, alla contemporaneità cui si rivolge.
E Cyrano detesta l'arte manierata. "Il gioco iniziale è quello, per il Guascone, di interrompere uno spettacolo che lui detesta. Cyrano odiando l'arte manierata, blocca lo spettacolo di Montfleury, per raccontare la sua storia. Come nei Sei personaggi in cerca d'autore, lui occupa per raccontare la propria storia. Un'altra via possibile.
Interprete raffinato, intellettuale vivo e presente, Ferrini ha dalla sua grande talento e solidissima preparazione: cose d'altri tempi, appunto. Nei suoi allestimenti opta sempre per una semplicità che è felice essenzialità; tiene salde le redini di un'energia scenica contagiosa; lavora sulla incisiva verità dell'attore; cerca sistematicamente il dialogo col pubblico. Il suo potrebbe essere un "teatro all'antica", se non fosse così sapientemente calato nelle contraddizioni culturali e produttive. E la scenografia, composta da tante scatole vuote, ideate da Gaia Moltedo, suggerisce bene, e a ragione, di cercare il contenuto dentro l'omologazione.
Il problema dell'essere sé stessi, infine, è di conoscere la propria volontà momento per momento e adoperarsi per realizzarla. Invece è più semplice mascherarsi per essere sé stessi, e se una volta si usavano le maschere oggi non di meno si usano i nickname. Dunque non si può non essere d'accordo con il regista, quando afferma:è il momento di contrastare la paura dominante con una bella iniezione di coraggio e di sentimento. Il che non significa affatto prendere le armi, al contrario, significa che, se siamo uniti, ci possiamo difendere l'un l'altro. E il teatro, luogo laico di aggregazione spirituale, può e deve, dare coraggio.
Guardandomi intorno, afferma il regista, sorrido di fronte a quanti cercano la beatificazione in vita, a chi fa le cose pensando di essere ricordato per le proprie creazioni. Io cerco cose che funzionino quella sera lì, che reggano la scena, che incontrino gli spettatori. Cerco di fare cose che funzionino. E il suo Cyrano funziona, commuove e mette speranza. Inspira la nostalgia di una primavera delle coscienze. Tutti, quindi, ad ascoltare la conferenza sulla Tenerezza, e che sia un ascolto attivo!
gb
Teatro Gobetti
Cyrano de Bergerac
di Edmond Rostand
traduzione e adattamento Jurij Ferrini con Jurij Ferrini, Ilenia Maccarrone, Raffaele Musella, Fabrizio Careddu, Lorenzo Bartoli, Daniele Marmi, Andrea Fazzari, Francesca Turrini, Michele Schiano di Cola, Angelo Tronca, Luca Cicolella
regia Jurij Ferrini
scene e costumi Gaia Moltedo
luci Francesco Dell'Elba
www.progettourt.it
Cyrano de Bergerac
di Edmond Rostand
traduzione e adattamento Jurij Ferrini con Jurij Ferrini, Ilenia Maccarrone, Raffaele Musella, Fabrizio Careddu, Lorenzo Bartoli, Daniele Marmi, Andrea Fazzari, Francesca Turrini, Michele Schiano di Cola, Angelo Tronca, Luca Cicolella
regia Jurij Ferrini
scene e costumi Gaia Moltedo
luci Francesco Dell'Elba
www.progettourt.it