Non si sa come
Al gobetti la Borghesia non muore mai
Dopo Gabriele Lavia e il Pirandello de I Sei personaggi in cerca d'autore, è la volta di Federico Tiezzi che porta sul palco del Gobetti l'ultimo dramma di Pirandello. Con Non si sa come la borghesia si fa alligatore e il protagonista un nuovo Dalì. Il sogno si sovrappone alla realtà e la verità si fa omicida.
Federico Tiezzi conferma il suo interesse per la fase estrema del drammaturgo siciliano e dopo aver messo in scena, nel 2007, I giganti della montagna, Non si sa come, è la successione naturale all'allestimento di Un amore di Swann di Marcel Proust, costituendo un ideale "secondo tempo" di una riflessione scenica sull'ebbrezza e la tortura dell'amore. Amore inteso non solo come manifestazione emotiva, ma come lo spazio di una violenta verifica della condizione umana nel momento della sua più alta e significativa tensione storica ed esistenziale. E come colonna sonora La morte e la fanciulla di Schubert.
Andato in scena il 13 dicembre del 1935 a Roma - dopo un debutto a Praga in traduzione ceca - in un periodo di aspri conflitti dell'autore col regime a causa delle difficoltà incontrate dal suo progetto di un Teatro di Stato, Non si sa come si apre in un "luogo incantevole", nella casa di campagna di Giorgio Vanzi, un giorno di settembre. Un "paradiso" in cui i protagonisti, che appartengono a una borghesia agiata, conducono una vita disinvolta tra mobili da giardino e pettegolezzi.
L'ultimo Pirandello
Nei suoi ultimi testi, Pirandello sprofonda nel mito. E come se volesse ricongiungersi alle sue radici agrigentino-greche, ri-proponendo la lotta mitica fra Ordine e Disordine. Disordine che è figurato nel protagonista Romeo, una sorta di anarchico post-dannunziano. Come ne I Giganti della montagna, anche qui la "natura" gioca un ruolo essenziale. La natura alla quale l'autore aspira a tornare, quella del ribollire violento delle passioni, che irrompe dagli schemi del perbenismo e dal bigottismo meticolosamente tramato dai "partigiani dell'ordine". In tutti e due i testi siamo di fronte ad una macchina teatrale che mostra l'esclusione del disordine e il rientro nell'ordine: ne I Giganti in una forma di classicità tragicità greca, con lo smembramento del corpo di Ilse, in Non si sa come nelle forme del teatro borghese con un più classico "colpo di pistola" che uccide il "corpo anarchico" del protagonista.
Questo mi interessa di Romeo Daddi - dice il regista - che riveli una immaginazione anarchica. Che arrivi col suo bagaglio di immagini, come se fosse Salvator Dalì, e le trasformi in tortura del pensiero, in malvagi quadri surrealisti. Una lotta la sua, condotta contro i mulini a vento. Una bizzarra e paradossale forma di scioglimento tragico, non a caso colorato d'ironia. E l'unico modo per interrompere il comico è la violenza, come l'unico modo per allontanare l'inconscio è la morte.
Un Dramma multistrato
Morale, vacanza dell'Io, Omofilia
Scritto nel 1934, negli ultimi anni di vita, Pirandello, per questo dramma utilizza tre novelle cha aveva già composto e pubblicato: Nel gorgo, scritto più di vent'anni prima, nel 1913, che già contiene l'essenziale della trama: le due coppie borghesi e il protagonista che impazzisce perché gli si è rotta la "macchinetta della civiltà"; La realtà del sogno, del 1914, che gli fornisce l'idea del tradimento coniugale avvenuto in sogno, in stato di irresponsabilità; Cinci, scritta nel 1932, che racconta di come un ragazzo possa uccidere per un motivo futile come una lucertola – passo conosciuto come il "monologo della lucertola" - senza sentirsi in colpa.
Grazie a Nel Gorgo dipana orizzontalmente la vicenda, fornendole la struttura e l'impostazione, con La realtà ne costituisce la diagonale, l'angolatura drammatica: la possessività maschile, l'elusività delle pulsioni. Con Cinci scava verticalmente il personaggio e ne carica la tragicità illuminandone tutta l'oscurità retroattiva. Da queste premesse, che gravitano intorno al tema dell'incoscienza e dell'estraneità dell'io a sé stesso, Pirandello compone un dramma a più strati.
→ Il primo è quello moralistico. La pazzia di Romeo funge, in realtà, da pretesto per sondare l'ipocrisia delle convezioni sociali: "la posatura della feccia che ognuno ha dentro". A questo primo livello il dramma assomiglia ai drammi a cavallo fra Otto e Novecento come potrebbero essere quelli di Ibsen o di Strindberg, dove le riunioni di società diventano spietati processi contro i peccati di una borghesia produttiva e nevrotica; fino ad arrivare ai giorni nostri, passando per Frued, a Moravia, Bergman e Woody Allen.
→ Il secondo livello del dramma ha al centro l'omicidio compiuto in una specie di vacanza dell'io. Quel che tormenta Romeo non è tanto la consapevolezza dell'atto omicida, ma il capire che si può commettere un'infamia senza risentire il minimo effetto: "neppure un'ombra di ricordo". Quindi l'abisso che nomina Romeo non è tanto l'abîme dell'umana ipocrisia, quanto l'abisso della insensatezza esistenziale, e i paesaggi nel dramma – il bosco, la luna - smettono di avere una funzione esornativa e si trasformano in fantasmi terribili. Ci sono dunque "delitti innocenti", atti irriflessi che possono marchiare a fuoco le vite umane. E Romeo preso dall'irrefrenabile desiderio di scoprirli negli altri, darà inizio ad una ossessiva indagine che non potrà che concludersi in tragedia.
→ Il terzo ed ultimo livello. Rispetto alla novella di vent'anni prima, l'innovazione della trama sta nel finale, deciso all'ultimo da Pirandello: Romeo si fa uccidere dall'amico Giorgio, quando, apparentemente, senza motivo gli butta in faccia l'inutile verità e l'amico reagisce, esageratamente, uccidendolo. Che sia un segno di omosessualità rimosso e represso? Non a caso Romeo, poco prima di morire, ricorda a Giorgio quanto questi voleva "facesse il marinaio con lui" e gli domanda particolari nostalgici su quella sconosciuta vita di mare; oltre le osservazioni sulle donne, che mentono per natura e "difendono la vita", lasciando trapelare un desiderio di virile libertà da consumare in un isolamento. Magari anche l'attrazione per Ginevra, non è stata altro che il desiderio di possedere l'amico attraverso il desiderio della moglie.
Il corpo borghese
Non si sfugge da Freud
Nell'opera al centro vi è una società borghese che vive in un luogo avulso dalla storia, come è quella delle coppie in una villa di campagna vicino Perugia, tra Todi e Gubbio, ritiro di una borghesia ontologicamente immobile. Non si sa come è un testo che non ha azione e nel quale i personaggi affermano la propria esistenza esclusivamente attraverso il linguaggio. Linguaggio dal quale va tolto un velo attraverso il bisturi psicanalitico, per portare in luce le strutture che danno vita a tale linguaggio: la società borghese con i suoi non-valori, la famiglia e il rapporto uomo-donna. Un jeu de massacre che avviene esclusivamente attraverso il logos, speciale accanimento che il protagonista fa dell'uso della ragione. In sostanza, siamo in una stanza di analisi matematica del pensiero.
Insieme al linguaggio, vi è la presenza ossessiva del corpo, e col corpo entra in campo il sesso. Il siciliano sembra ossessionato dalla scissione corpo-pensiero e il corpo detiene una vita segreta che sfugge ad ogni controllo, della mente e del pensiero, e quindi della morale. Stupisce però come Pirandello trovasse "ripugnanti le morbose teorie di Freud", anche se il testo ne risulta imbevuto. I criteri di manifestazione inconscia sono la sintomatologia nevrotica, il sogno, il lapsus e in Non si sa come sono tutti passati in rassegna: la nevrosi ossessiva di Romeo nel primo atto, il sogno di Bice rivelato nel finale, i lapsus di Ginevra all'inizio del secondo atto.
Potentemente moderno nell'incrociare i temi della coscienza e dell'inconscio, della realtà e del sogno, della memoria e dell'oblio, il dramma mette in circolo le forse più oscure dell'uomo, rivelando, all'interno di questa vera e propria seduta di analisi di gruppo, la presenza, precocissima per la cultura italiana, di temi freudiani. Non si sa come offre così la possibilità di riflettere sulla dimensione di uno spazio emotivo: lo spazio della mente, lo spazio dell'anima, dell'inconscio, dell'autoanalisi. La tortura, insomma, che ognuno di noi infligge a sé stesso nello sforzo di comprendere il mondo, i propri istinti. "Voler conoscere sé stessi equivale a morire".
Pirandello e il fascismo
In Non si sa come, nella sua immobilità, vi è l'assenza della Storia. Il 1934 era stato l'anno delle elezioni burla del 25 marzo, indette per approvare la lista dei deputati designati dal Gran Consiglio del Fascismo. Era stato anche l'anno del Congresso di Montreux, che in dicembre riunì per due giorni nella città svizzera i rappresentanti delle organizzazioni fasciste d'Europa, in un clima pesantemente conflittuale a proposito della posizione da assumere nei confronti della "questione ebraica".
Nel dramma non vi è il più remoto riflesso di questi eventi, e riesce difficile pensare potessero passare inosservati, anche se Pirandello si era sempre disinteressato di politica. I personaggi appaiono come sospesi, forse simbolo di un'Italia miope, esterefatta, torbida, quasi allucinata. Quindi non è difficile ipotizzare che in Non si sa come vi è una metafora del regime, soprattutto se pensiamo agli atteggiamenti contraddittori di Romeo che, dopo aver seppellito nella memoria il suo primo delitto, vuole ri-confessarlo cercando un'auto punizione, dimostrandosi pronto a perdonare i delitti altrui, scusandoli.
Che sia, il dramma, il tentativo inconscio, da parte dell'autore di un autoassoluzione di un intero periodo storico? Il silenzio sul fascismo è troppo per essere disinteresse, piuttosto Pirandello ne fa un'oscura metafora, nel momento in cui fa dire a Romeo che il delitto "non è da confessare, è da seppellire: si seppellisce da sé,come s'è sepolto in me […] di nascosto dalla nostra stessa coscienza che non vuole arrossirne, perchè non è cosa che la riguardi, e non deve dunque neanche saperla. Non dobbiamo saperne più nulla nemmeno noi stessi".
Fonti
Testi da Non si sa come di Luigi Pirandello, libretto di sala Edizioni l'Obliquo
Federico Tiezzi, Quartetto
Walter Siti, Una commedia a strati
Sandro Lombardi, Stegati da luna e sole
Fabrizio Sinisi, Note di drammaturgia per Non si sa come
Federico Tiezzi conferma il suo interesse per la fase estrema del drammaturgo siciliano e dopo aver messo in scena, nel 2007, I giganti della montagna, Non si sa come, è la successione naturale all'allestimento di Un amore di Swann di Marcel Proust, costituendo un ideale "secondo tempo" di una riflessione scenica sull'ebbrezza e la tortura dell'amore. Amore inteso non solo come manifestazione emotiva, ma come lo spazio di una violenta verifica della condizione umana nel momento della sua più alta e significativa tensione storica ed esistenziale. E come colonna sonora La morte e la fanciulla di Schubert.
Andato in scena il 13 dicembre del 1935 a Roma - dopo un debutto a Praga in traduzione ceca - in un periodo di aspri conflitti dell'autore col regime a causa delle difficoltà incontrate dal suo progetto di un Teatro di Stato, Non si sa come si apre in un "luogo incantevole", nella casa di campagna di Giorgio Vanzi, un giorno di settembre. Un "paradiso" in cui i protagonisti, che appartengono a una borghesia agiata, conducono una vita disinvolta tra mobili da giardino e pettegolezzi.
L'ultimo Pirandello
Nei suoi ultimi testi, Pirandello sprofonda nel mito. E come se volesse ricongiungersi alle sue radici agrigentino-greche, ri-proponendo la lotta mitica fra Ordine e Disordine. Disordine che è figurato nel protagonista Romeo, una sorta di anarchico post-dannunziano. Come ne I Giganti della montagna, anche qui la "natura" gioca un ruolo essenziale. La natura alla quale l'autore aspira a tornare, quella del ribollire violento delle passioni, che irrompe dagli schemi del perbenismo e dal bigottismo meticolosamente tramato dai "partigiani dell'ordine". In tutti e due i testi siamo di fronte ad una macchina teatrale che mostra l'esclusione del disordine e il rientro nell'ordine: ne I Giganti in una forma di classicità tragicità greca, con lo smembramento del corpo di Ilse, in Non si sa come nelle forme del teatro borghese con un più classico "colpo di pistola" che uccide il "corpo anarchico" del protagonista.
Questo mi interessa di Romeo Daddi - dice il regista - che riveli una immaginazione anarchica. Che arrivi col suo bagaglio di immagini, come se fosse Salvator Dalì, e le trasformi in tortura del pensiero, in malvagi quadri surrealisti. Una lotta la sua, condotta contro i mulini a vento. Una bizzarra e paradossale forma di scioglimento tragico, non a caso colorato d'ironia. E l'unico modo per interrompere il comico è la violenza, come l'unico modo per allontanare l'inconscio è la morte.
Un Dramma multistrato
Morale, vacanza dell'Io, Omofilia
Scritto nel 1934, negli ultimi anni di vita, Pirandello, per questo dramma utilizza tre novelle cha aveva già composto e pubblicato: Nel gorgo, scritto più di vent'anni prima, nel 1913, che già contiene l'essenziale della trama: le due coppie borghesi e il protagonista che impazzisce perché gli si è rotta la "macchinetta della civiltà"; La realtà del sogno, del 1914, che gli fornisce l'idea del tradimento coniugale avvenuto in sogno, in stato di irresponsabilità; Cinci, scritta nel 1932, che racconta di come un ragazzo possa uccidere per un motivo futile come una lucertola – passo conosciuto come il "monologo della lucertola" - senza sentirsi in colpa.
Grazie a Nel Gorgo dipana orizzontalmente la vicenda, fornendole la struttura e l'impostazione, con La realtà ne costituisce la diagonale, l'angolatura drammatica: la possessività maschile, l'elusività delle pulsioni. Con Cinci scava verticalmente il personaggio e ne carica la tragicità illuminandone tutta l'oscurità retroattiva. Da queste premesse, che gravitano intorno al tema dell'incoscienza e dell'estraneità dell'io a sé stesso, Pirandello compone un dramma a più strati.
→ Il primo è quello moralistico. La pazzia di Romeo funge, in realtà, da pretesto per sondare l'ipocrisia delle convezioni sociali: "la posatura della feccia che ognuno ha dentro". A questo primo livello il dramma assomiglia ai drammi a cavallo fra Otto e Novecento come potrebbero essere quelli di Ibsen o di Strindberg, dove le riunioni di società diventano spietati processi contro i peccati di una borghesia produttiva e nevrotica; fino ad arrivare ai giorni nostri, passando per Frued, a Moravia, Bergman e Woody Allen.
→ Il secondo livello del dramma ha al centro l'omicidio compiuto in una specie di vacanza dell'io. Quel che tormenta Romeo non è tanto la consapevolezza dell'atto omicida, ma il capire che si può commettere un'infamia senza risentire il minimo effetto: "neppure un'ombra di ricordo". Quindi l'abisso che nomina Romeo non è tanto l'abîme dell'umana ipocrisia, quanto l'abisso della insensatezza esistenziale, e i paesaggi nel dramma – il bosco, la luna - smettono di avere una funzione esornativa e si trasformano in fantasmi terribili. Ci sono dunque "delitti innocenti", atti irriflessi che possono marchiare a fuoco le vite umane. E Romeo preso dall'irrefrenabile desiderio di scoprirli negli altri, darà inizio ad una ossessiva indagine che non potrà che concludersi in tragedia.
→ Il terzo ed ultimo livello. Rispetto alla novella di vent'anni prima, l'innovazione della trama sta nel finale, deciso all'ultimo da Pirandello: Romeo si fa uccidere dall'amico Giorgio, quando, apparentemente, senza motivo gli butta in faccia l'inutile verità e l'amico reagisce, esageratamente, uccidendolo. Che sia un segno di omosessualità rimosso e represso? Non a caso Romeo, poco prima di morire, ricorda a Giorgio quanto questi voleva "facesse il marinaio con lui" e gli domanda particolari nostalgici su quella sconosciuta vita di mare; oltre le osservazioni sulle donne, che mentono per natura e "difendono la vita", lasciando trapelare un desiderio di virile libertà da consumare in un isolamento. Magari anche l'attrazione per Ginevra, non è stata altro che il desiderio di possedere l'amico attraverso il desiderio della moglie.
Il corpo borghese
Non si sfugge da Freud
Nell'opera al centro vi è una società borghese che vive in un luogo avulso dalla storia, come è quella delle coppie in una villa di campagna vicino Perugia, tra Todi e Gubbio, ritiro di una borghesia ontologicamente immobile. Non si sa come è un testo che non ha azione e nel quale i personaggi affermano la propria esistenza esclusivamente attraverso il linguaggio. Linguaggio dal quale va tolto un velo attraverso il bisturi psicanalitico, per portare in luce le strutture che danno vita a tale linguaggio: la società borghese con i suoi non-valori, la famiglia e il rapporto uomo-donna. Un jeu de massacre che avviene esclusivamente attraverso il logos, speciale accanimento che il protagonista fa dell'uso della ragione. In sostanza, siamo in una stanza di analisi matematica del pensiero.
Insieme al linguaggio, vi è la presenza ossessiva del corpo, e col corpo entra in campo il sesso. Il siciliano sembra ossessionato dalla scissione corpo-pensiero e il corpo detiene una vita segreta che sfugge ad ogni controllo, della mente e del pensiero, e quindi della morale. Stupisce però come Pirandello trovasse "ripugnanti le morbose teorie di Freud", anche se il testo ne risulta imbevuto. I criteri di manifestazione inconscia sono la sintomatologia nevrotica, il sogno, il lapsus e in Non si sa come sono tutti passati in rassegna: la nevrosi ossessiva di Romeo nel primo atto, il sogno di Bice rivelato nel finale, i lapsus di Ginevra all'inizio del secondo atto.
Potentemente moderno nell'incrociare i temi della coscienza e dell'inconscio, della realtà e del sogno, della memoria e dell'oblio, il dramma mette in circolo le forse più oscure dell'uomo, rivelando, all'interno di questa vera e propria seduta di analisi di gruppo, la presenza, precocissima per la cultura italiana, di temi freudiani. Non si sa come offre così la possibilità di riflettere sulla dimensione di uno spazio emotivo: lo spazio della mente, lo spazio dell'anima, dell'inconscio, dell'autoanalisi. La tortura, insomma, che ognuno di noi infligge a sé stesso nello sforzo di comprendere il mondo, i propri istinti. "Voler conoscere sé stessi equivale a morire".
Pirandello e il fascismo
In Non si sa come, nella sua immobilità, vi è l'assenza della Storia. Il 1934 era stato l'anno delle elezioni burla del 25 marzo, indette per approvare la lista dei deputati designati dal Gran Consiglio del Fascismo. Era stato anche l'anno del Congresso di Montreux, che in dicembre riunì per due giorni nella città svizzera i rappresentanti delle organizzazioni fasciste d'Europa, in un clima pesantemente conflittuale a proposito della posizione da assumere nei confronti della "questione ebraica".
Nel dramma non vi è il più remoto riflesso di questi eventi, e riesce difficile pensare potessero passare inosservati, anche se Pirandello si era sempre disinteressato di politica. I personaggi appaiono come sospesi, forse simbolo di un'Italia miope, esterefatta, torbida, quasi allucinata. Quindi non è difficile ipotizzare che in Non si sa come vi è una metafora del regime, soprattutto se pensiamo agli atteggiamenti contraddittori di Romeo che, dopo aver seppellito nella memoria il suo primo delitto, vuole ri-confessarlo cercando un'auto punizione, dimostrandosi pronto a perdonare i delitti altrui, scusandoli.
Che sia, il dramma, il tentativo inconscio, da parte dell'autore di un autoassoluzione di un intero periodo storico? Il silenzio sul fascismo è troppo per essere disinteresse, piuttosto Pirandello ne fa un'oscura metafora, nel momento in cui fa dire a Romeo che il delitto "non è da confessare, è da seppellire: si seppellisce da sé,come s'è sepolto in me […] di nascosto dalla nostra stessa coscienza che non vuole arrossirne, perchè non è cosa che la riguardi, e non deve dunque neanche saperla. Non dobbiamo saperne più nulla nemmeno noi stessi".
Fonti
Testi da Non si sa come di Luigi Pirandello, libretto di sala Edizioni l'Obliquo
Federico Tiezzi, Quartetto
Walter Siti, Una commedia a strati
Sandro Lombardi, Stegati da luna e sole
Fabrizio Sinisi, Note di drammaturgia per Non si sa come
gb
Teatro Gobetti
Non si sa come
di Luigi Pirandello
con Marco Brinzi, Francesco Colella, Elena Ghiaurov, Pia Lanciotti, Sandro Lombardi
drammaturgia Sandro Lombardi, Federico Tiezzi
regia Federico Tiezzi - scene Pier Paolo Bisleri - luci Gianni Pollini - costumi Giovanna Buzzi
www.lombarditiezzi.it
Non si sa come
di Luigi Pirandello
con Marco Brinzi, Francesco Colella, Elena Ghiaurov, Pia Lanciotti, Sandro Lombardi
drammaturgia Sandro Lombardi, Federico Tiezzi
regia Federico Tiezzi - scene Pier Paolo Bisleri - luci Gianni Pollini - costumi Giovanna Buzzi
www.lombarditiezzi.it