teatro Stabile
il Falstaff di Andrea de Rosa
Con la prima assoluta del FALSTAFF, al Teatro Carignano, parte la nuova stagione del Teatro Stabile di Torino. «Ad aprire la stagione 14.15 – afferma Mario Martone, Direttore del Teatro Stabile – c'è un titolo forte, una leggenda teatrale. Saranno di nuovo Andrea De Rosa e Giuseppe Battiston, dopo il Macbeth del 2012, ad affrontare, con Falstaff, una delle figure più affascinanti di Shakespeare. Fino al 2 novembre gli spazi del Carignano si fanno taverna, bordello, topaia.
Apparso la prima volta nel dramma storico Enrico IV, questo personaggio riscosse un tale successo che William Shakespeare dovette farlo rivivere e poi rivivere in ben altri quattro testi. Pare addirittura che la stessa Regina Elisabetta - e questo particolare è essenziale per capire lo scopo dell'opera - ne avesse gradito così tanto la sagacia da intervenire, in prima persona, facendosi dare assicurazioni dal Bardo affinché questo impareggiabile ciccione non fosse accantonato dalla sua produzione. Comparso nell'Enrico VI parte prima, ci informa Nadia Fusini nel testo In grembo a Falstaff, torna come protagonista nell'Enrico IV sempre nella prima parte, e per accontentare la regina tornerà nella commedia Le allegre comari di Windsor e di nuovo nell'Enrico IV parte seconda, per poi morire nell'Enrico V, nella sublime morte socratica descritta dall'ostessa, mentre la sua mano di donna esperta nel piacere scivola sotto la coperta dai piedi si fino alle ginocchia e poi più su, per constatare il rigor mortis.
Il Falstaff di De Rosa miscela tutte le sopracitate presenze, per la traduzione di Nadia Fusini, aggiungendo estratti da Falstaff del libretto di Arrigo Boito dall'opera di Giuseppe Verdi, la preghiera laica sul corpo di Così parlò Zarathustra di Friedrich Nietzsche, suggestioni da le Lettere al padre di Franz Kafka, atmosfere dalla sceneggiatura di Belli e dannati (My Own Private Idaho), film di Gus Van Sant. Questo puzzle di fonti - ci dice il regista in Falstaff, dove sei stato tutto questo tempo? -, per mettere in risalto la complessità della figura paterna - che come intuì Hillman, già negli anni '70, è quella che, nella cultura occidentale, ha subito una netta trasformazione - e per indagare meglio il rapporto padre figlio, che è al centro del mio adattamento. Ecco perché Battiston interpreta sia il ruolo di Falstaff sia di Enrico IV. Su questo doppio binario ho spinto la mia regia separando nettamente la duplicità dei luoghi dell'azione. Da un lato, nella prima parte, la taverna-bordello di Eastcheap con i suoi giorni sempre uguali, nutriti di vino, rapine, scherzi, sesso, parole, parolacce, corpi, musica e caos; dall'altra, nella seconda parte, il mondo del potere e del governo, algido e duro, in cui le regole spietate dell'assassinio e dell'inganno, che hanno accompagnato l'ascesa al trono di Enrico IV, devono essere trasmesse al giovane Hal.
In scena, se si notano le due ambientazioni completamente opposte, dove per la prima è difficile non pensare all'allestimento del duo Ricci/Forte per Still Life 2013 (cartellone Festival delle Colline) in cui vincenti appaiono le stesse intuizioni ma non sempre il medesimo risultato, e nella seconda si apprezza l'estrema freddezza con cui la scena è costruita, tutta giocata su toni algidi e colori neutri di chiaro stampo contemporaneo; il legame padre figlio così come lo si vuole in teoria, in pratica non è così immediato, e tutta l'ultima parte rischia, non poco, di cadere nel monotono, tanto si dilunga lo spettacolo.
Note a margine
Interessantissimi i testi che accompagnano l'apparato teorico del Falstaff di De Rosa.
Leggendoli però si assiste ancora ad una presa di posizione puramente intellettuale e poco, anche se lo si vuole, filosofica. Anche se De Rosa esordisce nel suo saggio con: non c'è più posto per Falstaff in un orizzonte in cui il valore della responsabilità ci viene predicato fin dalla nascita e in cui gli spazi lasciati alla libertà e all'improvvisazione sono sempre più ristretti. Nessuno, la mia generazione per prima, sembra avere la forza, il desiderio o il coraggio per andare in direzione contraria, facendo pensare subito ad una presa di posizione necessaria e radicale, come quella di cui il nostro tempo ha bisogno. Subito però, continuando nella scrittura, cade vittima della retorica dualistica che contrappone Falstaff a Enrico IV, facendo, ancora una volta del mondo una dualità di forze che si scontrano, invece che un'entità fatta di incontri come Nietzsche aveva profetizzato. E questa è una visione vecchia come è vecchio il modo di vedere l'uomo o buono o cattivo, o eccessivo o morigerato. Nonostante gli studi sulla personalità creativa degli ultimi anni?
E proprio vero, poi, che per Falstaff non c'è più posto? Perché uno sguardo ravvicinato mostrerebbe proprio il contrario, cioè quanto tutto il secolo scorso fino ad oggi, abbia riempito il ventre ricolmo di Falstaff, tralasciando certo la sua dialettica: l'arma del potere di un grassone che decide, pur sempre, di rimanere animale piuttosto che farsi Uomo. Il punto è questo, e Nadia Fusini nel suo saggio se lo chiede: per la salute del nostro corpo e della nostra anima sarà bene evacuare il demone Falstaff dal nostro sistema? O non si dovrà piuttosto mantenere lo spazio all'immaginazione, all'affettività, alla libertà che dalla sua figura trasudano? Ecco che qui si uniscono le migliori idee del tanto citato, ma poco capito, Nietzsche. In La nascita della tragedia, il filosofo sottolineava come la società greca, quella dei tempi della tragedia appunto, era un'epoca in cui Apollo e Dioniso avevano la stessa importanza. Con l'avvento del Cristianesimo a prevalere sono state le istanze apollinee di equilibrio e compostezza, castità e morigeratezza, a discapito delle componenti dionisiache, fondamentali, come ebrezza, libertinaggio, sesso, orgie.
Potremmo dire che tutto il Novecento sia il secolo in cui Dioniso non dialoga più con Apollo. In cui Apollo è diventato sempre più ipocrita nell'inseguire gli stilemi della forma e Dioniso messo al bando, è diventato sinonimo di tabù e peccato. Nonostante sia sempre Nietzsche, e ce lo ricorda sempre la Fusini, con parole chiare e definitive, a proposito del contrasto alla base della genealogia della morale tra schiavi e signori, tra la morale dell'uomo comune e quella dello spirito libero, osservando come il contratto con il piacere stabilito dai "dispregiatori del corpo" non sia all'altezza della concezione eroica, o aristocratica. E il mondo, lo ripetiamo da un pò, ha bisogno di eroi e di una nuova aristocrazia, come Pasolini che invitava ad una regale semplicità e come laRegina Elisabetta che, vivendo in un mondo di riti e rituali, sempre vittima di un voyerismo forzato da regole e scadenze, amava rivedere la "propria" natura bassa, fatta di appetiti e di carne, di "vaffanculo" ad una morale bigotta e poco "corporale". Ma resta sempre la grande verità: bisogna essere prima Re e Regine per apprezzare Falstaff e dargli la giusta collocazione.
In sostanza Falstaff non scomparirà dalla vita di Hal, una volta divenuto re, scegliendo gli insegnamenti del padre e quindi nella migliore delle ipotesi divenendo adulto. Ma senza Falstaff e le sue istanze, resterà sempre un mezzo adulto, un burattino mosso dalle fila della Forma, sempre combattuto, ricordando la vecchia e stantia dicitura austeniana, fra ragione e sentimento. Nessuno deve vincere, infine, e crescere significa conoscere luce ed ombre, assecondare Dioniso senza sfoghi, conoscerlo per poi elevarlo ai livelli di Apollo. Insomma per arrivare in alto bisogna partire dal basso e fermarsi al centro.
Apparso la prima volta nel dramma storico Enrico IV, questo personaggio riscosse un tale successo che William Shakespeare dovette farlo rivivere e poi rivivere in ben altri quattro testi. Pare addirittura che la stessa Regina Elisabetta - e questo particolare è essenziale per capire lo scopo dell'opera - ne avesse gradito così tanto la sagacia da intervenire, in prima persona, facendosi dare assicurazioni dal Bardo affinché questo impareggiabile ciccione non fosse accantonato dalla sua produzione. Comparso nell'Enrico VI parte prima, ci informa Nadia Fusini nel testo In grembo a Falstaff, torna come protagonista nell'Enrico IV sempre nella prima parte, e per accontentare la regina tornerà nella commedia Le allegre comari di Windsor e di nuovo nell'Enrico IV parte seconda, per poi morire nell'Enrico V, nella sublime morte socratica descritta dall'ostessa, mentre la sua mano di donna esperta nel piacere scivola sotto la coperta dai piedi si fino alle ginocchia e poi più su, per constatare il rigor mortis.
Il Falstaff di De Rosa miscela tutte le sopracitate presenze, per la traduzione di Nadia Fusini, aggiungendo estratti da Falstaff del libretto di Arrigo Boito dall'opera di Giuseppe Verdi, la preghiera laica sul corpo di Così parlò Zarathustra di Friedrich Nietzsche, suggestioni da le Lettere al padre di Franz Kafka, atmosfere dalla sceneggiatura di Belli e dannati (My Own Private Idaho), film di Gus Van Sant. Questo puzzle di fonti - ci dice il regista in Falstaff, dove sei stato tutto questo tempo? -, per mettere in risalto la complessità della figura paterna - che come intuì Hillman, già negli anni '70, è quella che, nella cultura occidentale, ha subito una netta trasformazione - e per indagare meglio il rapporto padre figlio, che è al centro del mio adattamento. Ecco perché Battiston interpreta sia il ruolo di Falstaff sia di Enrico IV. Su questo doppio binario ho spinto la mia regia separando nettamente la duplicità dei luoghi dell'azione. Da un lato, nella prima parte, la taverna-bordello di Eastcheap con i suoi giorni sempre uguali, nutriti di vino, rapine, scherzi, sesso, parole, parolacce, corpi, musica e caos; dall'altra, nella seconda parte, il mondo del potere e del governo, algido e duro, in cui le regole spietate dell'assassinio e dell'inganno, che hanno accompagnato l'ascesa al trono di Enrico IV, devono essere trasmesse al giovane Hal.
In scena, se si notano le due ambientazioni completamente opposte, dove per la prima è difficile non pensare all'allestimento del duo Ricci/Forte per Still Life 2013 (cartellone Festival delle Colline) in cui vincenti appaiono le stesse intuizioni ma non sempre il medesimo risultato, e nella seconda si apprezza l'estrema freddezza con cui la scena è costruita, tutta giocata su toni algidi e colori neutri di chiaro stampo contemporaneo; il legame padre figlio così come lo si vuole in teoria, in pratica non è così immediato, e tutta l'ultima parte rischia, non poco, di cadere nel monotono, tanto si dilunga lo spettacolo.
Note a margine
Interessantissimi i testi che accompagnano l'apparato teorico del Falstaff di De Rosa.
Leggendoli però si assiste ancora ad una presa di posizione puramente intellettuale e poco, anche se lo si vuole, filosofica. Anche se De Rosa esordisce nel suo saggio con: non c'è più posto per Falstaff in un orizzonte in cui il valore della responsabilità ci viene predicato fin dalla nascita e in cui gli spazi lasciati alla libertà e all'improvvisazione sono sempre più ristretti. Nessuno, la mia generazione per prima, sembra avere la forza, il desiderio o il coraggio per andare in direzione contraria, facendo pensare subito ad una presa di posizione necessaria e radicale, come quella di cui il nostro tempo ha bisogno. Subito però, continuando nella scrittura, cade vittima della retorica dualistica che contrappone Falstaff a Enrico IV, facendo, ancora una volta del mondo una dualità di forze che si scontrano, invece che un'entità fatta di incontri come Nietzsche aveva profetizzato. E questa è una visione vecchia come è vecchio il modo di vedere l'uomo o buono o cattivo, o eccessivo o morigerato. Nonostante gli studi sulla personalità creativa degli ultimi anni?
E proprio vero, poi, che per Falstaff non c'è più posto? Perché uno sguardo ravvicinato mostrerebbe proprio il contrario, cioè quanto tutto il secolo scorso fino ad oggi, abbia riempito il ventre ricolmo di Falstaff, tralasciando certo la sua dialettica: l'arma del potere di un grassone che decide, pur sempre, di rimanere animale piuttosto che farsi Uomo. Il punto è questo, e Nadia Fusini nel suo saggio se lo chiede: per la salute del nostro corpo e della nostra anima sarà bene evacuare il demone Falstaff dal nostro sistema? O non si dovrà piuttosto mantenere lo spazio all'immaginazione, all'affettività, alla libertà che dalla sua figura trasudano? Ecco che qui si uniscono le migliori idee del tanto citato, ma poco capito, Nietzsche. In La nascita della tragedia, il filosofo sottolineava come la società greca, quella dei tempi della tragedia appunto, era un'epoca in cui Apollo e Dioniso avevano la stessa importanza. Con l'avvento del Cristianesimo a prevalere sono state le istanze apollinee di equilibrio e compostezza, castità e morigeratezza, a discapito delle componenti dionisiache, fondamentali, come ebrezza, libertinaggio, sesso, orgie.
Potremmo dire che tutto il Novecento sia il secolo in cui Dioniso non dialoga più con Apollo. In cui Apollo è diventato sempre più ipocrita nell'inseguire gli stilemi della forma e Dioniso messo al bando, è diventato sinonimo di tabù e peccato. Nonostante sia sempre Nietzsche, e ce lo ricorda sempre la Fusini, con parole chiare e definitive, a proposito del contrasto alla base della genealogia della morale tra schiavi e signori, tra la morale dell'uomo comune e quella dello spirito libero, osservando come il contratto con il piacere stabilito dai "dispregiatori del corpo" non sia all'altezza della concezione eroica, o aristocratica. E il mondo, lo ripetiamo da un pò, ha bisogno di eroi e di una nuova aristocrazia, come Pasolini che invitava ad una regale semplicità e come laRegina Elisabetta che, vivendo in un mondo di riti e rituali, sempre vittima di un voyerismo forzato da regole e scadenze, amava rivedere la "propria" natura bassa, fatta di appetiti e di carne, di "vaffanculo" ad una morale bigotta e poco "corporale". Ma resta sempre la grande verità: bisogna essere prima Re e Regine per apprezzare Falstaff e dargli la giusta collocazione.
In sostanza Falstaff non scomparirà dalla vita di Hal, una volta divenuto re, scegliendo gli insegnamenti del padre e quindi nella migliore delle ipotesi divenendo adulto. Ma senza Falstaff e le sue istanze, resterà sempre un mezzo adulto, un burattino mosso dalle fila della Forma, sempre combattuto, ricordando la vecchia e stantia dicitura austeniana, fra ragione e sentimento. Nessuno deve vincere, infine, e crescere significa conoscere luce ed ombre, assecondare Dioniso senza sfoghi, conoscerlo per poi elevarlo ai livelli di Apollo. Insomma per arrivare in alto bisogna partire dal basso e fermarsi al centro.
gb
TEATRO CARIGNANO
FALSTAFF
da Enrico IV / Enrico V
di William Shakespeare
traduzione Nadia Fusini
con Giuseppe Battiston, Gennaro Di Colandrea, Giovanni Franzoni, Giovanni Ludeno, Martina Polla, Andrea Sorrentino, Annamaria Troisi, Elisabetta Valgoi, Marco Vergani
adattamento e regia Andrea De Rosa
scene e costumi Simone Mannino
luci Pasquale Mari
suono Hubert Westkemper
movimenti scenici Francesco Manetti
www.andreaderosa.net
FALSTAFF
da Enrico IV / Enrico V
di William Shakespeare
traduzione Nadia Fusini
con Giuseppe Battiston, Gennaro Di Colandrea, Giovanni Franzoni, Giovanni Ludeno, Martina Polla, Andrea Sorrentino, Annamaria Troisi, Elisabetta Valgoi, Marco Vergani
adattamento e regia Andrea De Rosa
scene e costumi Simone Mannino
luci Pasquale Mari
suono Hubert Westkemper
movimenti scenici Francesco Manetti
www.andreaderosa.net