Tutti i giovani come Woyzeck
Bronzino all'Astra
Al Teatro Astra il secondo capitolo del progetto creativo affidato al giovane regista Emiliano Bronzino. Se nella passata stagione aveva debuttato con lo Zio Vanja ci Checov, in questa si è misurato con uno dei testi teatrali che ha impressionato tutta una generazione di drammaturghi tedeschi. Con il Woyzeck di Georg Büchner, un giovane regista parla della situazione, odierna, di molti suoi coetanei. Negli spazi del Teatro Astra - sala prove - fino al 1 dicembre.
Scritto fra il 1836 e il '37, anno della morte dell'autore a soli 24 anni, il dramma rimase nascosto per quarantadue anni fino al 1879, anno in cui lo scrittore K.E. Franzos pubblica Georg Büchner: Sämmtliche Werke und handschriftlicher Nachlaß (Opere complete e lasciti manoscritti). Esattamente 8 anni dopo l'unificazione della Germania, che lui stesso aveva auspicato nella sua breve vita partecipando attivamente alla vita politica del tempo, interessandosi soprattutto al caso dell'Alsazia e fondando nel 1833, insieme a Friedrich Ludwig Weidig la Società per i diritti umani.
Dunque il peso dell'oppressione francese era molto forte. L'oppressione porta alla frustrazione, al senso di impotenza, cancella la libertà avuta fino a quel tempo e non ultimo avrebbe condotto lo spostamento massiccio, una volta l'unificazione avvenuta, al progressivo svuotamento delle campagne per l'occupazione dello spazio cittadino, nuova regola del vivere associato. Non più "comunitario" come poteva essere vivere nelle campagne - come per altro lo stesso drammaturgo scienziato denunciava nel 1834 con Friede den Hütten! Krieg den Palästen! ("Pace alle capanne! Guerra ai palazzi!") -, ma seguendo le regole anonime e formali, del nuovo vivere cittadino. Come dire i traguardi della civiltà gli ha appagati tutti, e a caro prezzo, l'essere umano e la sua essenza.
Woyzeck mostra un mondo chiuso, claustrofobico, da cui non esiste nessuna possibilità di fuga. Una realtà capace di distruggere ogni umanità e sentimento nell'anima del protagonista. Lo stesso spaesamento che anima L'urlo di Munch del 1893 e che porterà, oltre agli sviluppi della filosofia tedesca, alla nascita dell'esistenzialismo francese di cui Camus e Sartre ne sono i maggiori esponenti. E sia ne Lo straniero, del primo, che ne L'età della ragione del secondo, scritti più di un secolo dopo, sono protagoniste le stesse tematiche: il groviglio del no-sens con il debutto dell'antieroe in letteratura con tutte le sue implicazioni/denunce politico-sociali, antropologiche e psicologiche. Non più attivo eroe, come nel passato della sua vita, ma vittima passiva di una vita che non ha scelto a pieno.
Siamo di fronte a una drammaturgia aperta, frammentata - di li a poco, scoperta da Brecht, sarebbe divenuta uno stile preciso nel teatro espressionista del primo Novecento - che si presenta come un labirinto da cui è impossibile uscire e in cui s'intrecciano poesia, psicologia, critica sociale. Frammenti che compongono il puzzle di un'analisi spietata e cruda su come la violenza tutta, reiterata e continua, possa spingere un uomo "giusto" a compiere il peggiore dei crimini. Woyzeck è l'unico personaggio ancora disincantato, umile e puro, come chi ancora non conosce la Civiltà, e per questo è deriso da tutti coloro che accettano o sguazzano nelle regole "immonde". Lui rappresenta il vecchio che ha difficoltà a sfociare nel nuovo e per questo si fa oggetto sacrificale, un Pasolini ante litteram morto a causa del suo desiderio si semplicità, di valori veri e reali.
E come Woyzek molti dei giovani d'oggi, vivono la pesantezza di un'Italia troppo poco generosa con i suoi giovani. L'unica generazione, nel corso della sua storia priva della pensione, impossibilitata nella "maturità" economica da un paese che non investe sulla cultura ma ha un numero elevatissimo di laureati e specialisti, a spasso, o costretti a fuggire all'estero. Cassaintegrati, precari, contratti che agevolano solo le agenzie e non i lavoratori. Come si può crescere in una società bambina? Come poter mantenere quei pochi valori e soprattutto come poterli mettere in pratica se oggi, come ieri, i giovani, vivono esattamente il corto circuito psichico di Woyzeck?
Il personaggio era chiaro e definito fin quando, come in Otello, il tarlo della gelosia gli ronza nelle orecchie. Tutto prima di questo andava bene, la vita difficile, le derisioni altrui, tutto poteva sopportarsi solo perché l'amore e l'abnegazione per Marì rendevano sensato un contesto in cui il senso sfuggiva. Solo quando avrà la certezza del tradimento, l'equilibrio verrà meno, e Woyzeck diventerà il peggior nemico di sé stesso. Le sue certezze, venendo meno insieme al suo mondo, faranno sì che la follia si impossessi di lui, e dia ascolto e soddisfacimento a quelle istanze che fino a allora non facevano parte di sé: l'omicidio, la distruzione di tutto il suo "mondo", piuttosto che proteggerlo e combattere per esso. Eppure Woyzeck è, nonostante tutto, un atto grandissimo di amore verso l'umanità. Un urlo sordo che forse ancora oggi non è stato udito.
Non resta che apprezzare la scelta di Bronzino, che con un cast di bravissimi giovani attori, ha portato in scena un testo che ancora oggi colpisce per la sua "atroce" attualità. Per una regia che segue quasi in todo la versione proposta da Werner R. Lehmann sulla base dei manoscritti di Büchner, fatta eccezione per il finale, lo spazio scenico si anima di personaggi grotteschi e caricaturali. Sempre con una recita sopra le righe, il dramma sembra il racconto di un incubo, lo stesso che ogni giorno riempie le pagine dei quotidiani nella sezione cronaca nera.
Scritto fra il 1836 e il '37, anno della morte dell'autore a soli 24 anni, il dramma rimase nascosto per quarantadue anni fino al 1879, anno in cui lo scrittore K.E. Franzos pubblica Georg Büchner: Sämmtliche Werke und handschriftlicher Nachlaß (Opere complete e lasciti manoscritti). Esattamente 8 anni dopo l'unificazione della Germania, che lui stesso aveva auspicato nella sua breve vita partecipando attivamente alla vita politica del tempo, interessandosi soprattutto al caso dell'Alsazia e fondando nel 1833, insieme a Friedrich Ludwig Weidig la Società per i diritti umani.
Dunque il peso dell'oppressione francese era molto forte. L'oppressione porta alla frustrazione, al senso di impotenza, cancella la libertà avuta fino a quel tempo e non ultimo avrebbe condotto lo spostamento massiccio, una volta l'unificazione avvenuta, al progressivo svuotamento delle campagne per l'occupazione dello spazio cittadino, nuova regola del vivere associato. Non più "comunitario" come poteva essere vivere nelle campagne - come per altro lo stesso drammaturgo scienziato denunciava nel 1834 con Friede den Hütten! Krieg den Palästen! ("Pace alle capanne! Guerra ai palazzi!") -, ma seguendo le regole anonime e formali, del nuovo vivere cittadino. Come dire i traguardi della civiltà gli ha appagati tutti, e a caro prezzo, l'essere umano e la sua essenza.
Woyzeck mostra un mondo chiuso, claustrofobico, da cui non esiste nessuna possibilità di fuga. Una realtà capace di distruggere ogni umanità e sentimento nell'anima del protagonista. Lo stesso spaesamento che anima L'urlo di Munch del 1893 e che porterà, oltre agli sviluppi della filosofia tedesca, alla nascita dell'esistenzialismo francese di cui Camus e Sartre ne sono i maggiori esponenti. E sia ne Lo straniero, del primo, che ne L'età della ragione del secondo, scritti più di un secolo dopo, sono protagoniste le stesse tematiche: il groviglio del no-sens con il debutto dell'antieroe in letteratura con tutte le sue implicazioni/denunce politico-sociali, antropologiche e psicologiche. Non più attivo eroe, come nel passato della sua vita, ma vittima passiva di una vita che non ha scelto a pieno.
Siamo di fronte a una drammaturgia aperta, frammentata - di li a poco, scoperta da Brecht, sarebbe divenuta uno stile preciso nel teatro espressionista del primo Novecento - che si presenta come un labirinto da cui è impossibile uscire e in cui s'intrecciano poesia, psicologia, critica sociale. Frammenti che compongono il puzzle di un'analisi spietata e cruda su come la violenza tutta, reiterata e continua, possa spingere un uomo "giusto" a compiere il peggiore dei crimini. Woyzeck è l'unico personaggio ancora disincantato, umile e puro, come chi ancora non conosce la Civiltà, e per questo è deriso da tutti coloro che accettano o sguazzano nelle regole "immonde". Lui rappresenta il vecchio che ha difficoltà a sfociare nel nuovo e per questo si fa oggetto sacrificale, un Pasolini ante litteram morto a causa del suo desiderio si semplicità, di valori veri e reali.
E come Woyzek molti dei giovani d'oggi, vivono la pesantezza di un'Italia troppo poco generosa con i suoi giovani. L'unica generazione, nel corso della sua storia priva della pensione, impossibilitata nella "maturità" economica da un paese che non investe sulla cultura ma ha un numero elevatissimo di laureati e specialisti, a spasso, o costretti a fuggire all'estero. Cassaintegrati, precari, contratti che agevolano solo le agenzie e non i lavoratori. Come si può crescere in una società bambina? Come poter mantenere quei pochi valori e soprattutto come poterli mettere in pratica se oggi, come ieri, i giovani, vivono esattamente il corto circuito psichico di Woyzeck?
Il personaggio era chiaro e definito fin quando, come in Otello, il tarlo della gelosia gli ronza nelle orecchie. Tutto prima di questo andava bene, la vita difficile, le derisioni altrui, tutto poteva sopportarsi solo perché l'amore e l'abnegazione per Marì rendevano sensato un contesto in cui il senso sfuggiva. Solo quando avrà la certezza del tradimento, l'equilibrio verrà meno, e Woyzeck diventerà il peggior nemico di sé stesso. Le sue certezze, venendo meno insieme al suo mondo, faranno sì che la follia si impossessi di lui, e dia ascolto e soddisfacimento a quelle istanze che fino a allora non facevano parte di sé: l'omicidio, la distruzione di tutto il suo "mondo", piuttosto che proteggerlo e combattere per esso. Eppure Woyzeck è, nonostante tutto, un atto grandissimo di amore verso l'umanità. Un urlo sordo che forse ancora oggi non è stato udito.
Non resta che apprezzare la scelta di Bronzino, che con un cast di bravissimi giovani attori, ha portato in scena un testo che ancora oggi colpisce per la sua "atroce" attualità. Per una regia che segue quasi in todo la versione proposta da Werner R. Lehmann sulla base dei manoscritti di Büchner, fatta eccezione per il finale, lo spazio scenico si anima di personaggi grotteschi e caricaturali. Sempre con una recita sopra le righe, il dramma sembra il racconto di un incubo, lo stesso che ogni giorno riempie le pagine dei quotidiani nella sezione cronaca nera.
gb
Teatro Astra
Woyzeck
di Georg Büchner
regia Emiliano Bronzino con Lorenzo Gleijeses, Maria Alberta Navello, Stefano Moretti, Fabrizio Martorelli, Diego Casalis, Alessandro Meringolo, Marcella Favilla, Riccardo De Leo
scene Francesco Fassone / costumi Chiara Donato / luci Mauro Panizza / musiche Matteo Curallo
assistente alla regia Maria José Revert e Lia Tomatis
sarta Augusta Tibaldeschi
elettricista Paolo Raimondo / macchinista Pey
produzione FONDAZIONE TEATRO PIEMONTE EUROPA in collaborazione con Goethe-Institut Turin
www.emiliano.bronzino.org
Woyzeck
di Georg Büchner
regia Emiliano Bronzino con Lorenzo Gleijeses, Maria Alberta Navello, Stefano Moretti, Fabrizio Martorelli, Diego Casalis, Alessandro Meringolo, Marcella Favilla, Riccardo De Leo
scene Francesco Fassone / costumi Chiara Donato / luci Mauro Panizza / musiche Matteo Curallo
assistente alla regia Maria José Revert e Lia Tomatis
sarta Augusta Tibaldeschi
elettricista Paolo Raimondo / macchinista Pey
produzione FONDAZIONE TEATRO PIEMONTE EUROPA in collaborazione con Goethe-Institut Turin
www.emiliano.bronzino.org