Degas a Degas
Riflessioni passeggiando al Valentino
Ancora tre settimane per visitare gli 80 capolavori che compongono l'antologica che Torino dedica ad un cugino francese che amava l'Italia. Edgar Degas, nei capolavori del Musée D'Orsay, è ospitato nella Palazzina della Società Promotrice delle Belle Arti (fino al 27 gennaio), nel bellissimo Parco del Valentino, da oltre due mesi. Ora che è stato digerito con lunghe passeggiate e quindi forse ascoltato un po' di più, si decide di parlarne. E nel parlarne cercare di ridare a Degas ciò che è di Degas.
Voluta dal comune di Torino a riprova del suo interesse per la cultura come motore propulsore dell'economia, nasce di concerto fra il Presidente del Musée D'Orsay, Guy Cogeval, il Presidente di Skira, Masssimo Vitta Zelman e la lungimiranza del Sindaco Fassino e dell'Assessore alla Cultura Braccialarghe. Una mostra importante ed imponente che porta oltr'Alpe tele chiuse nei depositi, alcune di notevoli dimensioni, altre che neanche l'artista avrebbe voluto esposte. Perché Degas non è cosa facile e men che meno la critica attorno all'artista Degas.
Nel suo insieme l'allestimento convince poco. Tuttavia si è colpiti dalla decisione vincente del giovane curatore Xavier Rey di scegliere il colore in opposizione all'orribile convinzione che il total white si presti meglio per la visione delle opere. Dunque lode alla scelta! Al di sopra di questi colori sono sistemate le prime opere, accostate ai disegni preparatori. Stiamo assistendo, come in ogni antologica, alla preparazione in atto delle potenzialità del pittore: si parte con l'autoritratto del 1855 e subito si capisce quale direzione Degas intenda percorrere. Non solo in omaggio a Ingres ma la linea della sua visione precisa dell'arte, uno sguardo che non tradirà fino alla sua morte.
Il reale è ciò che lo interessa, con un amore morboso, forse clinico, ma mai impressionista. Né nel concepire l'opera men che meno nello strutturarla. Non solo la critica della prima metà del'900 lo voleva impressionista solo per coincidenze temporali, ma oggi lo si definisce persino un "impressionista anomalo" perché ormai l'etichetta è diventata istituzione.
A ben guardare non c'è nulla di propriamente impressionista nell'opera di Degas, lui stesso più volte scrive dell'odio che provava verso quei pittori. Con loro né condivideva la passione per l'aria aperta né la visione di insieme, tanto meno l'amore per la luce. In lui tutto era sguardo: prima sceglieva la fetta di realtà che voleva rappresentare poi la portava in studio e lì la analizzava per ricrearla.
"Rivoluzionari? Niente affatto. Noi siamo la tradizione!" Degas non voleva affatto rompere con la tradizione, voleva semplicemente continuarla, inserire il proprio busto accanto a quello dei suoi maestri. E, nonostante in una delle citazioni le parole di Degas recitino: " le ballerine mi sono servite solo per dipingere bei tessuti e bei movimenti" è considerato ancora il pittore delle ballerine, che avrebbe dipinto, come l'odierna critica vuole, come metafora del decadimento della società parigina. Ma no, sul serio? Proprio un ricco borghese parigino, che poteva permettersi di viaggiare in Italia e che, nei suoi quadri rappresenta proprio le due facce della mondanità, quella edulcorata e quella triste, fuori dalle luci della ribalta, sembra criticare le debolezze di una classe a cui lui stesso è felice di appartenere? Degas sguazza nei suoi privilegi e questi sono gli stessi che possono permettergli di sublimare, attraverso la sua arte, repressioni dovute ad un'educazione rigida e perbenista personificata nel ritratto del nonno, imperante per tutta la prima produzione del nipote.
Quello di Degas non è un impressionismo anomalo dotato, per altro, di una presunta vena critica, tutto il contrario: nell'esigenza del reale vi si nasconde il bisogno del vero e dell'oggettivo. Le cose, la vita, le situazioni e le persone, una volta viste per quello che sono esulano da qualsiasi nozione di giusto o sbagliato. La verità è quella: prendere o lasciare. Sono "fotografie" le tele di Degas e la sua opera è un reportage.
Nelle prime sale, in cui lo scorrere dei dipinti segue un percorso cronologico (almeno fino alla quarta sala), si susseguono parenti e prove che esegue una volta tornato dall'Italia. Affascinato dal tripudio dei maestri rinascimentali, cerca di misurarsi con la loro grandezza, sia nel formato delle tele, sia con la loro costruzione delle scene in chiave drammatico-narrativa. E nel confronto l'Italia vince sulla Francia. Tali lavori sono poco convincenti e mai si direbbero opera di un genio. E invece? Parlando di "Scene di Guerra nel Medioevo", il curatore afferma: «Degas dà prova della sua formidabile capacità di assimilazione: tra la moltitudine di riferimenti spiccano i nomi di Botticelli, Goya, Ingres, Delacroix e Puvis de Chavannes». Sarà vero?
Dalla quinta sala in poi si interrompe il percorso cronologico per passare a quello tematico. Di fatto si sfasano tempi e si vizia la lettura dell'artista. Con la quarta sala eravamo giunti alla fine degli anni '60,nella quinta ci troviamo di fronte al capolavoro scultoreo "La ballerina di quattordici anni" -dalle fattezze primitive dicono alcuni-, degli anni 80. Superato il capolavoro che si vuole derivante dagli studi di fotocinematografia del tempo si ritorna ai grandissimi capolavori degli anni '70.
Tutto il suo quotidiano, tutta la sua "realtà" è messa su tela. La vita mondana, il tempo libero, gli amici, quello che vede e ciò che lo colpisce. In queste tele, di piccolo e medio formato, si nasconde il vero Degas, quello maturo che sa cosa gli interessa e sa come rappresentarlo al meglio. In queste opere tutto è ricerca di continuazione, tutto è ricordo della tradizione. Cambia posture e ambientazioni amplificando ancora di più la missione voyerista dell'artista. Quando l'uomo borghese potrebbe essere tacciato di impudicizia, resta pur sempre e comunque un realista, che innova, certo, ma colpisce più Matisse e Picasso che non Manet e Renoir.
Degas. I capolavori dal Musèe d'Orsay
Torino - Palazzina della Società Promotrice delle Belle Arti
Parco del Valentino - Dal 18/10/2012 Al 27/01/2013
Voluta dal comune di Torino a riprova del suo interesse per la cultura come motore propulsore dell'economia, nasce di concerto fra il Presidente del Musée D'Orsay, Guy Cogeval, il Presidente di Skira, Masssimo Vitta Zelman e la lungimiranza del Sindaco Fassino e dell'Assessore alla Cultura Braccialarghe. Una mostra importante ed imponente che porta oltr'Alpe tele chiuse nei depositi, alcune di notevoli dimensioni, altre che neanche l'artista avrebbe voluto esposte. Perché Degas non è cosa facile e men che meno la critica attorno all'artista Degas.
Nel suo insieme l'allestimento convince poco. Tuttavia si è colpiti dalla decisione vincente del giovane curatore Xavier Rey di scegliere il colore in opposizione all'orribile convinzione che il total white si presti meglio per la visione delle opere. Dunque lode alla scelta! Al di sopra di questi colori sono sistemate le prime opere, accostate ai disegni preparatori. Stiamo assistendo, come in ogni antologica, alla preparazione in atto delle potenzialità del pittore: si parte con l'autoritratto del 1855 e subito si capisce quale direzione Degas intenda percorrere. Non solo in omaggio a Ingres ma la linea della sua visione precisa dell'arte, uno sguardo che non tradirà fino alla sua morte.
Il reale è ciò che lo interessa, con un amore morboso, forse clinico, ma mai impressionista. Né nel concepire l'opera men che meno nello strutturarla. Non solo la critica della prima metà del'900 lo voleva impressionista solo per coincidenze temporali, ma oggi lo si definisce persino un "impressionista anomalo" perché ormai l'etichetta è diventata istituzione.
A ben guardare non c'è nulla di propriamente impressionista nell'opera di Degas, lui stesso più volte scrive dell'odio che provava verso quei pittori. Con loro né condivideva la passione per l'aria aperta né la visione di insieme, tanto meno l'amore per la luce. In lui tutto era sguardo: prima sceglieva la fetta di realtà che voleva rappresentare poi la portava in studio e lì la analizzava per ricrearla.
"Rivoluzionari? Niente affatto. Noi siamo la tradizione!" Degas non voleva affatto rompere con la tradizione, voleva semplicemente continuarla, inserire il proprio busto accanto a quello dei suoi maestri. E, nonostante in una delle citazioni le parole di Degas recitino: " le ballerine mi sono servite solo per dipingere bei tessuti e bei movimenti" è considerato ancora il pittore delle ballerine, che avrebbe dipinto, come l'odierna critica vuole, come metafora del decadimento della società parigina. Ma no, sul serio? Proprio un ricco borghese parigino, che poteva permettersi di viaggiare in Italia e che, nei suoi quadri rappresenta proprio le due facce della mondanità, quella edulcorata e quella triste, fuori dalle luci della ribalta, sembra criticare le debolezze di una classe a cui lui stesso è felice di appartenere? Degas sguazza nei suoi privilegi e questi sono gli stessi che possono permettergli di sublimare, attraverso la sua arte, repressioni dovute ad un'educazione rigida e perbenista personificata nel ritratto del nonno, imperante per tutta la prima produzione del nipote.
Quello di Degas non è un impressionismo anomalo dotato, per altro, di una presunta vena critica, tutto il contrario: nell'esigenza del reale vi si nasconde il bisogno del vero e dell'oggettivo. Le cose, la vita, le situazioni e le persone, una volta viste per quello che sono esulano da qualsiasi nozione di giusto o sbagliato. La verità è quella: prendere o lasciare. Sono "fotografie" le tele di Degas e la sua opera è un reportage.
Nelle prime sale, in cui lo scorrere dei dipinti segue un percorso cronologico (almeno fino alla quarta sala), si susseguono parenti e prove che esegue una volta tornato dall'Italia. Affascinato dal tripudio dei maestri rinascimentali, cerca di misurarsi con la loro grandezza, sia nel formato delle tele, sia con la loro costruzione delle scene in chiave drammatico-narrativa. E nel confronto l'Italia vince sulla Francia. Tali lavori sono poco convincenti e mai si direbbero opera di un genio. E invece? Parlando di "Scene di Guerra nel Medioevo", il curatore afferma: «Degas dà prova della sua formidabile capacità di assimilazione: tra la moltitudine di riferimenti spiccano i nomi di Botticelli, Goya, Ingres, Delacroix e Puvis de Chavannes». Sarà vero?
Dalla quinta sala in poi si interrompe il percorso cronologico per passare a quello tematico. Di fatto si sfasano tempi e si vizia la lettura dell'artista. Con la quarta sala eravamo giunti alla fine degli anni '60,nella quinta ci troviamo di fronte al capolavoro scultoreo "La ballerina di quattordici anni" -dalle fattezze primitive dicono alcuni-, degli anni 80. Superato il capolavoro che si vuole derivante dagli studi di fotocinematografia del tempo si ritorna ai grandissimi capolavori degli anni '70.
Tutto il suo quotidiano, tutta la sua "realtà" è messa su tela. La vita mondana, il tempo libero, gli amici, quello che vede e ciò che lo colpisce. In queste tele, di piccolo e medio formato, si nasconde il vero Degas, quello maturo che sa cosa gli interessa e sa come rappresentarlo al meglio. In queste opere tutto è ricerca di continuazione, tutto è ricordo della tradizione. Cambia posture e ambientazioni amplificando ancora di più la missione voyerista dell'artista. Quando l'uomo borghese potrebbe essere tacciato di impudicizia, resta pur sempre e comunque un realista, che innova, certo, ma colpisce più Matisse e Picasso che non Manet e Renoir.
Degas. I capolavori dal Musèe d'Orsay
Torino - Palazzina della Società Promotrice delle Belle Arti
Parco del Valentino - Dal 18/10/2012 Al 27/01/2013
Sito mostra: www.mostradegas.it