Quale Sicilia? Quella invisibile
Instrument 1 inaugura Uva Grapes 7
Parte la prima giornata di raccolto. Contemporaneamente il percorso a ritroso per festeggiare i vent'anni della Compagnia Zappalà vede il suo esordio con la performance Instrument 1, coreografia realizzata nel 2007 e dedicata alla Sicilia.
Suoi sono i luoghi comuni, suoi sono i limiti, suoi sono gli scenari e le immagini che i corpi dei sette danzatori evocano. Sue sono le tradizioni, la religione, suo è il folklore. Suo è l'ideale estetico. Di Zappalà è lo sguardo! Un guardare oltre il visibile con la presunzione, che l'arte regala, di scorgerne anche l'invisibile. Non a caso la scelta della colonna sonora è tutta affidata al potere rituale del marranzano. Di questo strumento locale e tradizionale che all'interno di questo studio/ricerca viene rivisitato, cercando di sfruttarne le sue potenzialità all'interno di un contesto contemporaneo, con un risultato di grande effetto che non ha nulla da invidiare a sonorità elettroniche di stampo metropolitano.
Lo spettacolo ha inizio, e quel breve chiacchiericcio che ancora persegue negli istanti appena prima dell'inizio della performance, viene bruscamente interrotto da dei lamenti che rievocano le nenie nostrane di una sicilianità non dimentica del tutto. Quelle tradizioni che possono essere incarnate simbolicamente nei vestiti neri delle donne e nei copricapo di pizzo nero. In quei gesti che ancora una volta risentono dell'importanza del rito, di quella scansione quasi robotica di gesti e parole. Dalle nenie alla tragedia: il marranzano come coro, la coreografia come intreccio. Anche i costumi rievocano quel passato glorioso, in cui non esistevano i sessi e l'arte era al disopra di tutto.
"Piulu paulu, piulu paulu"...i sette danzatori si muovono all'unisono ripetendo la stessa cantilena che i genitori di Paolo gli ripetevano nel libro di Giorgio Morale (Paulu Piulu, Manni 2005). Dai suoni gravi a quelli più acuti che, insieme al suono del marranzano, ripercorrono quelle potenzialità orali proprie della nostra tradizione dei cantastorie. Ma da questo esordio, da questo viaggio che il coreografo intraprende non può non esserci un forte spirito critico a dominare il resto. Sette sono i danzatori, e questo inevitabilmente porta all'esclusione di uno di loro, quando a formarsi sono le coppie o quando a crearsi è un gruppo di sei. Quel solo rimane ad osservare come un Diogene contemporaneo, si chiede, si interroga. Balla una danza che gli altri non comprendono, si muove in maniera anarmonica rispetto al gruppo, incomincia a porsi delle domande!
Ma la Sicilia è veramente come io la vedo? Cosa ho io da condividere con una Sicilia cosi fatta? Con questa visione di gregge in cui qualcuno già riconosceva che tutto cambiava per poi tornare come era, come posso vivere? E pure è stata la patria di Pirandello, Quasimodo, Orcinus Orca, Battiato e Carmen Consoli e come mai io vedo solo Trimalcioni con i ventri gonfi ostentare una "masculanza" fatta di apparenze, di "raspate di palle", di gesti mafiosi come a indicare "ti tagghiu a facci", di un finto potere che si esplica con un "ntz" e in una estensione dell'arto superiore che ti invita a venire verso? Ecco, la Sicilia da Magna Grecia è diventata una piccola patria dominata da piccoli uomini. Zappalà questo lo sa bene e la sua arte vuole essere una risposta fra le tante possibili.
Suoi sono i luoghi comuni, suoi sono i limiti, suoi sono gli scenari e le immagini che i corpi dei sette danzatori evocano. Sue sono le tradizioni, la religione, suo è il folklore. Suo è l'ideale estetico. Di Zappalà è lo sguardo! Un guardare oltre il visibile con la presunzione, che l'arte regala, di scorgerne anche l'invisibile. Non a caso la scelta della colonna sonora è tutta affidata al potere rituale del marranzano. Di questo strumento locale e tradizionale che all'interno di questo studio/ricerca viene rivisitato, cercando di sfruttarne le sue potenzialità all'interno di un contesto contemporaneo, con un risultato di grande effetto che non ha nulla da invidiare a sonorità elettroniche di stampo metropolitano.
Lo spettacolo ha inizio, e quel breve chiacchiericcio che ancora persegue negli istanti appena prima dell'inizio della performance, viene bruscamente interrotto da dei lamenti che rievocano le nenie nostrane di una sicilianità non dimentica del tutto. Quelle tradizioni che possono essere incarnate simbolicamente nei vestiti neri delle donne e nei copricapo di pizzo nero. In quei gesti che ancora una volta risentono dell'importanza del rito, di quella scansione quasi robotica di gesti e parole. Dalle nenie alla tragedia: il marranzano come coro, la coreografia come intreccio. Anche i costumi rievocano quel passato glorioso, in cui non esistevano i sessi e l'arte era al disopra di tutto.
"Piulu paulu, piulu paulu"...i sette danzatori si muovono all'unisono ripetendo la stessa cantilena che i genitori di Paolo gli ripetevano nel libro di Giorgio Morale (Paulu Piulu, Manni 2005). Dai suoni gravi a quelli più acuti che, insieme al suono del marranzano, ripercorrono quelle potenzialità orali proprie della nostra tradizione dei cantastorie. Ma da questo esordio, da questo viaggio che il coreografo intraprende non può non esserci un forte spirito critico a dominare il resto. Sette sono i danzatori, e questo inevitabilmente porta all'esclusione di uno di loro, quando a formarsi sono le coppie o quando a crearsi è un gruppo di sei. Quel solo rimane ad osservare come un Diogene contemporaneo, si chiede, si interroga. Balla una danza che gli altri non comprendono, si muove in maniera anarmonica rispetto al gruppo, incomincia a porsi delle domande!
Ma la Sicilia è veramente come io la vedo? Cosa ho io da condividere con una Sicilia cosi fatta? Con questa visione di gregge in cui qualcuno già riconosceva che tutto cambiava per poi tornare come era, come posso vivere? E pure è stata la patria di Pirandello, Quasimodo, Orcinus Orca, Battiato e Carmen Consoli e come mai io vedo solo Trimalcioni con i ventri gonfi ostentare una "masculanza" fatta di apparenze, di "raspate di palle", di gesti mafiosi come a indicare "ti tagghiu a facci", di un finto potere che si esplica con un "ntz" e in una estensione dell'arto superiore che ti invita a venire verso? Ecco, la Sicilia da Magna Grecia è diventata una piccola patria dominata da piccoli uomini. Zappalà questo lo sa bene e la sua arte vuole essere una risposta fra le tante possibili.
Gb
UVA GRAPES
Instrument 1, scoprire l'invisibile
coreografie e regia: Roberto Zappalà
musica originale: I Lautari
www.compagniazappala.it
www.scenariopubblico.com
Instrument 1, scoprire l'invisibile
coreografie e regia: Roberto Zappalà
musica originale: I Lautari
www.compagniazappala.it
www.scenariopubblico.com