Gadda va alla guerra e la guerra resta in Gadda
bertolucci al Franco Parenti
Il Teatro Parenti ospita fino al 24 Gennaio lo spettacolo L'ingegner Gadda va alla guerra, con la regia di Giuseppe Bertolucci ed in scena un molteplice Fabrizio Gifuni.
Lo spettacolo procede intorno a quella riflessione iniziata quattro anni fa con Bertolucci, in Na specie de cadavere lunghissimo, in cui il centro era lo svisceramento del paese negli ultimi quarant'anni. Se in quell'occasione il medium erano Pasolini e Somalvico, questa volta è l'opera di Gadda a parlare con i diari di guerra e prigionia e Eros e Priapo.
Nella prima si sottolinea la partecipazione dello stesso Gadda al primo conflitto mondiale mentre la seconda è chiamata in causa, per analogia, a sottolineare le conseguenze che lo stesso conflitto ha scatenato nel privato e ancora più incisivamente nella sfera pubblica con la nascita del fascismo e il culto del suo leader, il dux. È la storia di un uomo che fa da eco alla storia di molti e ciò nonostante risulta essere una voce non udita, qui proposta in veste di coscienza collettiva.
La scena si presenta spoglia, solo una sedia come scenografia, appiglio e palcoscenico. La mancanza di una colonna sonora sottolinea la voce di Gifuni, che con straordinaria capacità riesce a modulare la voce nella tonalità più basse fino a salire nei toni più alti, non tralasciando i suoni onomatopeici cari allo stile gaddiano, cosi come non è messo da parte l'altrettanto caratteristico plurilinguismo. In quest'opera Gadda è presentato come quell'uomo che vive dal di dentro il conflitto, del quale ne sviscera i contrasti perchè li vive e non comprendendone il senso. Ed è proprio nel non senso e nel dolore che il nostro Gaddus è accomunato ad Amleto (protagonista-ombra del su più grande romanzo, La cognizione del dolore). Un Amleto invecchiato e solo, sempre più collerico sempre sull'orlo di una follia tragica e pure a tratti comicissima, dirà del suo personaggio lo stesso Gifuni. È ormai un uomo padrone del proprio dolore che sa individuarne la causa, che pone come conseguenza un malessere personale (individuale) e collettivo (all'interno della società). Popolo troppo poco motivato a farsi domande e porgersi le giuste risposte, popolo di pecore in grado solo di seguire chi fa la voce grossa e che di mostra di avercelo più duro.
Con tutta la bravura che si concretizza nella padronanza del ruolo e lo svisceramento delle opere proposte, che sola basta non necessitando di arti supporti Gifuni ci invita a riflettere sul perché il dolore si tramuta in rabbia e rassegnazione. Sul perché gli italiani sono cosi conformi all'abitudine facendo di questo spettacolo un atto sacrale utile a chiunque, oggi, voglia provare a riannodare i fili di una tela in brandelli. La tela di un paese chiamato Italia (F. Gifuni).
Lo spettacolo procede intorno a quella riflessione iniziata quattro anni fa con Bertolucci, in Na specie de cadavere lunghissimo, in cui il centro era lo svisceramento del paese negli ultimi quarant'anni. Se in quell'occasione il medium erano Pasolini e Somalvico, questa volta è l'opera di Gadda a parlare con i diari di guerra e prigionia e Eros e Priapo.
Nella prima si sottolinea la partecipazione dello stesso Gadda al primo conflitto mondiale mentre la seconda è chiamata in causa, per analogia, a sottolineare le conseguenze che lo stesso conflitto ha scatenato nel privato e ancora più incisivamente nella sfera pubblica con la nascita del fascismo e il culto del suo leader, il dux. È la storia di un uomo che fa da eco alla storia di molti e ciò nonostante risulta essere una voce non udita, qui proposta in veste di coscienza collettiva.
La scena si presenta spoglia, solo una sedia come scenografia, appiglio e palcoscenico. La mancanza di una colonna sonora sottolinea la voce di Gifuni, che con straordinaria capacità riesce a modulare la voce nella tonalità più basse fino a salire nei toni più alti, non tralasciando i suoni onomatopeici cari allo stile gaddiano, cosi come non è messo da parte l'altrettanto caratteristico plurilinguismo. In quest'opera Gadda è presentato come quell'uomo che vive dal di dentro il conflitto, del quale ne sviscera i contrasti perchè li vive e non comprendendone il senso. Ed è proprio nel non senso e nel dolore che il nostro Gaddus è accomunato ad Amleto (protagonista-ombra del su più grande romanzo, La cognizione del dolore). Un Amleto invecchiato e solo, sempre più collerico sempre sull'orlo di una follia tragica e pure a tratti comicissima, dirà del suo personaggio lo stesso Gifuni. È ormai un uomo padrone del proprio dolore che sa individuarne la causa, che pone come conseguenza un malessere personale (individuale) e collettivo (all'interno della società). Popolo troppo poco motivato a farsi domande e porgersi le giuste risposte, popolo di pecore in grado solo di seguire chi fa la voce grossa e che di mostra di avercelo più duro.
Con tutta la bravura che si concretizza nella padronanza del ruolo e lo svisceramento delle opere proposte, che sola basta non necessitando di arti supporti Gifuni ci invita a riflettere sul perché il dolore si tramuta in rabbia e rassegnazione. Sul perché gli italiani sono cosi conformi all'abitudine facendo di questo spettacolo un atto sacrale utile a chiunque, oggi, voglia provare a riannodare i fili di una tela in brandelli. La tela di un paese chiamato Italia (F. Gifuni).
Gb
FRANCO PARENTI
L'ingegner gadda va alla guerra
(o della tragica istoria di Amleto Pirroburito)
un 'idea di Fabrizio Gifuni
regia di Giuseppe Bertolucci
disegno luci Cesare Accetta
direttore tecnico Hossein Taheri
www.fabriziogifuni.it
L'ingegner gadda va alla guerra
(o della tragica istoria di Amleto Pirroburito)
un 'idea di Fabrizio Gifuni
regia di Giuseppe Bertolucci
disegno luci Cesare Accetta
direttore tecnico Hossein Taheri
www.fabriziogifuni.it