Stefano Cumia
Classe 1980 Stefano Cumia nasce a Palermo ma vive e lavora a Milano. Si diploma all'Accademia di Belle Arti, all'interno della quale incontra Alessandro Bazan, suo docente di pittura, che lo seguirà da vicino e lo coinvolgerà in diverse collettive fra cui, nel 2004, Senza freni, presso la Galleria Antonio Colombo Arte Contemporanea di Milano e Passport # 1, ai Cantieri Culturali della Zisa di Palermo. Sempre qui, nel 2005, questa volta insieme a Zanghi, partecipa alla mostra promossa dall'Accademia Primavera in ascensore, ai Cantieri Culturali alla Zisa di Palermo; sempre dello stesso anno è NPP Non Pensiamoci Più, alla Galleria Sessantuno di Palermo.
Da queste prime apparizioni, la scalata per un affermazione nazionale e internazionale è vicina, tanto che le sue opere possono ammirarsi tanto a Palermo quanto a Milano, così come a Sophia o a Berlino. Il suo è un percorso mutevole, che cambia spesso icone e messaggi. Nelle sue prime tele, quelle che ritraevano interni di casa come mondi popolati da alieni, così come nelle "bambole di plastica", che sottolineavano l'aridità emotiva in cui versa l'uomo moderno, è sempre stata presente, nascosta fra i dettagli, la voglia di una denuncia forte, di una presa di coscienza che scuota. Così si arriva a Da Oriente e da Occidente in cui l'iconografia giovanilista è usata per essere ribaltata, demistificata. E infatti i nomi dei cantanti pop o di mitici rockers degli anni Settanta non sono altro che lo spettro di una popolarità destinata al macello, di un consumo commerciale della cultura e delle sue icone. E anche le opere più recenti, pur presentano molte differenze stilistiche dagli esordi in cui procedeva per frammenti o scatti, presentano la medesima voglia di denuncia, la stessa esigenza di far ascoltare la propria voce tramite il linguaggio dell'arte.
Le sue ultime opere nascono dall'idea di combinare gli elementi più disparati per ottenere un'unità nuova, mettendo insieme linguaggio figurativo e geometria. Questi due registri - già cari a certa arte contemporanea - si sovrappongono all'interno dei lavori, nei quali tutto, le immagini di giovani seduti, i ritratti o le presenze antropomorfe, appartengono alla dimensione privata dell'artista, al disordine tipico dei suoi ricordi. Non a caso i volti dei personaggi sono spesso indecifrabili - non ci è dato sapere la loro identità. E il fatto che l'artista recuperi questi frammenti dal cinema, dalla musica e dalla letteratura, affermando il suo modus operandi, amplifica questo smarrimento intellettuale del tutti e nessuno allo stesso tempo; mentre le articolate costruzioni geometriche fanno da contrappeso agli scenari bucolici e scomposti, ai ricordi che si sommano e si mischiano nella sua mente, rappresentando il tentativo di organizzare quel caos.
E dal cambiamento di ricerche visive e formali si passa anche ad un cambiamento dello stile. I suoi ultimi lavori sono lontani dalle pennellate grumose e partecipate, in cui Cumia avvolgeva tutto se stesso; i suoi ultimi lavori presentano la perfezione formale dell'artista che riflette su se stesso e sulla sua arte. Geometricamente, in maniera ordinata, infatti il caos è meglio gestito, la ripetizione modulare di queste forme e colori in parte si armonizza con le figure, in parte le decontestualizza, rendendo il disordine meno apparente e sempre più lasciato ai dettagli, che nelle sue opere vivono di vita propria.
Elementi figurativi e geometria rappresentano, allora, quello slittamento che permette al sistema creativo dell'artista di funzionare, di mettere in discussione, di osservare ancora senza capire ciò che l'arte rivelerà.
Da queste prime apparizioni, la scalata per un affermazione nazionale e internazionale è vicina, tanto che le sue opere possono ammirarsi tanto a Palermo quanto a Milano, così come a Sophia o a Berlino. Il suo è un percorso mutevole, che cambia spesso icone e messaggi. Nelle sue prime tele, quelle che ritraevano interni di casa come mondi popolati da alieni, così come nelle "bambole di plastica", che sottolineavano l'aridità emotiva in cui versa l'uomo moderno, è sempre stata presente, nascosta fra i dettagli, la voglia di una denuncia forte, di una presa di coscienza che scuota. Così si arriva a Da Oriente e da Occidente in cui l'iconografia giovanilista è usata per essere ribaltata, demistificata. E infatti i nomi dei cantanti pop o di mitici rockers degli anni Settanta non sono altro che lo spettro di una popolarità destinata al macello, di un consumo commerciale della cultura e delle sue icone. E anche le opere più recenti, pur presentano molte differenze stilistiche dagli esordi in cui procedeva per frammenti o scatti, presentano la medesima voglia di denuncia, la stessa esigenza di far ascoltare la propria voce tramite il linguaggio dell'arte.
Le sue ultime opere nascono dall'idea di combinare gli elementi più disparati per ottenere un'unità nuova, mettendo insieme linguaggio figurativo e geometria. Questi due registri - già cari a certa arte contemporanea - si sovrappongono all'interno dei lavori, nei quali tutto, le immagini di giovani seduti, i ritratti o le presenze antropomorfe, appartengono alla dimensione privata dell'artista, al disordine tipico dei suoi ricordi. Non a caso i volti dei personaggi sono spesso indecifrabili - non ci è dato sapere la loro identità. E il fatto che l'artista recuperi questi frammenti dal cinema, dalla musica e dalla letteratura, affermando il suo modus operandi, amplifica questo smarrimento intellettuale del tutti e nessuno allo stesso tempo; mentre le articolate costruzioni geometriche fanno da contrappeso agli scenari bucolici e scomposti, ai ricordi che si sommano e si mischiano nella sua mente, rappresentando il tentativo di organizzare quel caos.
E dal cambiamento di ricerche visive e formali si passa anche ad un cambiamento dello stile. I suoi ultimi lavori sono lontani dalle pennellate grumose e partecipate, in cui Cumia avvolgeva tutto se stesso; i suoi ultimi lavori presentano la perfezione formale dell'artista che riflette su se stesso e sulla sua arte. Geometricamente, in maniera ordinata, infatti il caos è meglio gestito, la ripetizione modulare di queste forme e colori in parte si armonizza con le figure, in parte le decontestualizza, rendendo il disordine meno apparente e sempre più lasciato ai dettagli, che nelle sue opere vivono di vita propria.
Elementi figurativi e geometria rappresentano, allora, quello slittamento che permette al sistema creativo dell'artista di funzionare, di mettere in discussione, di osservare ancora senza capire ciò che l'arte rivelerà.
GB
www.stefanocumia.com