Quanto è comica l'infelicità
i bamboccioni di carolina balucani
Per Teatri del Tempo Presente alla Lavanderia a Vapore di Collegno domenica 1 dicembre l'umbra Carolina Balucani che con L'America dentro tratteggia gli universi di creature borderline. Strambi personaggi caratterizzati dalla paura e dal desiderio di oltrepassare i propri, personali, confini.
Teatri del Tempo Presente fa parte di un progetto articolato proposto dalla Direzione Generale per lo Spettacolo dal Vivo del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo che, con la collaborazione degli enti territoriali, ha avviato una convinta iniziativa di rilancio teatrale. Un progetto interregionale di promozione finalizzato alla valorizzazione della scena teatrale italiana contemporanea di nuova generazione.
Lo spettacolo proposto si articola in due atti e un intermezzo di danza. Nel primo atto - C'eravamo abbastanza amati - si sdrotola la storia di due ragazzi americani (Francesco Bolo Rossini, Andrea Collavino), un tempo una coppia, che si rincontrano un giorno, per caso sulla Striscia di Gaza. Il primo aspetta di incontrare un palestinese conosciuto via facebook. Il palestinese è però innamorato dell'altro. L'altro è ancora innamorato dell'ex. Primo e secondo atto, nel tracciare le linee di personaggi borderline, se pur in maniera grottesca e caricaturale, narrano perfettamente la condizione di molti giovani trentenni di oggi.
Non appare triste la fine della storia amorosa, che forse tale non lo è mai stata ascoltando i dialoghi fra i due. Ciò che devasta - una volta che sul palco si portano in scena attimi e spezzoni di vita quotidiana - è comprendere come internet abbia falsato qualsiasi tipo di relazione. Non ci si rende conto che più amici abbiamo su facebook, più soli siamo, nella convinzione che un link o una canzone possa sostituire una conoscenza diretta e face to face. "Ha postato la mia canzone preferita", "ci siamo scritti un paio di volte": ormai basta questo per farci sentire vicini ad una persona. Quando, in realtà, perdiamo il contatto con noi stessi. Siamo così svuotati che non riusciamo più ad attaccare bottone con uno sconosciuto, preferendo il supermarket delle chat, dei forum, di tutti i social network che hanno, poi, pochissimo a che fare con la socialità.
La comunicazione si falsa e nelle poche parole scritte e sgrammaticate si nascondo le nostre insicurezze insieme alle nostre frustrazioni, non ultimo la voglia, che si fa necessità, di avere un partner a qualunque costo. Ci basta, tanto siamo tristi, vedere un pallino verde on line, avere nella nostra lista contatti un nome e spiare il suo profilo per credere di conoscerlo, e quindi di amarlo. I due, come piano piano si capirà dal testo, non erano uniti dall'amore, ma piuttosto da un'insieme di sensazioni in cui la paura della solitudine primeggiava sulle altre.
Tutti e due vittime delle app, delle notifiche, della ricerca del nuovo. Nessuno voleva impegnarsi, nessuno accettava compromessi. Tutto appare in funzione del soddisfacimento di istanze personali. E quando l'amore finzione finisce? Si iniziano a tirare fuori tutte quelle scenette cinematografiche secondo cui ciascuno soffre, 'dolorosamente', per la perdita, ma mai spegnendo il cellulare. Non c'è consapevolezza nel dolore mostrato dai protagonisti. Una sofferenza infantile, che invece di ascoltarsi preferisce cambiare nickname nelle chat.
In attesa del secondo atto tocca alle azioni coreute di Lucia di Pietro tracciare la danza emotiva che lega il primo al secondo atto. Pugni battenti, sguardo rabbioso, per delle azioni ossessive e ripetitive che conducono il corpo in alto per poi scaraventarlo, forte, a terra. Cedere inerme alla gravità, simbolo di una forza esterna che, forse, non si può controllare.
Nel secondo ed ultimo atto, dal titolo Interno di una casa di bamboccione, si è proiettati tragicamente, nei salotti di casa nostra. In Italia, patria di bamboccioni e mammoni, molti vivono la situazione narrata da Carolina Balucani. La protagonista ha 30 anni, vive sotto una campana di vetro e da lì non si è mai mossa. Passa interi pomeriggi a casa, a Natale guarda ancora sotto l'albero. Naturalmente, non ha un lavoro. Naturalmente, vive a casa dei suoi genitori. La sua stanza, la stessa da quando era bambina, è tutto il suo mondo che da fittizio si fa reale.
Non si capisce come mai ancora a 30 anni, in Italia, non si è adulti. Gli "adulti" dicono: sei un ragazzino/a ancora, hai la vita d'avanti, ma in realtà si è sprecata quella che ci portiamo alle spalle. Le mamme, concordando con la psicanalisi, hanno la colpa da un lato, la società dall'altro. In questo groviglio di colpe, importanza fondamentale hanno, però, le responsabilità personali, le stesse che molti giovani non vogliono assumersi. Insomma, come si può vivere, ci chiedela regista attrice, fino a 30 senza seminare? In cosa si è creduto e ci si è impegnati? La vita, dio santo, che senso ha per te? Sguazzare nel consumismo? Sperare di sfondare nel mondo della televisione? Fare il JersyShore o partecipare al Grande fratello?
Il corpo contrito, e sempre in tensione della Balucani, porta sulla scena la situazione emotiva di cui sopra, mettendo a fuoco tantissimi giovani, che pur sperando e volendo una vita migliore, rimangono immobili. Fissi nell'incapacità di abusare del libero arbitrio.
Cosa diversa è invece la sorte che spetta a chi vuole dare un senso alla propria esistenza e la società gli tarpa le ali. Mandare curricula a poco serve in una società arenata e nepotista, come a poco vale rendersi preparati e appassionati. Ecco il secondo atto. Se pur con una cifra ironica e caricaturale fino a deformare, le risate celano verità serissime, esattamente come il primo atto al quale si lega. Come posso far vedere una cosa che vedo solo io, a chi non la vede? Si chiede la Balucani e noi con lei. Come rendere semplice una matassa che da Gadda fino ad oggi non si è mai sciolta? Non è solo una questione di governo o politica, è nel dna italiano essere un popolo di mediocri e una madre patria mediocre può solo partorire figli mediani. Incapaci di evolversi e, quindi, amare!
Teatri del Tempo Presente fa parte di un progetto articolato proposto dalla Direzione Generale per lo Spettacolo dal Vivo del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo che, con la collaborazione degli enti territoriali, ha avviato una convinta iniziativa di rilancio teatrale. Un progetto interregionale di promozione finalizzato alla valorizzazione della scena teatrale italiana contemporanea di nuova generazione.
Lo spettacolo proposto si articola in due atti e un intermezzo di danza. Nel primo atto - C'eravamo abbastanza amati - si sdrotola la storia di due ragazzi americani (Francesco Bolo Rossini, Andrea Collavino), un tempo una coppia, che si rincontrano un giorno, per caso sulla Striscia di Gaza. Il primo aspetta di incontrare un palestinese conosciuto via facebook. Il palestinese è però innamorato dell'altro. L'altro è ancora innamorato dell'ex. Primo e secondo atto, nel tracciare le linee di personaggi borderline, se pur in maniera grottesca e caricaturale, narrano perfettamente la condizione di molti giovani trentenni di oggi.
Non appare triste la fine della storia amorosa, che forse tale non lo è mai stata ascoltando i dialoghi fra i due. Ciò che devasta - una volta che sul palco si portano in scena attimi e spezzoni di vita quotidiana - è comprendere come internet abbia falsato qualsiasi tipo di relazione. Non ci si rende conto che più amici abbiamo su facebook, più soli siamo, nella convinzione che un link o una canzone possa sostituire una conoscenza diretta e face to face. "Ha postato la mia canzone preferita", "ci siamo scritti un paio di volte": ormai basta questo per farci sentire vicini ad una persona. Quando, in realtà, perdiamo il contatto con noi stessi. Siamo così svuotati che non riusciamo più ad attaccare bottone con uno sconosciuto, preferendo il supermarket delle chat, dei forum, di tutti i social network che hanno, poi, pochissimo a che fare con la socialità.
La comunicazione si falsa e nelle poche parole scritte e sgrammaticate si nascondo le nostre insicurezze insieme alle nostre frustrazioni, non ultimo la voglia, che si fa necessità, di avere un partner a qualunque costo. Ci basta, tanto siamo tristi, vedere un pallino verde on line, avere nella nostra lista contatti un nome e spiare il suo profilo per credere di conoscerlo, e quindi di amarlo. I due, come piano piano si capirà dal testo, non erano uniti dall'amore, ma piuttosto da un'insieme di sensazioni in cui la paura della solitudine primeggiava sulle altre.
Tutti e due vittime delle app, delle notifiche, della ricerca del nuovo. Nessuno voleva impegnarsi, nessuno accettava compromessi. Tutto appare in funzione del soddisfacimento di istanze personali. E quando l'amore finzione finisce? Si iniziano a tirare fuori tutte quelle scenette cinematografiche secondo cui ciascuno soffre, 'dolorosamente', per la perdita, ma mai spegnendo il cellulare. Non c'è consapevolezza nel dolore mostrato dai protagonisti. Una sofferenza infantile, che invece di ascoltarsi preferisce cambiare nickname nelle chat.
In attesa del secondo atto tocca alle azioni coreute di Lucia di Pietro tracciare la danza emotiva che lega il primo al secondo atto. Pugni battenti, sguardo rabbioso, per delle azioni ossessive e ripetitive che conducono il corpo in alto per poi scaraventarlo, forte, a terra. Cedere inerme alla gravità, simbolo di una forza esterna che, forse, non si può controllare.
Nel secondo ed ultimo atto, dal titolo Interno di una casa di bamboccione, si è proiettati tragicamente, nei salotti di casa nostra. In Italia, patria di bamboccioni e mammoni, molti vivono la situazione narrata da Carolina Balucani. La protagonista ha 30 anni, vive sotto una campana di vetro e da lì non si è mai mossa. Passa interi pomeriggi a casa, a Natale guarda ancora sotto l'albero. Naturalmente, non ha un lavoro. Naturalmente, vive a casa dei suoi genitori. La sua stanza, la stessa da quando era bambina, è tutto il suo mondo che da fittizio si fa reale.
Non si capisce come mai ancora a 30 anni, in Italia, non si è adulti. Gli "adulti" dicono: sei un ragazzino/a ancora, hai la vita d'avanti, ma in realtà si è sprecata quella che ci portiamo alle spalle. Le mamme, concordando con la psicanalisi, hanno la colpa da un lato, la società dall'altro. In questo groviglio di colpe, importanza fondamentale hanno, però, le responsabilità personali, le stesse che molti giovani non vogliono assumersi. Insomma, come si può vivere, ci chiedela regista attrice, fino a 30 senza seminare? In cosa si è creduto e ci si è impegnati? La vita, dio santo, che senso ha per te? Sguazzare nel consumismo? Sperare di sfondare nel mondo della televisione? Fare il JersyShore o partecipare al Grande fratello?
Il corpo contrito, e sempre in tensione della Balucani, porta sulla scena la situazione emotiva di cui sopra, mettendo a fuoco tantissimi giovani, che pur sperando e volendo una vita migliore, rimangono immobili. Fissi nell'incapacità di abusare del libero arbitrio.
Cosa diversa è invece la sorte che spetta a chi vuole dare un senso alla propria esistenza e la società gli tarpa le ali. Mandare curricula a poco serve in una società arenata e nepotista, come a poco vale rendersi preparati e appassionati. Ecco il secondo atto. Se pur con una cifra ironica e caricaturale fino a deformare, le risate celano verità serissime, esattamente come il primo atto al quale si lega. Come posso far vedere una cosa che vedo solo io, a chi non la vede? Si chiede la Balucani e noi con lei. Come rendere semplice una matassa che da Gadda fino ad oggi non si è mai sciolta? Non è solo una questione di governo o politica, è nel dna italiano essere un popolo di mediocri e una madre patria mediocre può solo partorire figli mediani. Incapaci di evolversi e, quindi, amare!
gb
L'AMERICA DENTRO
drammaturgia a cura di Giuseppe Albert Montalto
scrittura scenica di Carolina Balucani e Giuseppe Albert Montalto
visione coreografica di Lucia Di Pietro
con Carolina Balucani, Francesco Bolo Rossini, Andrea Collavino
regia di Carolina Balucani
aiuto regia di Giuseppe Albert Montalto
www.teatrideltempopresente.it
drammaturgia a cura di Giuseppe Albert Montalto
scrittura scenica di Carolina Balucani e Giuseppe Albert Montalto
visione coreografica di Lucia Di Pietro
con Carolina Balucani, Francesco Bolo Rossini, Andrea Collavino
regia di Carolina Balucani
aiuto regia di Giuseppe Albert Montalto
www.teatrideltempopresente.it