Sequestri, bassi fondi e nudo
Tra Venaria e Torino le ombre della Corte
Le performance sono affare sottile e scivoloso. Si pongono a metà strada, per chi ama le definizioni, fra l'arte e il teatro. Sia l'uno che l'altra hanno un rapporto di parentela stretto con segni e simboli. Questi ultimi non interagiscono immediatamente con la nostra parte cosciente, ma investono in prima istanza il nostro patrimonio emozionale. L'Es freudiano in altre parole, lo stesso che in bilico deve barcamenarsi fra Io e Super Io. Qui, nella cultura, che altro non è che la trasmissione di norme e regole più o meno codificate, spadroneggiano sia i segni che i simboli.
Le performance che per la comunicazione non scelgono un codice verbale prediligono, per farsi comprendere, optare per dei comportamenti più o meno riconoscibili - riconoscibili certo ma non immediatamente tanto è importante lo spaesamento che le stesse producono in chi le vive. Scelgono un linguaggio non verbale che sia chiaro per ogni lingua e usano e manipolano, a secondo del messaggio, simbologie che, ormai reiterate all'infinito dai media, hanno perso il loro impatto comunicativo. Poi, se pensiamo alla perdita di memoria che con le generazioni avviene, performance come quelle della Broeder aiutano certamente a ricordare vivendo le atrocità che l'uomo è capace di fare ad un altro.
Westeland, la performance dell'olandese Alexandra Broeder, come qualsiasi prodotto artistico ben fatto, è gioco serissimo. Spaesamento e simbologie comportamentali sono quindi i punti di partenza per comprendere l'intera esperienza.
La giornata è calda ed il cielo limpidissimo. I cortigiani, una volta sulla navetta, sono scortati verso quella che è definita, da programma, "destinazione ignota" dalla durata di due ore. E come in ogni pseudo festa mondana la gente ciarla, intrattiene public relations, ride. Salvo zittirsi, quando il bus si ferma per lasciare salire una bellissima bambina bionda, ariana, con treccine e abbigliamento folk. Tutti si innamorano del suo sguardo dritto dagli occhi blu, ma al contempo percepiscono un alone di inquietudine nera nello stesso sguardo. Il sali e scendi si ripete un paio di volte e in queste lo sguardo delle ragazzine si fa più rigido, scrutatore, giudicatore, feroce e pieno di un odio controllato da un raziocinio diabolico. Per malizia si trasformano da pure creature nelle gemelle di shining. Tutti sorrido e notano, soltanto, la bellezza delle ragazze che nel frattempo si sono triplicate nelle varie tappe, le stesse che apparentemente scortano il pubblico dentro una fiaba bucolica.
Il pulmann si ferma, altre ragazzine più grandi ci aspettano, arrivano anche dei ragazzini, il conducente scompare. Tre ragazze ci intimano Your phone! tutti ancora sorridono nel mettere i loro mobiles in delle borse. Ad uno ad uno gli ospiti, con forza di persuasione mentale più che fisica, sono rigettati all'esterno dove, quella che sembra adesso una banda di ragazzacci goliardici, ci sistema in fila per due, l'uno tiene la mano dell'altro, indicandoci di seguirli. Shh, nessuno può permettersi di parlare, i loro occhi ti girano attorno e ti fissano, a volte corrono verso di te per fissarti nelle palle degli occhi. Si fermano e prendono i tuoi effetti personali e li buttano in un bidone dell'immondizia. La cosa si fa seria. Continuiamo a camminare e la sensazione di essere in una favola lascia il posto alla consapevolezza di stare vivendo un incubo, uno di quelli storicizzati.
Altra tappa, due di noi vengono presi e portati via nella boscaglia, il resto del gruppo prosegue senza domande. Altra tappa, si sciolgono le mani unite e si sistemano gli ospiti in una tavola apparecchiata con pane e succo di mirtilli (lo stesso colore del vino). Ci impongono di mangiare e bere, quasi fosse il loro ultimo atto umano, ci imboccano pure. Finito proseguiamo in fila per due, altra tappa e i nostri occhiali diventano i loro. Ci fotografano obbligandoci a chiudere gli occhi. Altra tappa e vediamo i bambini con indosso i nostri occhiali che ridono, ci obbligano a guardarli per poi, subito dopo, ritirare gli oggetti personali che gli sono sfuggiti e intimarci di proseguire. Ci fermiamo e gli stessi ragazzini sono li a piangere, come se scaricassero le loro colpe. Subito dopo ridono e scappano via. Il bus riparte, nell'indifferenza del gruppo, con meno due ospiti.
Le dinamiche di potere sono ciò che interessa la nostra bellissima artista. Come il Pasolini delle 120 giornate di Sodoma, in cui i meccanismi subdoli del potere di un uomo su un altro uomo sono esasperati e condotti fino alla pornografia più bieca, ma sempre con l'intento di fare vivere il senso di umiliazione allo spettatore. Sentimento che muove tutta la performance delle Broeder, però in maniera più subdola, esattamente come il potere fa. Le SS di qualsiasi nazione si sono fatte bimbe, che fra esseri angelici e demoniaci, si divertono per gioco ad umiliare con il sorriso sulle labbra e con uno sguardo che è un misto fra il voler dire, io non posso farti quello che pensi! e ti farò quello che neanche puoi immaginare! Ecco allora che i cortigiani corrispondo a tutte quelle minoranze che la storia ha voluto perseguitare: ebrei, omosessuali, zingari, armeni, desaparesidos, tutti i figli di nessuno divenuti i capri espiatori delle ideologie più disparate.
L'intero percorso è l'ultimo cammino che dalla vita, per volere di un altro, conduce alla morte. Tutte le simbologie e i segni usati, se all'iniziano erano offuscati da un alone benigno, man mano diventano mefistofelici. Senza conducente la folla è sola nelle mani del libero arbitrio di una minoranza che si relaziona con la massa con atteggiamenti da bullo. La presa degli oggetti personali e gettati nel pattume ci priva della nostra identità di essere umani e ci trasforma in mera carne. L'umiliazione ha inizio e continua con tutto il sistema di atteggiamento pensato e dato in mano a dei piccoli attori bravissimi che capovolgono la percezione del potere rendendolo innocente e quasi doveroso. Le mani unite nell'incedere, la gente che scompare, la preparazione di quella che è la nostra ultima cena financo la foto con gli occhi chiusi fanno parte di un preciso codice atto alla sottomissione in primis mentale del prigioniero. Pochi hanno capito l'importanza di questo lavoro, stupisce l'ignoranza di certa stampa di settore, tracciando così un'idea chiara di quanto l'arte, oggi in Italia, sia carente delle più alte sensibilità, che non sempre coincidono con le competenze.
Da la Venaria Reale torniamo nelle mura cittadine e alle Ogr ci aspetta un invasione di bambini e animali. The Animals and Took to the Streets è l'ecclettico lavoro dei 1927. Fenomeno di culto della scena londinese, acclamatissimi in patria per aver creato un nuovo genere. Un incrocio eccellente fra musical da camera, "graphic novels", cinema muto o d'animazione e teatro di figura. Quindi musica dal vivo suonata al pianoforte, proiezioni su enormi pannelli plurifunzionali, personaggi reali che suggeriscono ambientazioni alla Tim Burton e alla David Lynch imbevuti dai noir del cinema muto, passando per le pellicole di Fritz Lang e non tralasciando le infanzie difficili narrate da Dickens. Un cocktail dosatissimo in cui l'eccellenza delle parti conduce ad un insieme pregevole. E come suggerivano alcuni del pubblico è difficile in italia assistere ad uno spettacolo pesante ma posto in maniera così leggera tanto da toccare varie sfumature emozionali. Forse perché come diceva un'altra spettatrice, l'Italia è carente di scuole.
Chiudono la serata le quattro danzatrici nude che Keren Levi mette in scena riprendendole in tempo reale con una videocamera proiettando le loro immagini su un maxischermo. The Dry Piece è un lavoro sulla bellezza del corpo, senza tabù che si chiede quale sia il limite fra sensualità e pornografia. Femminismi anacronistici che in scena non producono l'effetto desiderato tanto fuori tempo si colloca la sua riflessione che diventa anche fuori contesto, essendo il teatro delle ultime decadi, il luogo preposto alla liberazione di questo corpo, per non parlare delle pioniere delle performance degli anni '70. Detto questo resta pur sempre un lavoro dal forte impatto estetico visivo che unisce l'arte alla videodanza e linguaggio del corpo caro alle nuotatrici sincronizzate.
Le performance che per la comunicazione non scelgono un codice verbale prediligono, per farsi comprendere, optare per dei comportamenti più o meno riconoscibili - riconoscibili certo ma non immediatamente tanto è importante lo spaesamento che le stesse producono in chi le vive. Scelgono un linguaggio non verbale che sia chiaro per ogni lingua e usano e manipolano, a secondo del messaggio, simbologie che, ormai reiterate all'infinito dai media, hanno perso il loro impatto comunicativo. Poi, se pensiamo alla perdita di memoria che con le generazioni avviene, performance come quelle della Broeder aiutano certamente a ricordare vivendo le atrocità che l'uomo è capace di fare ad un altro.
Westeland, la performance dell'olandese Alexandra Broeder, come qualsiasi prodotto artistico ben fatto, è gioco serissimo. Spaesamento e simbologie comportamentali sono quindi i punti di partenza per comprendere l'intera esperienza.
La giornata è calda ed il cielo limpidissimo. I cortigiani, una volta sulla navetta, sono scortati verso quella che è definita, da programma, "destinazione ignota" dalla durata di due ore. E come in ogni pseudo festa mondana la gente ciarla, intrattiene public relations, ride. Salvo zittirsi, quando il bus si ferma per lasciare salire una bellissima bambina bionda, ariana, con treccine e abbigliamento folk. Tutti si innamorano del suo sguardo dritto dagli occhi blu, ma al contempo percepiscono un alone di inquietudine nera nello stesso sguardo. Il sali e scendi si ripete un paio di volte e in queste lo sguardo delle ragazzine si fa più rigido, scrutatore, giudicatore, feroce e pieno di un odio controllato da un raziocinio diabolico. Per malizia si trasformano da pure creature nelle gemelle di shining. Tutti sorrido e notano, soltanto, la bellezza delle ragazze che nel frattempo si sono triplicate nelle varie tappe, le stesse che apparentemente scortano il pubblico dentro una fiaba bucolica.
Il pulmann si ferma, altre ragazzine più grandi ci aspettano, arrivano anche dei ragazzini, il conducente scompare. Tre ragazze ci intimano Your phone! tutti ancora sorridono nel mettere i loro mobiles in delle borse. Ad uno ad uno gli ospiti, con forza di persuasione mentale più che fisica, sono rigettati all'esterno dove, quella che sembra adesso una banda di ragazzacci goliardici, ci sistema in fila per due, l'uno tiene la mano dell'altro, indicandoci di seguirli. Shh, nessuno può permettersi di parlare, i loro occhi ti girano attorno e ti fissano, a volte corrono verso di te per fissarti nelle palle degli occhi. Si fermano e prendono i tuoi effetti personali e li buttano in un bidone dell'immondizia. La cosa si fa seria. Continuiamo a camminare e la sensazione di essere in una favola lascia il posto alla consapevolezza di stare vivendo un incubo, uno di quelli storicizzati.
Altra tappa, due di noi vengono presi e portati via nella boscaglia, il resto del gruppo prosegue senza domande. Altra tappa, si sciolgono le mani unite e si sistemano gli ospiti in una tavola apparecchiata con pane e succo di mirtilli (lo stesso colore del vino). Ci impongono di mangiare e bere, quasi fosse il loro ultimo atto umano, ci imboccano pure. Finito proseguiamo in fila per due, altra tappa e i nostri occhiali diventano i loro. Ci fotografano obbligandoci a chiudere gli occhi. Altra tappa e vediamo i bambini con indosso i nostri occhiali che ridono, ci obbligano a guardarli per poi, subito dopo, ritirare gli oggetti personali che gli sono sfuggiti e intimarci di proseguire. Ci fermiamo e gli stessi ragazzini sono li a piangere, come se scaricassero le loro colpe. Subito dopo ridono e scappano via. Il bus riparte, nell'indifferenza del gruppo, con meno due ospiti.
Le dinamiche di potere sono ciò che interessa la nostra bellissima artista. Come il Pasolini delle 120 giornate di Sodoma, in cui i meccanismi subdoli del potere di un uomo su un altro uomo sono esasperati e condotti fino alla pornografia più bieca, ma sempre con l'intento di fare vivere il senso di umiliazione allo spettatore. Sentimento che muove tutta la performance delle Broeder, però in maniera più subdola, esattamente come il potere fa. Le SS di qualsiasi nazione si sono fatte bimbe, che fra esseri angelici e demoniaci, si divertono per gioco ad umiliare con il sorriso sulle labbra e con uno sguardo che è un misto fra il voler dire, io non posso farti quello che pensi! e ti farò quello che neanche puoi immaginare! Ecco allora che i cortigiani corrispondo a tutte quelle minoranze che la storia ha voluto perseguitare: ebrei, omosessuali, zingari, armeni, desaparesidos, tutti i figli di nessuno divenuti i capri espiatori delle ideologie più disparate.
L'intero percorso è l'ultimo cammino che dalla vita, per volere di un altro, conduce alla morte. Tutte le simbologie e i segni usati, se all'iniziano erano offuscati da un alone benigno, man mano diventano mefistofelici. Senza conducente la folla è sola nelle mani del libero arbitrio di una minoranza che si relaziona con la massa con atteggiamenti da bullo. La presa degli oggetti personali e gettati nel pattume ci priva della nostra identità di essere umani e ci trasforma in mera carne. L'umiliazione ha inizio e continua con tutto il sistema di atteggiamento pensato e dato in mano a dei piccoli attori bravissimi che capovolgono la percezione del potere rendendolo innocente e quasi doveroso. Le mani unite nell'incedere, la gente che scompare, la preparazione di quella che è la nostra ultima cena financo la foto con gli occhi chiusi fanno parte di un preciso codice atto alla sottomissione in primis mentale del prigioniero. Pochi hanno capito l'importanza di questo lavoro, stupisce l'ignoranza di certa stampa di settore, tracciando così un'idea chiara di quanto l'arte, oggi in Italia, sia carente delle più alte sensibilità, che non sempre coincidono con le competenze.
Da la Venaria Reale torniamo nelle mura cittadine e alle Ogr ci aspetta un invasione di bambini e animali. The Animals and Took to the Streets è l'ecclettico lavoro dei 1927. Fenomeno di culto della scena londinese, acclamatissimi in patria per aver creato un nuovo genere. Un incrocio eccellente fra musical da camera, "graphic novels", cinema muto o d'animazione e teatro di figura. Quindi musica dal vivo suonata al pianoforte, proiezioni su enormi pannelli plurifunzionali, personaggi reali che suggeriscono ambientazioni alla Tim Burton e alla David Lynch imbevuti dai noir del cinema muto, passando per le pellicole di Fritz Lang e non tralasciando le infanzie difficili narrate da Dickens. Un cocktail dosatissimo in cui l'eccellenza delle parti conduce ad un insieme pregevole. E come suggerivano alcuni del pubblico è difficile in italia assistere ad uno spettacolo pesante ma posto in maniera così leggera tanto da toccare varie sfumature emozionali. Forse perché come diceva un'altra spettatrice, l'Italia è carente di scuole.
Chiudono la serata le quattro danzatrici nude che Keren Levi mette in scena riprendendole in tempo reale con una videocamera proiettando le loro immagini su un maxischermo. The Dry Piece è un lavoro sulla bellezza del corpo, senza tabù che si chiede quale sia il limite fra sensualità e pornografia. Femminismi anacronistici che in scena non producono l'effetto desiderato tanto fuori tempo si colloca la sua riflessione che diventa anche fuori contesto, essendo il teatro delle ultime decadi, il luogo preposto alla liberazione di questo corpo, per non parlare delle pioniere delle performance degli anni '70. Detto questo resta pur sempre un lavoro dal forte impatto estetico visivo che unisce l'arte alla videodanza e linguaggio del corpo caro alle nuotatrici sincronizzate.
gb
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