La miseria degli omosessuali
Operetta Burlesca alle Colline
Le vite di tutti è il tema generale della diciannovesima edizione del Festival delle Colline Torinesi. Non solo i grandi protagonisti della vita hanno diritto alla ribalta ma anche i comprimari, i gregari, gli sconosciuti, soprattutto quando le loro azioni assumono valore esemplare. Quindi il Festival delle Colline, in un'epoca di grave crisi, non trascura l'impegno preso col pubblico, quello cioè di dar voce, attraverso gli artisti, al disagio delle giovani generazioni, sollecitando gli artisti perché propongano liberamente e con spirito critico la loro visione estetico/politica della contemporaneità.
Cartellone fittissimo, che proseguirà fino al 22 giugno, il Festival nelle serate dal 4 al 6, negli spazi del Teatro Astra, ospita Operetta Burlesca della siciliana Emma Dante. Pretesto importante per poter, finalmente, puntualizzare alcune ipocrisie del mondo gay, lo spettacolo della Dante, se pur con un intreccio banale, pur non volendo, conduce al nocciolo della questione.
Ho scritto questa storia perché spero che sulle unioni omosessuali l'Italia colmi il ritardo con l'Europa. Perché detesto la repressione del vero desiderio, del talento. E non vorrei tutto questo disincanto.
Perché ti viene da raccontare storie di transessuali, travestiti, prostitute... Senti in loro un'umanità e una cognizione del dolore veri, più che in altre persone? Chiede il direttore del festival Sergio Ariotti.
Sento che dentro di loro c'è un dolore, ma c'è anche una cosa che è come un sentimento di infantilismo. Sono infantili. Io adoro quei personaggi, quegli attori, che hanno mantenuto una regressione infantile. Il fanciullo. Questi personaggi che io racconto sono addolorati profondamente però in maniera infantile per cui questo dolore non li annienta del tutto, comunque li rende vivi... In ogni caso, anche se è un dolore molto forte, sono vivi perché sono attaccati alla loro fanciullezza.
Nulla da eccepire sulla regia che come sempre per la Dante riesce, attraverso simboli, segni e capovolgimenti di senso a tessere una prima sintassi. La madre che è anche padre e che si carica della mole di Francesco Guida; l'omosessualità impersonata da un ballerino di tango nel corpo di Roberto Galbo, simbolo della passione e della vita, nonché dell'amore stesso; la ballerina bourlesque, Viola Carinci, simbolo della femminilità, alterego di Pietro, il bellissimo Carmine Maringola. E tutti sul palco a tessere il groviglio di un intreccio danzato, che come sempre nel tango, fa pensare alla lotta, la guerra interiore che Pietro ha fra voci personali e cori collettivi.
Ma da qui, dalle simbologie ben studiate, riuscitissime perché gli attori sono bravissimi, la storia, imbevuta di luoghi comuni - ancora dannatamente veri, soprattutto nella mente degli stessi omosessuali - fa decisamente incazzare. Non ha importanza che Pietro sia siculo e si sia trasferito a Napoli, dove il substrato sociale è simile a quello d'origine e in cui si accetta l'omosessualità solo come "vizietto" extraconiugale; passa addirittura in secondo piano la sua condizione di "sfigato" omosessuale; quello che conta, nella storia della Dante, è che Pietro ha 40 ed è un mammone, e come la maggior parte degli italiani vive a casa.
Non vittima del contesto o della mentalità della famiglia, ma solo ed esclusivamente vittima di sé stesso. Della sua mancanza di introspezione, privo della volontà istintiva e primaria di affermazione di sé. Poteva andarsene, scappare, mollare tutto come hanno fatto moltissimi che non condividendo le consuetudini dell'ambiente natio, trasformano il disagio, il dolore quindi, in forza. Sia uomini che donne e non solo gay.
Pietro non è perdonabile e non può neanche essere preso ad esempio per la lotta ai diritti omosessuali. Che diritti vuole inseguire un uomo come Pietro, che per tutta la vita ha fatto l'adolescente soubrette chiuso nella sua camera? E per di più si trova tenera questa fanciullezza, che la si vuole come quella letteraria ma con cui non ha nulla da condividere? Perché in effetti, lui non sembra un adulto che conserva il fanciullino, ma è un ragazzo non cresciuto che è estremamente diverso. Lui sogna solo il principe azzurro e essere "favolosa" per lui (luogo comune per altro superato anche da molte donne).
Pietro è il simbolo di un ritardo antropologico semmai, fin troppo assecondato anche dal teatro. Non si capisce come mai però si parla sempre di un certo tipo di omosessuali, quelli con una forte predisposizione al mondo femminile, facendo coincidere le tendenze sessuali, con delle afasie di genere. Non tutti gli uomini gay vogliono essere o prediligono uomini femminei, anzi, l'omosessualità dovrebbe essere, il fascino verso un'iper-mascolinità che a volte può sfociare, per eleganza interna, in gentilezza dei modi. E soprattutto non tutti vogliono travestirsi e non tutti, facendolo, inseguono l'ideale della donna Baraccona.
Nel senso, esistono vari livelli di consapevolezza umana tanti quanto sono le visioni umane dell'essere gay. Certo che Pasolini, o Wilde non avevano la visione di Pietro, e pure tutti e due hanno fatto della loro vita non una questione sessuale rendendosi vittime, ma hanno provato a scandagliare il sistema di pensiero che dura fino ad oggi. . Anche perché il mondo del teatro, dello spettacolo, e della cultura tutta e in mano al mondo gay - che lo si dichiari o meno - ma non perché la perversione imperversa, ma solo perché chi usa l'intelligenza riesce ad elevarsi sopra le differenze di genere. Il teatro, quindi, visto che è in mano alle menti più eccelse, non deve essere, e per alcune tematiche, un mero specchio di una realtà gretta e meschina, ma, ora più che mai, raccontare la miseria umana e intellettuale di certi omosessuali, che prima di tutto sono "piccoli" uomini. Che si auto ghettizzano e si vergognandosi. Di questo bisogna parlare: il disagio è sociale o individuale oggi come oggi? E quanti, oggi nel mondo LGBT hanno lo stesso spessore di Harvey Milk? e quanti hanno lo stesso autentico desiderio di giustizia dei partecipanti allo StoneWall del 1968?
Certo che se uno spettacolo fa incazzare, il teatro ha già compiuto metà del suo scopo. Per il resto la scatola nera dovrebbe ricordarsi di avere ricevuto in regalo dalle Muse, il dono della profezia, cioè riuscendo a guardare lontano attraverso gli occhi sensibili dell'arte, potrebbe provare a porre qualche soluzione, a creare sulla scena nuovi eroi insomma, volitivi come le aquile e i leoni di Nietzsche, piuttosto che perpetrare il più comodo stereotipo dell'eroe dell'assurdo, per altro dei primi del secolo scorso. Se le cose non vanno, abbiamo ancora il potere di essere artefici del nostro destino. Spogliamoci lentamente e con gli indumenti togliamo anche le gabbie delle nostre anime e vestiamoci di spirito critico.
Cartellone fittissimo, che proseguirà fino al 22 giugno, il Festival nelle serate dal 4 al 6, negli spazi del Teatro Astra, ospita Operetta Burlesca della siciliana Emma Dante. Pretesto importante per poter, finalmente, puntualizzare alcune ipocrisie del mondo gay, lo spettacolo della Dante, se pur con un intreccio banale, pur non volendo, conduce al nocciolo della questione.
Ho scritto questa storia perché spero che sulle unioni omosessuali l'Italia colmi il ritardo con l'Europa. Perché detesto la repressione del vero desiderio, del talento. E non vorrei tutto questo disincanto.
Perché ti viene da raccontare storie di transessuali, travestiti, prostitute... Senti in loro un'umanità e una cognizione del dolore veri, più che in altre persone? Chiede il direttore del festival Sergio Ariotti.
Sento che dentro di loro c'è un dolore, ma c'è anche una cosa che è come un sentimento di infantilismo. Sono infantili. Io adoro quei personaggi, quegli attori, che hanno mantenuto una regressione infantile. Il fanciullo. Questi personaggi che io racconto sono addolorati profondamente però in maniera infantile per cui questo dolore non li annienta del tutto, comunque li rende vivi... In ogni caso, anche se è un dolore molto forte, sono vivi perché sono attaccati alla loro fanciullezza.
Nulla da eccepire sulla regia che come sempre per la Dante riesce, attraverso simboli, segni e capovolgimenti di senso a tessere una prima sintassi. La madre che è anche padre e che si carica della mole di Francesco Guida; l'omosessualità impersonata da un ballerino di tango nel corpo di Roberto Galbo, simbolo della passione e della vita, nonché dell'amore stesso; la ballerina bourlesque, Viola Carinci, simbolo della femminilità, alterego di Pietro, il bellissimo Carmine Maringola. E tutti sul palco a tessere il groviglio di un intreccio danzato, che come sempre nel tango, fa pensare alla lotta, la guerra interiore che Pietro ha fra voci personali e cori collettivi.
Ma da qui, dalle simbologie ben studiate, riuscitissime perché gli attori sono bravissimi, la storia, imbevuta di luoghi comuni - ancora dannatamente veri, soprattutto nella mente degli stessi omosessuali - fa decisamente incazzare. Non ha importanza che Pietro sia siculo e si sia trasferito a Napoli, dove il substrato sociale è simile a quello d'origine e in cui si accetta l'omosessualità solo come "vizietto" extraconiugale; passa addirittura in secondo piano la sua condizione di "sfigato" omosessuale; quello che conta, nella storia della Dante, è che Pietro ha 40 ed è un mammone, e come la maggior parte degli italiani vive a casa.
Non vittima del contesto o della mentalità della famiglia, ma solo ed esclusivamente vittima di sé stesso. Della sua mancanza di introspezione, privo della volontà istintiva e primaria di affermazione di sé. Poteva andarsene, scappare, mollare tutto come hanno fatto moltissimi che non condividendo le consuetudini dell'ambiente natio, trasformano il disagio, il dolore quindi, in forza. Sia uomini che donne e non solo gay.
Pietro non è perdonabile e non può neanche essere preso ad esempio per la lotta ai diritti omosessuali. Che diritti vuole inseguire un uomo come Pietro, che per tutta la vita ha fatto l'adolescente soubrette chiuso nella sua camera? E per di più si trova tenera questa fanciullezza, che la si vuole come quella letteraria ma con cui non ha nulla da condividere? Perché in effetti, lui non sembra un adulto che conserva il fanciullino, ma è un ragazzo non cresciuto che è estremamente diverso. Lui sogna solo il principe azzurro e essere "favolosa" per lui (luogo comune per altro superato anche da molte donne).
Pietro è il simbolo di un ritardo antropologico semmai, fin troppo assecondato anche dal teatro. Non si capisce come mai però si parla sempre di un certo tipo di omosessuali, quelli con una forte predisposizione al mondo femminile, facendo coincidere le tendenze sessuali, con delle afasie di genere. Non tutti gli uomini gay vogliono essere o prediligono uomini femminei, anzi, l'omosessualità dovrebbe essere, il fascino verso un'iper-mascolinità che a volte può sfociare, per eleganza interna, in gentilezza dei modi. E soprattutto non tutti vogliono travestirsi e non tutti, facendolo, inseguono l'ideale della donna Baraccona.
Nel senso, esistono vari livelli di consapevolezza umana tanti quanto sono le visioni umane dell'essere gay. Certo che Pasolini, o Wilde non avevano la visione di Pietro, e pure tutti e due hanno fatto della loro vita non una questione sessuale rendendosi vittime, ma hanno provato a scandagliare il sistema di pensiero che dura fino ad oggi. . Anche perché il mondo del teatro, dello spettacolo, e della cultura tutta e in mano al mondo gay - che lo si dichiari o meno - ma non perché la perversione imperversa, ma solo perché chi usa l'intelligenza riesce ad elevarsi sopra le differenze di genere. Il teatro, quindi, visto che è in mano alle menti più eccelse, non deve essere, e per alcune tematiche, un mero specchio di una realtà gretta e meschina, ma, ora più che mai, raccontare la miseria umana e intellettuale di certi omosessuali, che prima di tutto sono "piccoli" uomini. Che si auto ghettizzano e si vergognandosi. Di questo bisogna parlare: il disagio è sociale o individuale oggi come oggi? E quanti, oggi nel mondo LGBT hanno lo stesso spessore di Harvey Milk? e quanti hanno lo stesso autentico desiderio di giustizia dei partecipanti allo StoneWall del 1968?
Certo che se uno spettacolo fa incazzare, il teatro ha già compiuto metà del suo scopo. Per il resto la scatola nera dovrebbe ricordarsi di avere ricevuto in regalo dalle Muse, il dono della profezia, cioè riuscendo a guardare lontano attraverso gli occhi sensibili dell'arte, potrebbe provare a porre qualche soluzione, a creare sulla scena nuovi eroi insomma, volitivi come le aquile e i leoni di Nietzsche, piuttosto che perpetrare il più comodo stereotipo dell'eroe dell'assurdo, per altro dei primi del secolo scorso. Se le cose non vanno, abbiamo ancora il potere di essere artefici del nostro destino. Spogliamoci lentamente e con gli indumenti togliamo anche le gabbie delle nostre anime e vestiamoci di spirito critico.
gb
Teatro Astra
Operatta Burlesca
regia Emma Dante
con Viola Carinci, Roberto Galbo, Francesco Guida, Carmine Maringola
scene e costumi Emma Dante
luci Cristian Zucaro
coreografie Davide Celona
presentato nell'ambito di Focus Creazione Contemporanea in collaborazione con Teatro Stabile di Torino
www.emmadante.it
Operatta Burlesca
regia Emma Dante
con Viola Carinci, Roberto Galbo, Francesco Guida, Carmine Maringola
scene e costumi Emma Dante
luci Cristian Zucaro
coreografie Davide Celona
presentato nell'ambito di Focus Creazione Contemporanea in collaborazione con Teatro Stabile di Torino
www.emmadante.it