PIERRE-AUGUSTE Renoir
l’Italia negli occhi di un francese
Ancora più di un mese per visitare la grande antologica dedicata al più versatile degli impressionisti. Alla Galleria d'arte moderna, Musée d'Orsay e dell'Orangerie insieme per un'esposizione completa del controverso Pierre-Auguste Renoir. Per la prima volta a Torino, il maestro francese ci rimarrà fino al 23 febbraio.
Importantissima mostra e per il paese e per la città che la ospita, in quanto solo quindici delle opere esposte sono state viste in Italia ed i circa sessanta lavori che compongono il percorso non sono stati mai ammirati da un torinese in loco. Ecco spiegate le migliaia di prenotazioni prima dell'inaugurazione, così come le lunghissime code alla biglietteria Gam.
Una selezione di dipinti e sculture provenienti dai due musei francesi - che insieme constano di circa 114 opere e formano con la Barnes Foundation (Filadelfia) le collezioni più complete della produzione dell'artista - utili a tracciare le direttrici che muovono tutta la sua arte.
L'inizio della sua carriera è a metà degli anni Sessanta dell'Ottocento, quando conosce Monet, Bazille, Cézanne, Degas, Pissarro e Manet; un esordio difficile che anni dopo lo vede consacrato come figura chiave dell'Impressionismo con la partecipazione alla prima mostra del movimento nel 1874. In questo decennio Renoir, come ci dice Sylivie Parry nel suo saggio, consegna alla storia le sue "istantanee" più belle che, nei ritratti, nelle scene di svago o nei luminosi paesaggi en plein air, bloccano lo scorrere della vita moderna.
A partire dagli anni Ottanta, invece, Renoir si appassiona a soggetti atemporali come ad esempio il nudo, ripercorrendo a ritroso la strada della tradizione pittorica, nell'auspicata speranza cézanniana che l'Impressionismo si affermasse come "arte solida e durevole come quella dei musei". E nella ricerca dell'innovazione nella tradizione Renoir guarda ora alla sua patria dei secoli XV e XVI ora, e soprattutto,ai maestri italiani del Cinquecento.
Importantissimo "spartiacque della sua produzione" è il viaggio in Italia. Dopo questo lui stesso affermerà di aver compreso "che cos'è la pittura".
A 41 anni, come ci informa Augustin de Butler, il pittore poté permettersi di vistare il Belpaese. Poco più di due mesi - ottobre 1881/gennaio 1882 - in cui fu a Venezia, Napoli, Palermo, Roma, in Calabria e a Bari. Tra tutte queste, l'esperienza più significativa fu nella città lagunare. Prima del suo viaggio, Renoir aveva potuto ammirare al Louvre i grandi del Cinquecento: Giorgione con il Concerto campestre, Tiziano con La Madonna del coniglio, Tintoretto con il bozzetto per il Paradiso, Veronese con Le Nozze di Canan, rimanendone estremamente rapito ed affascinato, coltivando, così, un personale "désir de Vinice" - come conferma il figlio Jean -, desiderio alimentato anche dalle conoscenze di Whisler, Monet e Corot.
Quindi molto prima di averla vista, Renoir l'aveva immaginata e una volta vedutola la realtà superò di gran lunga la sua fantasia, salvo spegnere il suo entusiasmo, metereopaticamente, con il cattivo tempo. Da bravo impressionista, infatti, era attirato dalla luce di Venezia, dalla natura. Luce che non ritrovava nelle opere dei grandi maestri, che al paragone, e a suo avviso, rimanevano sempre troppo scuri.
Alla Serenissima non solo rivide i suoi ammirati maestri, ma ne scoprì di nuovi, gli stessi che, ai suoi tempi, mancavano nelle collezioni del Louvre. Tiepolo ad esempio, di cui non sappiamo quali opere vide; Carpaccio, di cui ammirava nel San Giorgio battezza i Sileniti del 1507, i colori brillanti e allegri e l'intuizione di avere reso i personaggi così vivi da sembrar i "modelli presi da qualche fiera". Infine,Tintoretto, conosciutolo in patria, solo Venezia gli farà scoprire la sua magnificenza.
Opere figlie del soggiorno italiano sono, Veneziana, una Giovane Fanciulla, Bagnante. Tele che mettono in atto quei mutamenti già in corso prima del suo viaggio: ritorno al disegno, attenzione alla plasticità e ad un gusto per l'affresco.
In Italia, ci informa Riccardo Passoni, l'opera di Renoir, come sempre accade per i grandi, raccolse sia detrattori che sostenitori. Pensiamo al dibattito critico che vedeva contrapposti Ojetti e Thovez e che continuerà per circa un ventennio - 1910/1930 - a coinvolgere il mondo dell'arte soprattutto con le riflessioni futuriste di Boccioni e Carrà, per poi arrivare alla consacrazione nelle opere di Morandi e De Chirico (di cui la mostra espone una bagnante di chiara ispirazione renoiriana).
Il percorso espositivo, che consta di un notevole apparato teorico, mira dunque a sviscerare quanto l'Italia dialoghi con la vicina Francia e come questo scambio sia stato fondamentale per la carriera artistica di Renoir; un artista che si è cimentato con tutti i generi, dai ritratti di bambini ai dipinti di figure, in cui inventa un tipo femminile inserito ormai nel mito della "parigina", dai Paesaggi e composizioni floreali simbolo della vitalità della natura; scene di balli e guinguettes per approdare ai nudi scultorei immersi nella luce del meriggio.
Importantissima mostra e per il paese e per la città che la ospita, in quanto solo quindici delle opere esposte sono state viste in Italia ed i circa sessanta lavori che compongono il percorso non sono stati mai ammirati da un torinese in loco. Ecco spiegate le migliaia di prenotazioni prima dell'inaugurazione, così come le lunghissime code alla biglietteria Gam.
Una selezione di dipinti e sculture provenienti dai due musei francesi - che insieme constano di circa 114 opere e formano con la Barnes Foundation (Filadelfia) le collezioni più complete della produzione dell'artista - utili a tracciare le direttrici che muovono tutta la sua arte.
L'inizio della sua carriera è a metà degli anni Sessanta dell'Ottocento, quando conosce Monet, Bazille, Cézanne, Degas, Pissarro e Manet; un esordio difficile che anni dopo lo vede consacrato come figura chiave dell'Impressionismo con la partecipazione alla prima mostra del movimento nel 1874. In questo decennio Renoir, come ci dice Sylivie Parry nel suo saggio, consegna alla storia le sue "istantanee" più belle che, nei ritratti, nelle scene di svago o nei luminosi paesaggi en plein air, bloccano lo scorrere della vita moderna.
A partire dagli anni Ottanta, invece, Renoir si appassiona a soggetti atemporali come ad esempio il nudo, ripercorrendo a ritroso la strada della tradizione pittorica, nell'auspicata speranza cézanniana che l'Impressionismo si affermasse come "arte solida e durevole come quella dei musei". E nella ricerca dell'innovazione nella tradizione Renoir guarda ora alla sua patria dei secoli XV e XVI ora, e soprattutto,ai maestri italiani del Cinquecento.
Importantissimo "spartiacque della sua produzione" è il viaggio in Italia. Dopo questo lui stesso affermerà di aver compreso "che cos'è la pittura".
A 41 anni, come ci informa Augustin de Butler, il pittore poté permettersi di vistare il Belpaese. Poco più di due mesi - ottobre 1881/gennaio 1882 - in cui fu a Venezia, Napoli, Palermo, Roma, in Calabria e a Bari. Tra tutte queste, l'esperienza più significativa fu nella città lagunare. Prima del suo viaggio, Renoir aveva potuto ammirare al Louvre i grandi del Cinquecento: Giorgione con il Concerto campestre, Tiziano con La Madonna del coniglio, Tintoretto con il bozzetto per il Paradiso, Veronese con Le Nozze di Canan, rimanendone estremamente rapito ed affascinato, coltivando, così, un personale "désir de Vinice" - come conferma il figlio Jean -, desiderio alimentato anche dalle conoscenze di Whisler, Monet e Corot.
Quindi molto prima di averla vista, Renoir l'aveva immaginata e una volta vedutola la realtà superò di gran lunga la sua fantasia, salvo spegnere il suo entusiasmo, metereopaticamente, con il cattivo tempo. Da bravo impressionista, infatti, era attirato dalla luce di Venezia, dalla natura. Luce che non ritrovava nelle opere dei grandi maestri, che al paragone, e a suo avviso, rimanevano sempre troppo scuri.
Alla Serenissima non solo rivide i suoi ammirati maestri, ma ne scoprì di nuovi, gli stessi che, ai suoi tempi, mancavano nelle collezioni del Louvre. Tiepolo ad esempio, di cui non sappiamo quali opere vide; Carpaccio, di cui ammirava nel San Giorgio battezza i Sileniti del 1507, i colori brillanti e allegri e l'intuizione di avere reso i personaggi così vivi da sembrar i "modelli presi da qualche fiera". Infine,Tintoretto, conosciutolo in patria, solo Venezia gli farà scoprire la sua magnificenza.
Opere figlie del soggiorno italiano sono, Veneziana, una Giovane Fanciulla, Bagnante. Tele che mettono in atto quei mutamenti già in corso prima del suo viaggio: ritorno al disegno, attenzione alla plasticità e ad un gusto per l'affresco.
In Italia, ci informa Riccardo Passoni, l'opera di Renoir, come sempre accade per i grandi, raccolse sia detrattori che sostenitori. Pensiamo al dibattito critico che vedeva contrapposti Ojetti e Thovez e che continuerà per circa un ventennio - 1910/1930 - a coinvolgere il mondo dell'arte soprattutto con le riflessioni futuriste di Boccioni e Carrà, per poi arrivare alla consacrazione nelle opere di Morandi e De Chirico (di cui la mostra espone una bagnante di chiara ispirazione renoiriana).
Il percorso espositivo, che consta di un notevole apparato teorico, mira dunque a sviscerare quanto l'Italia dialoghi con la vicina Francia e come questo scambio sia stato fondamentale per la carriera artistica di Renoir; un artista che si è cimentato con tutti i generi, dai ritratti di bambini ai dipinti di figure, in cui inventa un tipo femminile inserito ormai nel mito della "parigina", dai Paesaggi e composizioni floreali simbolo della vitalità della natura; scene di balli e guinguettes per approdare ai nudi scultorei immersi nella luce del meriggio.
GB
GAM – Galleria Civica d'Arte Moderna e Contemporanea
RENOIR.
Dalle Collezioni del Musée d'Orsay e dell'Orangerie
www.mostrarenoir.it
RENOIR.
Dalle Collezioni del Musée d'Orsay e dell'Orangerie
www.mostrarenoir.it