L'Addio secondo Zerogrammi
intervista a Stefano Mazzotta
Nostalgico e triste. Poetico e sublime. Tormentato è l'Alcesti di Mazzotta.
Presentato al Teatro Nuovo, lo spettacolo porta in scena il suono dell'addio, attraverso quella profonda mistura di teatro e danza che sempre contraddistingue i suoi lavori. Con ventotto ballerini in scena, una porta e un sasso, il peso del dolore si fa movimento e la perdita d'amore coreografia.
Qualche domanda al coreografo Stefano Mazzotta per conoscere meglio la sua danza dell'addio.
D. Dopo Alice, Alcesti. Dalla favola alla tragedia.
R. Alcesti, Alice e prima ancora diverse altre opere letterarie hanno ispirato i lavori di Zerogrammi, con una particolare predilezione per i classici. Il tempo li ha consacrati come tali proprio in virtù di un valore universale che travalica le epoche e arriva a noi con tutta la sua forza e chiarezza. Misurarsi con i grandi autori è una grande opportunità. Il caso di Alcesti è quello di tre topos di grande potenza: amore, sacrificio e addio, di cui la letteratura di tutti i tempi è ricchissima. Ho voluto misurarmi con questi grandi temi tentando di restituire la grande umanità che nell'Alcesti di Euripide risiede tra le righe, velata dal contegno rigoroso della forma. L'amore di Alcesti è un assoluto cui oggi, nell'era della società liquida (come descrive Bauman) siamo decisamente poco propensi perché concentrati su noi stessi. Quello di Alcesti è l'amore che si proietta fuori da sé e vive e si nutre dello spazio tra il sé e l'altro, uno spazio (un abbraccio) privo di individualismi e disponibile alla resa.
D. Ventotto danzatori in scena, forse più del debutto emiliano. Quali difficoltà nella messa d'insieme?
R. La particolarità della creazione è un progetto di formazione che le si accompagnerà nell'arco di tutta la sua tournée. Per ogni piazza un gruppo diverso di allievi si unirà ai danzatori professionisti della compagnia (Chiara Michelini, Chiara Guglielmi, Stefano Roveda, Tommaso Serratore, Mariella Celia) e a un gruppo di giovanissimi danzatori interpreti del coro provenienti dal progetto "Agorà Coaching Project". A Torino è stato il caso di un folto gruppo di studenti provenienti dal Liceo Coreutico del Teatro Nuovo. Dunque non è solo una creazione ma un'occasione didattica e professionalizzante per contribuire a divulgare il linguaggio coreutico contemporaneo tra le nuove generazioni…il pubblico auspicabilmente sensibile e preparato di domani! Il percorso è arduo e chiede ai ragazzi una grande disponibilità all'ascolto.
I giovani danzatori sono più spesso abituati a praticare una danza che mostri certezza e decisione, ma credo profondamente che questo della certezza sia un territorio pressochè privo di dialogo con il pubblico proprio perché privo di margini di discussione e poco verosimile rispetto alla vita (di cui la danza è sublimazione). Io giungo a loro insinuando il dubbio e chiedendo di mostrare le proprie fragilità aprendo uno spazio di dialogo, di domanda condivisa con la platea. Ogni volta è una scommessa e i cinque danzatori che mi accompagnano in questo viaggio mi sono di grande aiuto nel sostenere la drammaturgia dello spettacolo. Il risultato è per me ogni volta una piacevole sorpresa e la grande quantità di danzatori è indispensabile a restituire, dell'opera di Euripide, il vociare sommesso di un popolo che accompagna Alcesti al suo destino.
D. La pietra e la porta.
R. La porta è la soglia, non necessariamente quella definitiva tra la vita e la morte. E' più semplicemente la soglia di ogni piccolo addio, di ogni decisione che ci attende nella vita. Quel piccolo spazio di frontiera che non è già più il prima e non è ancora il dopo, è il luogo delle nostre fragilità, del cambiamento, il luogo silenzioso dei nostri addii sommessi. La pietra è il peso della scelta ma è anche in qualche modo il nostro cuore, il suo diventare presente e pesante nel petto quando contattiamo i nostri sentimenti (buoni o cattivi), quando amiamo e ci esplode nel petto, quando soffriamo e ci pesa e vorremmo che qualcuno venisse a sorreggerlo.
D. Lo spettacolo termina con la coppia di danzatori non nettamente separata. Anche se necessario, l'addio, in situazioni emotive particolari, può non essere definitivo? O solo fisico o solo mentale? O ogni storia, anche se finita, porta con sè dei legami? E che suono ha l'addio?
R. A proposito della fine, Alcesti non si separa nettamente da Admeto, rimangono entrambi in un finale sospeso. Ho preferito non sottolineare il momento del distacco. Il sentimento dell'addio si insinua in tutto lo spettacolo e mi pare non necessario arrivare a rappresentarlo, per lasciarlo idealmente all'intimità dei due protagonisti dopo il calare del sipario (come del resto accade nell'opera di Euripide, dove i sentimenti della protagonista sono vissuti nel silenzio solitario della sua camera nuziale). Forse è così che sono fatti gli addii. Quelli di tutti i giorni, quelli che non sappiamo essere tali, e tutti quelli che consumiamo nell'intimità di abbracci silenziosi. Fisici e materici che separano i corpi per unirli ancora di più nel sentimento e nel ricordo.
Il suono dell'addio è un vociare distante e indifferente del mondo fuori che si fa ovattato per lasciare spazio al suono nitido dei respiri.
D. L'esigenza di un teatro danzato che parta da una necessità comunicativa forte. E come se prima nascesse il testo, l'urgenza autobiografica, l'esperienza personale e poi la danza. È una possibile constatazione?
R. La danza è esperienza del mondo. Non sarei mai in grado di vederla in altro modo. Perciò prima che il primo muscolo possa muoversi ho bisogno di trattenere anche solo una parola, l'incipit e il primo seme di quella che sarà la drammaturgia. Intorno a questa parola chiedo al mio corpo di esprimere i propri punti di vista, le proprie memorie che prendono forma e diventano movimento e danza. La mia prima parola per Alcesti è stata "perdita". Ho provato ad attingere al sentimento nostalgico che mi accompagna da sempre nel rapporto passionale con le mie origini meridionali, una sorta di saudade "terrona". Ho scavato dentro questa assenza e dentro la distanza dalle cose e dalle persone che amo per cercare di comprendere il senso (anche fisico) del "perdere" e del "trattenere". Da qui ha preso vita una coreografia in bilico costante, fatta di strappi, cedimenti e recuperi in voli fugaci. Il lavoro ha una struttura di corsi e ricorsi, di ritorni di immagini che mettono in dialogo la protagonista con il coro in un uno spazio sospeso e fuori da un tempo strettamente narrativo.
D. Sei un artista completo: scrivi, fotografi, coreografi, sei manger di te stesso. L'arte salva o in questo momento storico-culturale ai coreografi è richiesto di fare altro dalla propria vocazione?
R. Come va il lavoro? Essere coreografi oggi in ambito contemporaneo in Italia significa essere multitasking. Per noi di Zerogrammi questo non costituisce un grosso problema ed anzi ci offre la possibilità di lavorare ai nostri progetti artistici con una visione integra sul percorso, che va dal lavoro in sala alla sperimentazione di linguaggi altri (foto e video) a documentazione delle tappe del processo creativo. Accanto a questo c'è l'immenso e complesso lavoro di gestione e promozione che attenta quotidianamente alla nostra vocazione coreografica ma dal quale purtroppo non possiamo esimerci per ragioni economiche. Ciò nonostante non smettiamo di progettare e fare passi sempre più lunghi delle nostre gambe, tessendo relazioni con i colleghi e con il territorio (è il caso del nostro progetto di residenza presso LUFT casacreativa) e cercando un dialogo onesto e diretto con il pubblico che oggi, più che mai, ha bisogno di sentirsi parte del discorso artistico e non a margine di "racconti" coreografici criptici e autoreferenziali graditi più agli operatori di settore che alle persone "comuni".
D. Il prossimo impegno Zerogrammi
R. Prossimi progetti? Debutterà a luglio la nuova creazione del mio collega Emanuele Sciannamea, dal titolo "Mens Athletica". Il progetto è sostenuto dalla Compagnia di San Paolo e coinvolge nel suo percorso di costruzione quattro squadre sportive di giovani atleti. I valori dello sport come luogo della "democrazia", sono lo spazio ideale cui tendere anche nella vita quotidiana, dalla scuola al lavoro, dal tempo libero alla politica. Lo sport ha una struttura dinamica e di scambio: è anche un gioco nel quale si può prendere distanza dai ruoli abituali e si può esprimere la propria identità, evidenziandone anche gli aspetti più emotivi. Il lavoro di video-documentazione a contatto con le squadre coinvolte diventerà argomento di studio per Emanuele e 5 danzatori della compagnia che restituiranno il risultato di questa ricerca in danza nella cornice del Festival Mirabilia, il prossimo luglio. Vi aspettiamo!
Presentato al Teatro Nuovo, lo spettacolo porta in scena il suono dell'addio, attraverso quella profonda mistura di teatro e danza che sempre contraddistingue i suoi lavori. Con ventotto ballerini in scena, una porta e un sasso, il peso del dolore si fa movimento e la perdita d'amore coreografia.
Qualche domanda al coreografo Stefano Mazzotta per conoscere meglio la sua danza dell'addio.
D. Dopo Alice, Alcesti. Dalla favola alla tragedia.
R. Alcesti, Alice e prima ancora diverse altre opere letterarie hanno ispirato i lavori di Zerogrammi, con una particolare predilezione per i classici. Il tempo li ha consacrati come tali proprio in virtù di un valore universale che travalica le epoche e arriva a noi con tutta la sua forza e chiarezza. Misurarsi con i grandi autori è una grande opportunità. Il caso di Alcesti è quello di tre topos di grande potenza: amore, sacrificio e addio, di cui la letteratura di tutti i tempi è ricchissima. Ho voluto misurarmi con questi grandi temi tentando di restituire la grande umanità che nell'Alcesti di Euripide risiede tra le righe, velata dal contegno rigoroso della forma. L'amore di Alcesti è un assoluto cui oggi, nell'era della società liquida (come descrive Bauman) siamo decisamente poco propensi perché concentrati su noi stessi. Quello di Alcesti è l'amore che si proietta fuori da sé e vive e si nutre dello spazio tra il sé e l'altro, uno spazio (un abbraccio) privo di individualismi e disponibile alla resa.
D. Ventotto danzatori in scena, forse più del debutto emiliano. Quali difficoltà nella messa d'insieme?
R. La particolarità della creazione è un progetto di formazione che le si accompagnerà nell'arco di tutta la sua tournée. Per ogni piazza un gruppo diverso di allievi si unirà ai danzatori professionisti della compagnia (Chiara Michelini, Chiara Guglielmi, Stefano Roveda, Tommaso Serratore, Mariella Celia) e a un gruppo di giovanissimi danzatori interpreti del coro provenienti dal progetto "Agorà Coaching Project". A Torino è stato il caso di un folto gruppo di studenti provenienti dal Liceo Coreutico del Teatro Nuovo. Dunque non è solo una creazione ma un'occasione didattica e professionalizzante per contribuire a divulgare il linguaggio coreutico contemporaneo tra le nuove generazioni…il pubblico auspicabilmente sensibile e preparato di domani! Il percorso è arduo e chiede ai ragazzi una grande disponibilità all'ascolto.
I giovani danzatori sono più spesso abituati a praticare una danza che mostri certezza e decisione, ma credo profondamente che questo della certezza sia un territorio pressochè privo di dialogo con il pubblico proprio perché privo di margini di discussione e poco verosimile rispetto alla vita (di cui la danza è sublimazione). Io giungo a loro insinuando il dubbio e chiedendo di mostrare le proprie fragilità aprendo uno spazio di dialogo, di domanda condivisa con la platea. Ogni volta è una scommessa e i cinque danzatori che mi accompagnano in questo viaggio mi sono di grande aiuto nel sostenere la drammaturgia dello spettacolo. Il risultato è per me ogni volta una piacevole sorpresa e la grande quantità di danzatori è indispensabile a restituire, dell'opera di Euripide, il vociare sommesso di un popolo che accompagna Alcesti al suo destino.
D. La pietra e la porta.
R. La porta è la soglia, non necessariamente quella definitiva tra la vita e la morte. E' più semplicemente la soglia di ogni piccolo addio, di ogni decisione che ci attende nella vita. Quel piccolo spazio di frontiera che non è già più il prima e non è ancora il dopo, è il luogo delle nostre fragilità, del cambiamento, il luogo silenzioso dei nostri addii sommessi. La pietra è il peso della scelta ma è anche in qualche modo il nostro cuore, il suo diventare presente e pesante nel petto quando contattiamo i nostri sentimenti (buoni o cattivi), quando amiamo e ci esplode nel petto, quando soffriamo e ci pesa e vorremmo che qualcuno venisse a sorreggerlo.
D. Lo spettacolo termina con la coppia di danzatori non nettamente separata. Anche se necessario, l'addio, in situazioni emotive particolari, può non essere definitivo? O solo fisico o solo mentale? O ogni storia, anche se finita, porta con sè dei legami? E che suono ha l'addio?
R. A proposito della fine, Alcesti non si separa nettamente da Admeto, rimangono entrambi in un finale sospeso. Ho preferito non sottolineare il momento del distacco. Il sentimento dell'addio si insinua in tutto lo spettacolo e mi pare non necessario arrivare a rappresentarlo, per lasciarlo idealmente all'intimità dei due protagonisti dopo il calare del sipario (come del resto accade nell'opera di Euripide, dove i sentimenti della protagonista sono vissuti nel silenzio solitario della sua camera nuziale). Forse è così che sono fatti gli addii. Quelli di tutti i giorni, quelli che non sappiamo essere tali, e tutti quelli che consumiamo nell'intimità di abbracci silenziosi. Fisici e materici che separano i corpi per unirli ancora di più nel sentimento e nel ricordo.
Il suono dell'addio è un vociare distante e indifferente del mondo fuori che si fa ovattato per lasciare spazio al suono nitido dei respiri.
D. L'esigenza di un teatro danzato che parta da una necessità comunicativa forte. E come se prima nascesse il testo, l'urgenza autobiografica, l'esperienza personale e poi la danza. È una possibile constatazione?
R. La danza è esperienza del mondo. Non sarei mai in grado di vederla in altro modo. Perciò prima che il primo muscolo possa muoversi ho bisogno di trattenere anche solo una parola, l'incipit e il primo seme di quella che sarà la drammaturgia. Intorno a questa parola chiedo al mio corpo di esprimere i propri punti di vista, le proprie memorie che prendono forma e diventano movimento e danza. La mia prima parola per Alcesti è stata "perdita". Ho provato ad attingere al sentimento nostalgico che mi accompagna da sempre nel rapporto passionale con le mie origini meridionali, una sorta di saudade "terrona". Ho scavato dentro questa assenza e dentro la distanza dalle cose e dalle persone che amo per cercare di comprendere il senso (anche fisico) del "perdere" e del "trattenere". Da qui ha preso vita una coreografia in bilico costante, fatta di strappi, cedimenti e recuperi in voli fugaci. Il lavoro ha una struttura di corsi e ricorsi, di ritorni di immagini che mettono in dialogo la protagonista con il coro in un uno spazio sospeso e fuori da un tempo strettamente narrativo.
D. Sei un artista completo: scrivi, fotografi, coreografi, sei manger di te stesso. L'arte salva o in questo momento storico-culturale ai coreografi è richiesto di fare altro dalla propria vocazione?
R. Come va il lavoro? Essere coreografi oggi in ambito contemporaneo in Italia significa essere multitasking. Per noi di Zerogrammi questo non costituisce un grosso problema ed anzi ci offre la possibilità di lavorare ai nostri progetti artistici con una visione integra sul percorso, che va dal lavoro in sala alla sperimentazione di linguaggi altri (foto e video) a documentazione delle tappe del processo creativo. Accanto a questo c'è l'immenso e complesso lavoro di gestione e promozione che attenta quotidianamente alla nostra vocazione coreografica ma dal quale purtroppo non possiamo esimerci per ragioni economiche. Ciò nonostante non smettiamo di progettare e fare passi sempre più lunghi delle nostre gambe, tessendo relazioni con i colleghi e con il territorio (è il caso del nostro progetto di residenza presso LUFT casacreativa) e cercando un dialogo onesto e diretto con il pubblico che oggi, più che mai, ha bisogno di sentirsi parte del discorso artistico e non a margine di "racconti" coreografici criptici e autoreferenziali graditi più agli operatori di settore che alle persone "comuni".
D. Il prossimo impegno Zerogrammi
R. Prossimi progetti? Debutterà a luglio la nuova creazione del mio collega Emanuele Sciannamea, dal titolo "Mens Athletica". Il progetto è sostenuto dalla Compagnia di San Paolo e coinvolge nel suo percorso di costruzione quattro squadre sportive di giovani atleti. I valori dello sport come luogo della "democrazia", sono lo spazio ideale cui tendere anche nella vita quotidiana, dalla scuola al lavoro, dal tempo libero alla politica. Lo sport ha una struttura dinamica e di scambio: è anche un gioco nel quale si può prendere distanza dai ruoli abituali e si può esprimere la propria identità, evidenziandone anche gli aspetti più emotivi. Il lavoro di video-documentazione a contatto con le squadre coinvolte diventerà argomento di studio per Emanuele e 5 danzatori della compagnia che restituiranno il risultato di questa ricerca in danza nella cornice del Festival Mirabilia, il prossimo luglio. Vi aspettiamo!
www.zerogrammi.org