Al Carignano Il giuoco
La parte di Orsini
Allo Stabile continuano gli appuntamenti con Pirandello.
Dopo Il fu Mattia pascal, I sei personaggi e Non si sa come, spetta a Il giuoco delle parti chiudere gli spettacoli dedicati da StabilMente al drammaturgo agrigentino. Nella versione Orsini/Valerio il dramma torna indietro alla novella e partorisce un finale nuovo. Per le scene di Maurizio Balò - in cui apparati mobili aprono lo spazio come il dolore squarcia l'inconscio con i ricordi - al Carignano la sottile malvagità di una ratio che si pone al di sopra del buon senso.
Quando si è capito il giuoco
La novella
La scelta fatta, scrive Roberto Valerio, è di ricercare il cuore pulsante della commedia nella novella Quando si è capito il giuoco. La novella è il vero, intimo laboratorio artistico di Pirandello; è lì che egli crea i suoi personaggi - impiegatucci, piccoli funzionari statali, contadini – immersi nella realtà sociale "bassa" della Sicilia rurale; è lì che troviamo il Pirandello più genuino e diretto e probabilmente quello più interessante oggi.
La trama sembrerebbe da manuale: il marito, la moglie, l'amante. Ma si tratta di Pirandello e il classico triangolo borghese non può che essere destrutturato sin dal principio.
Il marito, Leone Gala, s'è separato amichevolmente dalla moglie Silia; egli continua ad essere ufficialmente il marito, ma vive per conto proprio in una casa che è quasi un romitaggio. Ogni sera, tanto per salvare le apparenze, passa dal portinaio della signora, domanda se c'è niente di nuovo e se ne và. Verso i suoi cari libri e verso le batterie della sua cucina. Ama comporre salse preziose aiutato dal suo cameriere-cuoco con il quale parla di Socrate e Bergson.
Le novelle di Pirandello, continua il regista, si presentano, in genere, come racconto di una situazione, di un caso. Questo, determina uno scarto, uno strappo, un momento di crisi nella vita ordinaria di un personaggio. E di solito, nel raccontare, Pirandello, inizia la narrazione o quando i fatti sono ormai accaduti oppure nel momento di piena crisi del dramma. In questo modo, con un movimento all'indietro – il flash back – ricostruisce i fatti. Ne Il giuoco delle parti non si arriva, tuttavia, ad una verità oggettiva - a rapporti certi di causa-effetto - ma solo ad una verità soggettiva, del personaggio, o del narratore.
Scritto nel 1918, negli anni in cui Pirandello viveva il dramma dei disturbi mentali della moglie Nietta, la novella racconta storie di tutti i giorni. Di quelle che, quando avvengono sul serio e finiscono tragicamente, come nel nostro caso, fanno dire alla gente: "Ma quel tale che si è comportato così io lo conoscevo", "Era una brava persona, tanto tranquilla...ma chi l'avrebbe mai detto!" Già, chi l'avrebbe mai detto? ApparentementeLeone Gala è una gran brava persona ma è certamente un folle, un assassino col sorriso sulle labbra e la morte nel cuore.
Rifarsi alla novella offre una grande possibilità creativa sul piano dell'interpretazione. Nello spettacolo "Il giuoco delle parti", al centro è Leone Gala rinchiuso in una sorta di "Stanza della tortura". E qui che ripercorre i fatti, ma ricucire lo strappo sembra impossibile, impensabile continuare la vita di prima, se non a patto di una lucida follia.
Riprendendo oggi la commedia a quindici anni dalla celebre edizione diretta da Gabriele Lavia - messa in scena per il Teatro Eliseo, diretto, all'epoca, dal triangolo Orsini-Lavia-Falk – Orsini ne rimescola le carte, e insieme al regista Roberto Valerio - che proprio con Orsini aveva debuttato come attore in quel "Giuoco delle parti" - immaginano il protagonista sopravvissuto ai fatti narrati. E questo, afferma Orsini "ha posto una domanda, che subito ci ha fatto scattare la corda matta che sta sempre in agguato nella mente di un teatrante". Ma il protagonista della storia, questo Leone Gala, che dice di aver capito il gioco, questo famigerato "gioco della vita" lo aveva poi veramente capito?
Il punto di vista del personaggio
Spesso è necessario partire da un tentativo di rovesciamento di quello che appare evidente per poter arrivare a scoprire cosa c'è dall'altra parte della facciata, consiglia Orsini. La didascalia originale di Pirandello che accompagna il finale della commedia, continua, ci descrive un Leone quasi serafico che, dopo aver mandato un amico al macello, si appresta a gustare il suo uovo alla coque quotidiano. Questa è l'immagine che chiude tutte le edizioni che ho visto di questa pièce, a partire da quella storica di De Lullo fino ad arrivare a quella mia e di Lavia di quindici anni fa. Ed è certamente l'immagine di un cinismo sublime ed insieme inquietante. Proprio questo sinistro aspetto della personalità di Leone Gala ha fatto nascere, in me e Valerio, un'altra domanda: ma davvero finisce tutto li?Quest'uomo che in nome della ragione ha rifiutato il contatto con i suoi simili, quest'uomo che si è vuotato delle proprie emozioni e si è dedicato ad una vita di reclusione dividendosi tra i libri e la cucina, metafora del vuoto e del pieno, quest'uomo che parla quasi continuamente di istinto e di ragione... in fondo non è un uomo che... s-ragiona?
E se così fosse, quale potrebbe essere la sorte riservata ad un uomo così sragionante una volta che il sipario si sia chiuso davanti a lui? Un tipo di domanda che può avere risposte solo arbitrarie naturalmente, ma sulle quali alcuni, anche grandissimi, hanno costruito risposte fondamentali per le loro teorie di estetica teatrale. Ebbene noi abbiamo voluto essere un po' ingenui, e senza prenderci troppo sul serio, abbiamo cominciato a ipotizzare possibili scenari di una post-vicenda, e abbiamo immaginato un Leone Gala che viva oltre il limite che la commedia gli ha assegnato, un Leone più invecchiato e ossessivamente alla ricerca del suo passato, che rivive come farebbe uno scrittore che voglia mettere ordine alle sue bozze o cambi l'ordine delle scene, o addirittura le sopprima.
Difendo questa scelta, afferma Orsini, per puro interesse di resa teatrale, senza cercare di ammantarla di facile ideologia. Questa arbitrarietà ci permetterà di ripercorrere quella storia da un punto di vista che non è solo quello dell'autore, come sovente e giustamente avviene, ma dal punto di vista del personaggioche, diventato lui sì vero autore di sé stesso, cerca sul palcoscenico una sua nuova identità. Mi rendo conto che tutto questo suona terribilmente pirandelliano ma ci sarebbe da sorprendersi se così non fosse .
Il finale che cambia
Nella versione Orsini/Valerio il luogo dove si colloca il nostro protagonista è certamente uno spazio dove la ragione convive con la pazzia. Dove gli abiti mentali con cui si sono mascherate le apparenze sono stati dismessi. Dove il passato ritorna perché del passato non si può vedere solo ciò che è passato ma anche ciò che è sempre presente; è il "luogo - prigione" di un Enrico IV che gira in costume là dove tutti sono vestiti normalmente e tutti fanno finta di non accorgersene. È il palcoscenico di Hinkfuss, il regista di Questa sera si recita a soggetto, che in piena crisi creativa cambia le scenografie quasi a capriccio e commenta le azioni degli attori durante le prove. Ma è soprattutto un luogo in cui si scardina il salotto borghese e si allarga il campo verso qualcosa di proiettato all'esterno, un esterno in cui l'uomo è più disarmato, più vulnerabile, in qualche modo più simile agli uomini d'oggi.
Nel nostro spettacolo, afferma Orsini, ritroviamo Leone in un luogo che non può essere una prigione perché la sua colpa, nonostante la tragica conclusione, è stata solo virtuale. Lo ritroviamo in un luogo che potrebbe essere un palcoscenico così come su un palcoscenico veniva recitato dagli attori Il giuoco delle parti prima che dalla platea entrassero I sei personaggi in cerca del loro autore nella rivoluzionaria commedia di Pirandello, abbinamento curioso ma del quale in un certo modo dobbiamo tener conto. Perché Pirandello comincia il suo capolavoro proprio con un tentativo, poi interrotto, di provare questa commedia e non altre?
Infine, chiude Orsini, questa lieve licenza per scavalcare gli stereotipi che di solito infestano queste commedie apparentemente borghesi e per lavorare con creatività innovativa ma con intelligente rispetto della tradizione.
Fonti
Umberto Orsini, Note
Roberto Valerio, Note di regia
Dopo Il fu Mattia pascal, I sei personaggi e Non si sa come, spetta a Il giuoco delle parti chiudere gli spettacoli dedicati da StabilMente al drammaturgo agrigentino. Nella versione Orsini/Valerio il dramma torna indietro alla novella e partorisce un finale nuovo. Per le scene di Maurizio Balò - in cui apparati mobili aprono lo spazio come il dolore squarcia l'inconscio con i ricordi - al Carignano la sottile malvagità di una ratio che si pone al di sopra del buon senso.
Quando si è capito il giuoco
La novella
La scelta fatta, scrive Roberto Valerio, è di ricercare il cuore pulsante della commedia nella novella Quando si è capito il giuoco. La novella è il vero, intimo laboratorio artistico di Pirandello; è lì che egli crea i suoi personaggi - impiegatucci, piccoli funzionari statali, contadini – immersi nella realtà sociale "bassa" della Sicilia rurale; è lì che troviamo il Pirandello più genuino e diretto e probabilmente quello più interessante oggi.
La trama sembrerebbe da manuale: il marito, la moglie, l'amante. Ma si tratta di Pirandello e il classico triangolo borghese non può che essere destrutturato sin dal principio.
Il marito, Leone Gala, s'è separato amichevolmente dalla moglie Silia; egli continua ad essere ufficialmente il marito, ma vive per conto proprio in una casa che è quasi un romitaggio. Ogni sera, tanto per salvare le apparenze, passa dal portinaio della signora, domanda se c'è niente di nuovo e se ne và. Verso i suoi cari libri e verso le batterie della sua cucina. Ama comporre salse preziose aiutato dal suo cameriere-cuoco con il quale parla di Socrate e Bergson.
Le novelle di Pirandello, continua il regista, si presentano, in genere, come racconto di una situazione, di un caso. Questo, determina uno scarto, uno strappo, un momento di crisi nella vita ordinaria di un personaggio. E di solito, nel raccontare, Pirandello, inizia la narrazione o quando i fatti sono ormai accaduti oppure nel momento di piena crisi del dramma. In questo modo, con un movimento all'indietro – il flash back – ricostruisce i fatti. Ne Il giuoco delle parti non si arriva, tuttavia, ad una verità oggettiva - a rapporti certi di causa-effetto - ma solo ad una verità soggettiva, del personaggio, o del narratore.
Scritto nel 1918, negli anni in cui Pirandello viveva il dramma dei disturbi mentali della moglie Nietta, la novella racconta storie di tutti i giorni. Di quelle che, quando avvengono sul serio e finiscono tragicamente, come nel nostro caso, fanno dire alla gente: "Ma quel tale che si è comportato così io lo conoscevo", "Era una brava persona, tanto tranquilla...ma chi l'avrebbe mai detto!" Già, chi l'avrebbe mai detto? ApparentementeLeone Gala è una gran brava persona ma è certamente un folle, un assassino col sorriso sulle labbra e la morte nel cuore.
Rifarsi alla novella offre una grande possibilità creativa sul piano dell'interpretazione. Nello spettacolo "Il giuoco delle parti", al centro è Leone Gala rinchiuso in una sorta di "Stanza della tortura". E qui che ripercorre i fatti, ma ricucire lo strappo sembra impossibile, impensabile continuare la vita di prima, se non a patto di una lucida follia.
Riprendendo oggi la commedia a quindici anni dalla celebre edizione diretta da Gabriele Lavia - messa in scena per il Teatro Eliseo, diretto, all'epoca, dal triangolo Orsini-Lavia-Falk – Orsini ne rimescola le carte, e insieme al regista Roberto Valerio - che proprio con Orsini aveva debuttato come attore in quel "Giuoco delle parti" - immaginano il protagonista sopravvissuto ai fatti narrati. E questo, afferma Orsini "ha posto una domanda, che subito ci ha fatto scattare la corda matta che sta sempre in agguato nella mente di un teatrante". Ma il protagonista della storia, questo Leone Gala, che dice di aver capito il gioco, questo famigerato "gioco della vita" lo aveva poi veramente capito?
Il punto di vista del personaggio
Spesso è necessario partire da un tentativo di rovesciamento di quello che appare evidente per poter arrivare a scoprire cosa c'è dall'altra parte della facciata, consiglia Orsini. La didascalia originale di Pirandello che accompagna il finale della commedia, continua, ci descrive un Leone quasi serafico che, dopo aver mandato un amico al macello, si appresta a gustare il suo uovo alla coque quotidiano. Questa è l'immagine che chiude tutte le edizioni che ho visto di questa pièce, a partire da quella storica di De Lullo fino ad arrivare a quella mia e di Lavia di quindici anni fa. Ed è certamente l'immagine di un cinismo sublime ed insieme inquietante. Proprio questo sinistro aspetto della personalità di Leone Gala ha fatto nascere, in me e Valerio, un'altra domanda: ma davvero finisce tutto li?Quest'uomo che in nome della ragione ha rifiutato il contatto con i suoi simili, quest'uomo che si è vuotato delle proprie emozioni e si è dedicato ad una vita di reclusione dividendosi tra i libri e la cucina, metafora del vuoto e del pieno, quest'uomo che parla quasi continuamente di istinto e di ragione... in fondo non è un uomo che... s-ragiona?
E se così fosse, quale potrebbe essere la sorte riservata ad un uomo così sragionante una volta che il sipario si sia chiuso davanti a lui? Un tipo di domanda che può avere risposte solo arbitrarie naturalmente, ma sulle quali alcuni, anche grandissimi, hanno costruito risposte fondamentali per le loro teorie di estetica teatrale. Ebbene noi abbiamo voluto essere un po' ingenui, e senza prenderci troppo sul serio, abbiamo cominciato a ipotizzare possibili scenari di una post-vicenda, e abbiamo immaginato un Leone Gala che viva oltre il limite che la commedia gli ha assegnato, un Leone più invecchiato e ossessivamente alla ricerca del suo passato, che rivive come farebbe uno scrittore che voglia mettere ordine alle sue bozze o cambi l'ordine delle scene, o addirittura le sopprima.
Difendo questa scelta, afferma Orsini, per puro interesse di resa teatrale, senza cercare di ammantarla di facile ideologia. Questa arbitrarietà ci permetterà di ripercorrere quella storia da un punto di vista che non è solo quello dell'autore, come sovente e giustamente avviene, ma dal punto di vista del personaggioche, diventato lui sì vero autore di sé stesso, cerca sul palcoscenico una sua nuova identità. Mi rendo conto che tutto questo suona terribilmente pirandelliano ma ci sarebbe da sorprendersi se così non fosse .
Il finale che cambia
Nella versione Orsini/Valerio il luogo dove si colloca il nostro protagonista è certamente uno spazio dove la ragione convive con la pazzia. Dove gli abiti mentali con cui si sono mascherate le apparenze sono stati dismessi. Dove il passato ritorna perché del passato non si può vedere solo ciò che è passato ma anche ciò che è sempre presente; è il "luogo - prigione" di un Enrico IV che gira in costume là dove tutti sono vestiti normalmente e tutti fanno finta di non accorgersene. È il palcoscenico di Hinkfuss, il regista di Questa sera si recita a soggetto, che in piena crisi creativa cambia le scenografie quasi a capriccio e commenta le azioni degli attori durante le prove. Ma è soprattutto un luogo in cui si scardina il salotto borghese e si allarga il campo verso qualcosa di proiettato all'esterno, un esterno in cui l'uomo è più disarmato, più vulnerabile, in qualche modo più simile agli uomini d'oggi.
Nel nostro spettacolo, afferma Orsini, ritroviamo Leone in un luogo che non può essere una prigione perché la sua colpa, nonostante la tragica conclusione, è stata solo virtuale. Lo ritroviamo in un luogo che potrebbe essere un palcoscenico così come su un palcoscenico veniva recitato dagli attori Il giuoco delle parti prima che dalla platea entrassero I sei personaggi in cerca del loro autore nella rivoluzionaria commedia di Pirandello, abbinamento curioso ma del quale in un certo modo dobbiamo tener conto. Perché Pirandello comincia il suo capolavoro proprio con un tentativo, poi interrotto, di provare questa commedia e non altre?
Infine, chiude Orsini, questa lieve licenza per scavalcare gli stereotipi che di solito infestano queste commedie apparentemente borghesi e per lavorare con creatività innovativa ma con intelligente rispetto della tradizione.
Fonti
Umberto Orsini, Note
Roberto Valerio, Note di regia
gb
TEATRO CARIGNANO
IL GIUOCO DELLE PARTI
da Luigi Pirandello
adattamento Roberto Valerio, Umberto Orsini, Maurizio Balò
con Umberto Orsini
Alvia Reale, Totò Onnis, Flavio Bonacci, Carlo De Ruggieri, Woody Neri
regia Roberto Valerio
scene Maurizio Balò
costumi Gianluca Sbicca
light designer Pasquale
Compagnia Umberto Orsini s.r.l.
in collaborazione con Fondazione Teatro della Pergola
www.compagniaorsini.it
IL GIUOCO DELLE PARTI
da Luigi Pirandello
adattamento Roberto Valerio, Umberto Orsini, Maurizio Balò
con Umberto Orsini
Alvia Reale, Totò Onnis, Flavio Bonacci, Carlo De Ruggieri, Woody Neri
regia Roberto Valerio
scene Maurizio Balò
costumi Gianluca Sbicca
light designer Pasquale
Compagnia Umberto Orsini s.r.l.
in collaborazione con Fondazione Teatro della Pergola
www.compagniaorsini.it