L'ultima notte di Mia Martini
Erika Urban interpreta Aldo Nove
Il Teatro Astra nelle serate dal 4 al 6 aprile offre un omaggio ad una delle voci più belle e dannate del panorama musicale italiano. Con ULTIMA NOTTE MIA. Mia Martini. Una vita. la sala prove di via rosolino si fa casa, spiaggia, palco, nave, il letto che l'ha ospitata per l'ultima volta. Fra vita privata e personaggio pubblico, il destino di un'anima.
Un testo dolce e malinconico è Mi chiamo..., il libro di Aldo Nove a lei dedicato ed edito da Skira a partire da febbraio del 2013. Un monologo nel quale la malinconia non è sinonimo né sintomo di pigrizia, ma memoria di una grandissima vitalità che è andata estinguendosi, come lo spegnersi poco a poco di una vita gigantesca.
Trovata riversa sul suo letto, le cuffie ancora sulle orecchie, una mattina del maggio 1995, Mia Martini stava lavorando ad una sua canzone. Moltissime cose si son dette sulla sua morte. Poche vere o plausibili ma tutte clamorose; pur senza ignorarle, non è certo la ricerca di una qualche verità o di una soluzione di un giallo, che anima il Teatro I ma la volontà di far rivivere in scena la persona e la sua energia, più che il personaggio, evocata in una sorta di discreto, a volte ironico, sempre affettuoso, rito di voodoo teatrale. Approccio ormai diventato metodo e frutto di lavori e spettacoli precedenti su alcune figure "enormi" del passato come il loro Orson Welles - cucito addosso a Giuseppe Battiston - o, con meno clamore, per i coniugi Edgar e Virginia Poe e per l'ideatore del piccolo principe Antoine de Saint-Exupéry.
Il Teatro i, nell'interpretazione di una brava e commovente Erika Urban e per la regia di Michele De Vita Conti, la immaginano nel suo letto grande e vuoto che, come per Rossellini e Carmelo Bene, era studio, scrivania e comunque luogo di lavoro più che alcova. La sua ultima notte è cominciata come sempre solitaria ma piena di musica: quella sua e quella degli artisti che amava. E via via, la notte si anima di presenze e ricordi, di sogni infantili, di memorie di famiglia lacerata. Un esempio raro, se non unico, di come l'ignoranza e l'invidia possano distruggere non solo la carriera di una persona, ma la persona stessa, la vita di Mia Martini è stata per moltissimi anni vittima del "branco", il branco che uccide, espressione tanto abusata dai cronisti, non è qui formato da ragazzini alterati, da skinhead idrofobi, da una curva piena di ultrà.
Qui i teppisti sono travestiti da produttori discografici, da impresari, da intellettuali e soprattutto, da artisti. Un ambiente, per solito considerato "aperto" e all'avanguardia che, invece ha massacrato per anni e anni un'artista di grandissimo talento, costringerla al ritiro dalle scene, al silenzio, all'esilio. Un'etichetta, quella della innominabile iettatrice - come per Gino Paoli e Masini - che una volta appiccicata, non permette alcuna autodifesa: "Se dicessero che ho l'A.I.D.S., potrei fare un test e smentirli, ma così...", pare abbia detto la stessa Mia Martini alla sorella Loredana Berté.
Esempio di come l'Italia sia una nazione provinciale in cui a muoverla sono ancora stereotipi medievali, l'esempio Martini palesa non solo un'Italia digiuna di meritocrazia, ma tutto un sistema di mestieranti che con l'arte, quella vera, ha poco a che fare. In fondo il Piper non era la verità..
Un testo dolce e malinconico è Mi chiamo..., il libro di Aldo Nove a lei dedicato ed edito da Skira a partire da febbraio del 2013. Un monologo nel quale la malinconia non è sinonimo né sintomo di pigrizia, ma memoria di una grandissima vitalità che è andata estinguendosi, come lo spegnersi poco a poco di una vita gigantesca.
Trovata riversa sul suo letto, le cuffie ancora sulle orecchie, una mattina del maggio 1995, Mia Martini stava lavorando ad una sua canzone. Moltissime cose si son dette sulla sua morte. Poche vere o plausibili ma tutte clamorose; pur senza ignorarle, non è certo la ricerca di una qualche verità o di una soluzione di un giallo, che anima il Teatro I ma la volontà di far rivivere in scena la persona e la sua energia, più che il personaggio, evocata in una sorta di discreto, a volte ironico, sempre affettuoso, rito di voodoo teatrale. Approccio ormai diventato metodo e frutto di lavori e spettacoli precedenti su alcune figure "enormi" del passato come il loro Orson Welles - cucito addosso a Giuseppe Battiston - o, con meno clamore, per i coniugi Edgar e Virginia Poe e per l'ideatore del piccolo principe Antoine de Saint-Exupéry.
Il Teatro i, nell'interpretazione di una brava e commovente Erika Urban e per la regia di Michele De Vita Conti, la immaginano nel suo letto grande e vuoto che, come per Rossellini e Carmelo Bene, era studio, scrivania e comunque luogo di lavoro più che alcova. La sua ultima notte è cominciata come sempre solitaria ma piena di musica: quella sua e quella degli artisti che amava. E via via, la notte si anima di presenze e ricordi, di sogni infantili, di memorie di famiglia lacerata. Un esempio raro, se non unico, di come l'ignoranza e l'invidia possano distruggere non solo la carriera di una persona, ma la persona stessa, la vita di Mia Martini è stata per moltissimi anni vittima del "branco", il branco che uccide, espressione tanto abusata dai cronisti, non è qui formato da ragazzini alterati, da skinhead idrofobi, da una curva piena di ultrà.
Qui i teppisti sono travestiti da produttori discografici, da impresari, da intellettuali e soprattutto, da artisti. Un ambiente, per solito considerato "aperto" e all'avanguardia che, invece ha massacrato per anni e anni un'artista di grandissimo talento, costringerla al ritiro dalle scene, al silenzio, all'esilio. Un'etichetta, quella della innominabile iettatrice - come per Gino Paoli e Masini - che una volta appiccicata, non permette alcuna autodifesa: "Se dicessero che ho l'A.I.D.S., potrei fare un test e smentirli, ma così...", pare abbia detto la stessa Mia Martini alla sorella Loredana Berté.
Esempio di come l'Italia sia una nazione provinciale in cui a muoverla sono ancora stereotipi medievali, l'esempio Martini palesa non solo un'Italia digiuna di meritocrazia, ma tutto un sistema di mestieranti che con l'arte, quella vera, ha poco a che fare. In fondo il Piper non era la verità..
gb
Teatro Astra
ULTIMA NOTTE MIA. Mia Martini. Una vita
un monologo di Aldo Nove
con Erika Urban
progetto e regia Michele De Vita Conti
assistente alla regia Valentina Gamna
direzione tecnica Anna Merlo
TEATRO i in residenza al TeatroLaCucina – Olinda
www.teatroi.org
ULTIMA NOTTE MIA. Mia Martini. Una vita
un monologo di Aldo Nove
con Erika Urban
progetto e regia Michele De Vita Conti
assistente alla regia Valentina Gamna
direzione tecnica Anna Merlo
TEATRO i in residenza al TeatroLaCucina – Olinda
www.teatroi.org