Luca Sacchetti
Classe 1962. Romano, consegue gli studi classici per poi laurearsi in economia. Art director per moda e pubblicità, docente. Artista, scultore, design. E si, Luca Sacchetti è tutte queste cose, e proprio mentre indossava colletti inamidati e cravatte, nel suo studio lavorava a quella che sarebbe stata la sua prima collezione di art design, Dreams, presentata a Milano nel 2004. Mostra fortunatissima ed itinerante esposta a Parigi, Londra e San Francisco. Dunque un richiamo subito internazionale, un'arte che si pone da subito per un gusto trans-nazionale che usa tutti gli stili perché è con la storia dell'arte che dialoga, e nel dialogo si pone la ricerca.
Il partorire cose nuove ma leggibili e tuttavia capovolte. Sacchetti si confronta con la scultura di ispirazione anni 70, con il materismo di quegli anni ma rielabora con linguaggio proprio quel mix di intuizioni. E così nella pittura: stile fiammingo si mischia con l'impressionismo e insieme danno vita a qualcosa di nuovo, ad una ricerca che parte sempre dal dentro dell'artista. Pittura, scultura e design - dove la sua creatività è particolarmente originale - sono solo un mezzo come un altro per mettere al mondo le sue opere, che sono idee, concetti, riflessioni, aspirazioni. Sogni e incubi. E nel chiedere alla vita l'artista chiede anche a sé stesso, si immortala sulla tela per guardarsi, studiarsi attraverso gli autoritratti sparsi li fra le altre tele. Perché è la cura del particolare che conta in Sacchetti, il dettaglio che caratterizza l'opera. E le sue opere scoppiano di carattere.
D. Raccontaci delle impronte. Tracce, sogni, desideri o incubi?
R. Quando ho realizzato il ciclo chiamato le impronte ho pensato a un'epoca in cui la specie umana fosse estinta e, come per tutte le specie esistenti, si sarebbero rinvenute solo tracce o segni del nostro passaggio. In un epoca caratterizzata da un forte onnipotentismo umano, questi dipinti vogliono solo ricordare la caducità dell'esistenza.
D. II senso del nero?
R. Il nero come colore di un'epoca in decadenza. Il nero come colore non colore che dà e che toglie, nera come Madre Natura in De rerum Naturae di Lucrezio.
D. L'importanza della conoscenza della storia dell'arte - delle sue tecniche e delle sue tematiche - si risolve, nelle tue tele e nelle sculture, come un libero rimaneggiamento di significati e di materiali. Si avverte la necessità di un legame e tuttavia l'esigenza della rottura. Parlacene.
R. Si, nel mio modo di lavorare c'è un richiamo all'arte del passato ma anche una rottura con essa, quindi un occhio rivolto al futuro. La conoscenza del passato serve a vincere la paura del futuro ma il passato non deve precludere il futuro; in un'epoca di contaminazione e nostalgia, caratteristiche tipiche dell'era attuale, contamino e utilizzo vecchie e nuove tecniche per significare altro. A volte nel prendere formalmente a modello l'opera di altri artisti significo scenari ben meno ottimistici di quelli ipotizzati dall'autore originario. Attualmente sto studiando l'arte medievale e la interpreto alla luce degli accadimenti contemporanei. In pittura si risolve accostando il linguaggio della scuola senese con quello dell'espressionismo tedesco.
D. Il bacio, come titolo e come iconografia, ri-torna spesso nelle tue opere pittoriche, scultoree e di design. Le interpretazioni che variano o insieme a loro anche i possibili significati?
R. Il bacio vuole essere la metafora della tensione dell'uomo verso l'assoluto; il bacio è visto come compenetrazione e fusione, come l'estremo tentativo dell'uomo di esorcizzare la paura della paura; pur essendo un tentativo è tuttavia instabile ma in alcuni casi è proprio la sua instabilità a determinarne la stabilita. Occorre solo andare oltre l'apparenza delle cose. E purtroppo per la maggior parte delle persone apparenza è sinonimo di identità.
D. Il tuo approccio, l'uso e la manipolazione dei materiali appare come quello di un bambino che scopre e tocca il mondo per le prime volte. Entusiasmante e pieno di creatività, può darsi?
R. Si il mio approccio e proprio quello di un bambino! E molte volte rimango stupito di fronte a un dipinto o a una scultura che ho realizzato. La dimensione infantile nei confronti della vita mi e sempre appartenuta e forse dipende dal mio modo di vedere la vita: come una favola di cui non si conosce la pagina successiva.
D. La tua vita è stata piena e poliedrietica, dall'economia all'arte il passaggio sembra sia stato naturale, quasi come una liberazione. Ma tornano spesso le gabbie nelle tue opere. Fra prigioni mentali e di cemento, si avverte un senso di claustrofobia. E' lo stesso che vivi tu?
R. La gabbia è più un ricordo della mia vita passata che di quella presente. Nelle mie opere è in effetti ricorrente così come l'idea di una prigione mentale; la gabbia e il buco rimandano a vite senza coscienza o a vite-non vite, nel senso di non vissute o vissute in modo superficiale senza mai prendere coscienza del sé. Attualmente sto realizzando un ciclo dedicato alle monache di clausura.
www.lucasacchetti.com
Il partorire cose nuove ma leggibili e tuttavia capovolte. Sacchetti si confronta con la scultura di ispirazione anni 70, con il materismo di quegli anni ma rielabora con linguaggio proprio quel mix di intuizioni. E così nella pittura: stile fiammingo si mischia con l'impressionismo e insieme danno vita a qualcosa di nuovo, ad una ricerca che parte sempre dal dentro dell'artista. Pittura, scultura e design - dove la sua creatività è particolarmente originale - sono solo un mezzo come un altro per mettere al mondo le sue opere, che sono idee, concetti, riflessioni, aspirazioni. Sogni e incubi. E nel chiedere alla vita l'artista chiede anche a sé stesso, si immortala sulla tela per guardarsi, studiarsi attraverso gli autoritratti sparsi li fra le altre tele. Perché è la cura del particolare che conta in Sacchetti, il dettaglio che caratterizza l'opera. E le sue opere scoppiano di carattere.
D. Raccontaci delle impronte. Tracce, sogni, desideri o incubi?
R. Quando ho realizzato il ciclo chiamato le impronte ho pensato a un'epoca in cui la specie umana fosse estinta e, come per tutte le specie esistenti, si sarebbero rinvenute solo tracce o segni del nostro passaggio. In un epoca caratterizzata da un forte onnipotentismo umano, questi dipinti vogliono solo ricordare la caducità dell'esistenza.
D. II senso del nero?
R. Il nero come colore di un'epoca in decadenza. Il nero come colore non colore che dà e che toglie, nera come Madre Natura in De rerum Naturae di Lucrezio.
D. L'importanza della conoscenza della storia dell'arte - delle sue tecniche e delle sue tematiche - si risolve, nelle tue tele e nelle sculture, come un libero rimaneggiamento di significati e di materiali. Si avverte la necessità di un legame e tuttavia l'esigenza della rottura. Parlacene.
R. Si, nel mio modo di lavorare c'è un richiamo all'arte del passato ma anche una rottura con essa, quindi un occhio rivolto al futuro. La conoscenza del passato serve a vincere la paura del futuro ma il passato non deve precludere il futuro; in un'epoca di contaminazione e nostalgia, caratteristiche tipiche dell'era attuale, contamino e utilizzo vecchie e nuove tecniche per significare altro. A volte nel prendere formalmente a modello l'opera di altri artisti significo scenari ben meno ottimistici di quelli ipotizzati dall'autore originario. Attualmente sto studiando l'arte medievale e la interpreto alla luce degli accadimenti contemporanei. In pittura si risolve accostando il linguaggio della scuola senese con quello dell'espressionismo tedesco.
D. Il bacio, come titolo e come iconografia, ri-torna spesso nelle tue opere pittoriche, scultoree e di design. Le interpretazioni che variano o insieme a loro anche i possibili significati?
R. Il bacio vuole essere la metafora della tensione dell'uomo verso l'assoluto; il bacio è visto come compenetrazione e fusione, come l'estremo tentativo dell'uomo di esorcizzare la paura della paura; pur essendo un tentativo è tuttavia instabile ma in alcuni casi è proprio la sua instabilità a determinarne la stabilita. Occorre solo andare oltre l'apparenza delle cose. E purtroppo per la maggior parte delle persone apparenza è sinonimo di identità.
D. Il tuo approccio, l'uso e la manipolazione dei materiali appare come quello di un bambino che scopre e tocca il mondo per le prime volte. Entusiasmante e pieno di creatività, può darsi?
R. Si il mio approccio e proprio quello di un bambino! E molte volte rimango stupito di fronte a un dipinto o a una scultura che ho realizzato. La dimensione infantile nei confronti della vita mi e sempre appartenuta e forse dipende dal mio modo di vedere la vita: come una favola di cui non si conosce la pagina successiva.
D. La tua vita è stata piena e poliedrietica, dall'economia all'arte il passaggio sembra sia stato naturale, quasi come una liberazione. Ma tornano spesso le gabbie nelle tue opere. Fra prigioni mentali e di cemento, si avverte un senso di claustrofobia. E' lo stesso che vivi tu?
R. La gabbia è più un ricordo della mia vita passata che di quella presente. Nelle mie opere è in effetti ricorrente così come l'idea di una prigione mentale; la gabbia e il buco rimandano a vite senza coscienza o a vite-non vite, nel senso di non vissute o vissute in modo superficiale senza mai prendere coscienza del sé. Attualmente sto realizzando un ciclo dedicato alle monache di clausura.
www.lucasacchetti.com