Salomè come Wilde
All'Elfo si parla di amore e morte
All'Elfo, fino al 20 Marzo, è in scena la Salomè di Wilde. Il dramma in un solo atto, la cui storia è citata, tacendone il nome, nei Vangeli di Marco e Matteo, è riproposta dalla compagnia Teatridithalia, in L'ultima recita di Salomè. Un testo nuovo in cui si sovrappongono le ultime parole dello scrittore, nel periodo della sua prigionia, con la leggenda di Salomè. Le due fonti, finendo col diventare il simbolo, forse, di come possa essersi vittime di se stessi, finiscono per coincidere.
In quella che parrebbe un'ambientazione da circo i tre protagonisti - Ferdinando Bruni (Oscar Wilde, Iokanaan, Erode); Enzo Curcurù (Mavor Parker, il Giovane siriano ed Erodiade); Alejandro Bruni Ocaña (Salomé) – si muovono all'interno di atmosfere da Drag Queen - con zeppone, lustrini e palliette -, con echi e richiami alle tragedie greche. Il percorso potremmo figurarcelo più o meno cosi: si assiste ad un'opera attualizzata, su un dramma wildiano, di fine Ottocento, che si ispira alle tragedie antiche. È in questo andare indietro, in questo autocitarsi che la messa inscena appare del tutto originale.
Semplificato nel numero dei personaggi, il testo procede sul doppio registro Salomè/Wilde; identificando quest'ultimo a volte con il profeta Iokanan per il suo stato di prigionia, a volte con il destino di Salomè. Arricchito da una tinta “rosa” (tutte i ruoli sono recitati da Uomini) – cosa cara agli ambienti dello scrittore irlandese, in voga e del tutto accettata in ambiente greco – il dramma che di li a poco sta per compiersi - sempre paventato dalle profezie del saggio – suona chiaro nella terribilità espressa dallo stridere della voce di Salomè, l'eccellente Bruni, che attualizza modi “lontanissimi” del recitare.
Si ride anche. Ci si rivede in questa famiglia un po' sui generis, con una mamma e una figlia un po' libertine, e un padre dal “vizietto” facile; quindi risulta attualissimo, nel narrare di dinamiche sessuali, di potere e desiderio. Di morte che si unisce, decadentemente, all'amore.
Lo spettacolo nella sua interezza, è un insigne esempio di come l'ottimo teatro può essere fatto.
Gli attori in scena formano un trio perfetto in cui ritmo, cadenze, attacchi, pause sono cosi perfette nei loro passaggi, da rendere viva e costante l'attenzione e la partecipazione del pubblico. Mai un rallentamento, mai un lingua inceppata, mai tono che non doveva essere quello; mai - e cosa più difficile – soprattutto per Bruni e Curcurù – gli attori sono andati oltre quell'apparato gestuale, sonoro, e ironico che il mondo del travestimento necessita. Ogni gesto appariva perfetto e analizzato - quasi avessero seguito un corso -, le movenze leggere e impregnate di quel “divismo” caro alle Drag.
Fra i tre è Salomè la protagonista, e quindi la fisicità, la voce, il temperamento di Alejandro Bruni, il cui corpo tutto coperto di bianco per evocare la nobiltà e la bellezza di Salomè si pone sul palco come il corpo del reato; a volte muto, a volte a parole esprime tutto il mondo di una giovane la cui nemica peggiore è lei stessa, cosi come fra le righe si ode un Wilde che medita su se stesso e sulla sua vita, riconoscendo come la morte sia la conseguenza dell'amore nell'attimo in cui l'uomo uccide ciò che ama. È una riflessione sottile su altruismo e egoismo in amore, su cosa sia più soddisfacente il desiderare o l'ottenere, e ponendo l'apparato scenografico simile ad un circo, forse, si vuole sottolineare l'estremo gioco-finzione, che non domina solo i contesti sociali attraverso la forma, ma padroneggia dentro di noi nello scontro fra persona e personaggio.
Come a dire le grandi storie portatrici dei grandi temi non muoiono mai, rimanendo sempre attuali. Poi se ad interpretarli, meditandoli, sono degli ottimi attori, il gioco è fatto.
In quella che parrebbe un'ambientazione da circo i tre protagonisti - Ferdinando Bruni (Oscar Wilde, Iokanaan, Erode); Enzo Curcurù (Mavor Parker, il Giovane siriano ed Erodiade); Alejandro Bruni Ocaña (Salomé) – si muovono all'interno di atmosfere da Drag Queen - con zeppone, lustrini e palliette -, con echi e richiami alle tragedie greche. Il percorso potremmo figurarcelo più o meno cosi: si assiste ad un'opera attualizzata, su un dramma wildiano, di fine Ottocento, che si ispira alle tragedie antiche. È in questo andare indietro, in questo autocitarsi che la messa inscena appare del tutto originale.
Semplificato nel numero dei personaggi, il testo procede sul doppio registro Salomè/Wilde; identificando quest'ultimo a volte con il profeta Iokanan per il suo stato di prigionia, a volte con il destino di Salomè. Arricchito da una tinta “rosa” (tutte i ruoli sono recitati da Uomini) – cosa cara agli ambienti dello scrittore irlandese, in voga e del tutto accettata in ambiente greco – il dramma che di li a poco sta per compiersi - sempre paventato dalle profezie del saggio – suona chiaro nella terribilità espressa dallo stridere della voce di Salomè, l'eccellente Bruni, che attualizza modi “lontanissimi” del recitare.
Si ride anche. Ci si rivede in questa famiglia un po' sui generis, con una mamma e una figlia un po' libertine, e un padre dal “vizietto” facile; quindi risulta attualissimo, nel narrare di dinamiche sessuali, di potere e desiderio. Di morte che si unisce, decadentemente, all'amore.
Lo spettacolo nella sua interezza, è un insigne esempio di come l'ottimo teatro può essere fatto.
Gli attori in scena formano un trio perfetto in cui ritmo, cadenze, attacchi, pause sono cosi perfette nei loro passaggi, da rendere viva e costante l'attenzione e la partecipazione del pubblico. Mai un rallentamento, mai un lingua inceppata, mai tono che non doveva essere quello; mai - e cosa più difficile – soprattutto per Bruni e Curcurù – gli attori sono andati oltre quell'apparato gestuale, sonoro, e ironico che il mondo del travestimento necessita. Ogni gesto appariva perfetto e analizzato - quasi avessero seguito un corso -, le movenze leggere e impregnate di quel “divismo” caro alle Drag.
Fra i tre è Salomè la protagonista, e quindi la fisicità, la voce, il temperamento di Alejandro Bruni, il cui corpo tutto coperto di bianco per evocare la nobiltà e la bellezza di Salomè si pone sul palco come il corpo del reato; a volte muto, a volte a parole esprime tutto il mondo di una giovane la cui nemica peggiore è lei stessa, cosi come fra le righe si ode un Wilde che medita su se stesso e sulla sua vita, riconoscendo come la morte sia la conseguenza dell'amore nell'attimo in cui l'uomo uccide ciò che ama. È una riflessione sottile su altruismo e egoismo in amore, su cosa sia più soddisfacente il desiderare o l'ottenere, e ponendo l'apparato scenografico simile ad un circo, forse, si vuole sottolineare l'estremo gioco-finzione, che non domina solo i contesti sociali attraverso la forma, ma padroneggia dentro di noi nello scontro fra persona e personaggio.
Come a dire le grandi storie portatrici dei grandi temi non muoiono mai, rimanendo sempre attuali. Poi se ad interpretarli, meditandoli, sono degli ottimi attori, il gioco è fatto.
gb
Teatro Elfo Puccini
L'ULTIMA RECITA DI SALOMÈ
da Oscar Wilde
uno spettacolo di Ferdinando Bruni e Francesco Frongia
L'ULTIMA RECITA DI SALOMÈ
da Oscar Wilde
uno spettacolo di Ferdinando Bruni e Francesco Frongia