Shirin Neshat
a Palazzo Reale arte e denuncia
Proprio quando il conflitto tra occidente e oriente esplode all'interno delle cronache internazionali, Milano, nella sede di Palazzo Reale, decide di mettere in mostra Shirin Neshat, persiana che vive a New York, artista sottile e spinosa. Non tanto per schierarsi, è ovvio, quanto, forse, per permettere ai visitatori di apprendere un altro punto di vista, magari fuori dalle demagogie del potere, più reale e vicino alla situazione di chi vive in prima persona, subendoli, quelli che non sono più i pregiudizi che possono ritrovarsi all'interno di una civiltà, ma a questi innati, si accompagnano i pregiudizi che la civiltà dominante ha su quella che li subisce. Accade sempre più spesso, trascinando il discorso nella cronaca contemporanea, che l'Oriente - o parte di esso - filtra l'idea che ha di se stesso attraverso la visione che l'Occidentene sponsorizza, finendo cosi per costruire un sistema ideologico che punta a creare un'alternativa forte al modello occidentale: quello che lo domina, a volte concedendogli il dolce a volte l'amaro..
Donne senza Uomini, l'istallazione video allestita nella sala delle Cariatidi - quasi a tracciare simbolicamente una continuazione tra quelle e queste – mette in scena cinque donne Zarin, Faezeh, Farokh Legha, Munis e Mahdokht (i nomi delle protagoniste intitolano ognuno dei tasselli della serie Women without men) e insieme a loro si narrano le loro storie affascinati “dalla musica di Ryuichi Sakamoto e di Sussan Deyhim, nonché dalla bellezza di ogni fotogramma delle video-installazioni, quasi fossero una successione di perfette immagini fotografiche in cui ogni personaggio, ogni oggetto, il paesaggio stesso concorrono a fondersi in un'armonia di grande potenza”. Un'opera a cui l'artista ha lavorato per quattro anni, 2004 al 2008, lasciandosi ispirare dall'omonimo romanzo della scrittrice iraniana Shahnush Parsipur, pubblicato nel 1989 e bandito in Iran. Ambientato nel 1953, all'epoca del colpo di Stato sostenuto dagli eserciti americano e inglese per deporre il presidente democraticamente eletto, Mohammad Mossadegh , e per riportare al potere lo Shah, evitando quindi la nazionalizzazione dei pozzi petroliferi.
In atmosfera surreale si narrano le storie delle cinque donne, e inevitabilmente si sceglie di adottare un punto di vista preciso. E' la dialettica tra interiorità e mondo, tra soggettività e regole sociali, ad essere oggetto di analisi da parte della Neshat. Munis, ad esempio, al suo destino di moglie e madre oppone il proprio desiderio di prendere parte alle lotte politiche della parte più consapevole della società civile, ma per farlo dovrà morire. E rinascere. Anche se poi, nella villa dove lei e le altre donne si daranno il tempo per ricostruirsi una vita e permettere agli oppositori di avere un rifugio, un gruppo di militari penetrerà misteriosamente proprio la sera di un ricevimento ufficiale, che dovrebbe sancire il riconoscimento sociale di questa nuova comunità di donne libere, trasformandolo in una trappola. Il finale, tuttavia rimane aperto: in gioco non c'è solo la speranza ma la consapevolezza che i giochi non sono mai definitivamente chiusi.
E infatti la Neshat non si ferma qui: alla scelta di un'opera con una tematica cosi forte, aggiunge l'aver continuato come sempre suole fare, a privilegiare il punto di vista femminile – simbolo di speranza - di creatività e di forza, in una società prevalentemente maschilista, ma formula anche, se non delle accuse chiare, degli spunti di riflessione fortissima: anzitutto, non sono lontane dal nostro patrimonio visivo e culturale, le donne col velo - che oggi suscitano cosi tanta indignazione per il simboleggiare la non libertà o la sottomissione al sesso forte - pensiamo al sud della nostra Italia, a quelle usanze lontane importate dai colonizzatori e che ancora oggi possono vedersi nei riti religioso-folkloristici.
Quindi non è un fenomeno nuovo, distintivo solo della società islamica, e ci sono moltissime donne che usano il velo, non in maniera imposta, bensì libera. Ma qui il punto non sono né i veli né le croci che fungono da pretesti per motivi più sottili, e quasi sempre di carattere economico politico. Questo è il punto. Gli interessi economici che sovrastano le organizzazioni internazionali di un mondo che paventa la sua unione globale. Chi è dunque la vittima o il carnefice? L'Occidente che esporta democrazia, che vende armi e seduce con i suoi ideali etico-civili ormai smentiti da decenni, o un Oriente, che come noi abbamo fatto anni prima, cerca di scacciare l'oppressore e di darsi un assetto democratico? In fondo non è proprio il “terzo mondo” che alimenta il primo ed il secondo?
I video, sono delle opere poetiche, dalla tecnica impeccabile e dal messaggio ambiguo per le molteplici chiavi di lettura. Si sovrappongono valori artistici, etici, che valorizzano la Neshat sia come donna e sia come cittadina del mnondo. Le sue opere mostrano il contatto diretto fra condizione personale - intima e creatrice - dell'artista persona, e di uno status pubblico che l'artista riveste in taluni contesti e con talune opere, divenendo, all'interno dell'artista, quasi una missione. Cosi si ribadisce anche l'assoluta libertà di cui l'espressione artistica deve essere intrisa.
Donne senza Uomini, l'istallazione video allestita nella sala delle Cariatidi - quasi a tracciare simbolicamente una continuazione tra quelle e queste – mette in scena cinque donne Zarin, Faezeh, Farokh Legha, Munis e Mahdokht (i nomi delle protagoniste intitolano ognuno dei tasselli della serie Women without men) e insieme a loro si narrano le loro storie affascinati “dalla musica di Ryuichi Sakamoto e di Sussan Deyhim, nonché dalla bellezza di ogni fotogramma delle video-installazioni, quasi fossero una successione di perfette immagini fotografiche in cui ogni personaggio, ogni oggetto, il paesaggio stesso concorrono a fondersi in un'armonia di grande potenza”. Un'opera a cui l'artista ha lavorato per quattro anni, 2004 al 2008, lasciandosi ispirare dall'omonimo romanzo della scrittrice iraniana Shahnush Parsipur, pubblicato nel 1989 e bandito in Iran. Ambientato nel 1953, all'epoca del colpo di Stato sostenuto dagli eserciti americano e inglese per deporre il presidente democraticamente eletto, Mohammad Mossadegh , e per riportare al potere lo Shah, evitando quindi la nazionalizzazione dei pozzi petroliferi.
In atmosfera surreale si narrano le storie delle cinque donne, e inevitabilmente si sceglie di adottare un punto di vista preciso. E' la dialettica tra interiorità e mondo, tra soggettività e regole sociali, ad essere oggetto di analisi da parte della Neshat. Munis, ad esempio, al suo destino di moglie e madre oppone il proprio desiderio di prendere parte alle lotte politiche della parte più consapevole della società civile, ma per farlo dovrà morire. E rinascere. Anche se poi, nella villa dove lei e le altre donne si daranno il tempo per ricostruirsi una vita e permettere agli oppositori di avere un rifugio, un gruppo di militari penetrerà misteriosamente proprio la sera di un ricevimento ufficiale, che dovrebbe sancire il riconoscimento sociale di questa nuova comunità di donne libere, trasformandolo in una trappola. Il finale, tuttavia rimane aperto: in gioco non c'è solo la speranza ma la consapevolezza che i giochi non sono mai definitivamente chiusi.
E infatti la Neshat non si ferma qui: alla scelta di un'opera con una tematica cosi forte, aggiunge l'aver continuato come sempre suole fare, a privilegiare il punto di vista femminile – simbolo di speranza - di creatività e di forza, in una società prevalentemente maschilista, ma formula anche, se non delle accuse chiare, degli spunti di riflessione fortissima: anzitutto, non sono lontane dal nostro patrimonio visivo e culturale, le donne col velo - che oggi suscitano cosi tanta indignazione per il simboleggiare la non libertà o la sottomissione al sesso forte - pensiamo al sud della nostra Italia, a quelle usanze lontane importate dai colonizzatori e che ancora oggi possono vedersi nei riti religioso-folkloristici.
Quindi non è un fenomeno nuovo, distintivo solo della società islamica, e ci sono moltissime donne che usano il velo, non in maniera imposta, bensì libera. Ma qui il punto non sono né i veli né le croci che fungono da pretesti per motivi più sottili, e quasi sempre di carattere economico politico. Questo è il punto. Gli interessi economici che sovrastano le organizzazioni internazionali di un mondo che paventa la sua unione globale. Chi è dunque la vittima o il carnefice? L'Occidente che esporta democrazia, che vende armi e seduce con i suoi ideali etico-civili ormai smentiti da decenni, o un Oriente, che come noi abbamo fatto anni prima, cerca di scacciare l'oppressore e di darsi un assetto democratico? In fondo non è proprio il “terzo mondo” che alimenta il primo ed il secondo?
I video, sono delle opere poetiche, dalla tecnica impeccabile e dal messaggio ambiguo per le molteplici chiavi di lettura. Si sovrappongono valori artistici, etici, che valorizzano la Neshat sia come donna e sia come cittadina del mnondo. Le sue opere mostrano il contatto diretto fra condizione personale - intima e creatrice - dell'artista persona, e di uno status pubblico che l'artista riveste in taluni contesti e con talune opere, divenendo, all'interno dell'artista, quasi una missione. Cosi si ribadisce anche l'assoluta libertà di cui l'espressione artistica deve essere intrisa.
GB
Palazzo Reale - MILANO
Shirin Neshat
Women without Man/Donne senza uomini
29 gennaio - 8 Marzo 2011
Shirin Neshat
Women without Man/Donne senza uomini
29 gennaio - 8 Marzo 2011