Quanto è comica l'infelicità
Alla Lavanderia L'America dentro
Per Teatri del Tempo Presente alla Lavanderia a Vapore di Collegno domenica 1 dicembre l'umbra Carolina Balucani che con L'America dentro tratteggia gli universi di creature border line, strambi personaggi caratterizzati dalla paura e dal desiderio di oltrepassare i propri personali confini.
Teatri del Tempo Presente fa parte di un progetto articolato proposto dalla Direzione Generale per lo Spettacolo dal Vivo del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo che, con la collaborazione degli enti territoriali, ha avviato una convinta iniziativa di rilancio teatrale. Un progetto interregionale di promozione finalizzato alla valorizzazione della scena teatrale italiana contemporanea di nuova generazione alla quale hanno aderito 9 Regioni: Campania, Emilia Romagna, Lombardia, Marche, Piemonte, Puglia, Toscana, Umbria e Veneto. L'obiettivo è stato quello di sostenere la produzione e la circuitazione di spettacoli realizzati da giovani artisti e per il Piemonte il soggetto attuatore è stato individuato nella Fondazione Piemonte dal Vivo.
Lo spettacolo proposto si articola in due atti e di un intermezzo di danza. Nel primo atto (c'eravamo abbastanza amati) si sdrotola la storia di due ragazzi americani (Francesco Bolo Rossini, Andrea Collavino), un tempo una coppia, che si rincontrano un giorno e per caso sulla Striscia di Gaza. Il primo aspetta di incontrare un palestinese conosciuto via facebook. Il palestinese è però innamorato dell'altro. L'altro è ancora innamorato del primo. Il racconto lo si vuole incentrato sul muro di Gaza come elemento di separazione per eccellenza e che diviene simbolo dell'epilogo amoroso fra i due ragazzi. Sia il primo che il secondo atto pretendono di tracciare le linee di personaggi border line che vivono al limite e invece, se pur in maniera grottesca e caricaturale, tracciano perfettamente la condizione di molti giovani, nello specifico dei trentenni.
Non appare triste la fine della storia amorosa che forse tale non lo è mai stata ascoltando i dialoghi fra i due, ciò che invece devasta - una volta che sul palco si portano in scena attimi e spezzoni di vita quotidiana - è come internet abbia falsato qualsiasi tipo di relazione. Non ci rendiamo conto che più amici abbiamo su facebook, più soli siamo nella convinzione che un link o una canzone possa sostituire una conoscenza diretta e face to face. Ha postato la mia canzone preferita, ci siamo parlati un paio di volte: ormai basta questo per farci sentire vicino ad una persona, mentre, in realtà, perdiamo il contatto con noi stessi. Siamo così svuotati che non riusciamo più ad attaccare bottone con uno sconosciuto, preferendo il supermarket delle chat, dei forum, di tutti i social network che hanno, poi, pochissimo a che fare con la socialità.
La comunicazione si falsa e nelle poche parole scritte e sgrammaticate si nascondo le nostre insicurezze insieme alle nostre frustrazioni, non ultimo la voglia, che si fa necessità, di avere un partner a qualunque costo. Ci basta, tanto siamo tristi, vedere un pallino verde on line, avere nella nostra lista contatti un nome e spiare il suo profilo per credere di conoscerlo, e quindi di amarlo. I due non stavano insieme per amore, è la solitudine che accomuna la coppia non certo l'enorme responsabilità che Fromm dichiarava già negli anni Settanta con L'arte di amare.
Tutti e due sempre vittima dei cellulari, delle notifiche, della ricerca del nuovo. Nessuno vuole impegnarsi, nessuno accetta compromessi. Tutto appare in funzione del soddisfacimento becero ed aberrante di istanze personali, non certo di sacrifici che volenti o nolenti, occorrono per conoscersi e crescere insieme. E quando l'amore finzione finisce? si iniziano a tirare fuori tutte quelle stupidaggini cinematografiche secondo cui, uno soffre irrimediabilmente per la perdita, ma mai spegnendo il cellulare. Non c'è consapevolezza del dolore, e nella sofferenza nessun cambiamento.. per non sentire e crescere, quindi, occorre solo cambiare profilo o nick nelle chat.
In attesa del secondo atto tocca alle azioni coreute di Lucia di Pietro tracciare la danza emotiva che lega il primo al secondo atto. Pugni battenti, sguardo arrabbiato, per delle azioni ossessive e ripetitive che conducono il corpo a voli pindarici per poi ritrovarsi a terra, cadere come un sacco in balia della gravità, simbolo di una forza esterna che non può e non si vuole controllare.
Nel secondo ed ultimo atto già dal titolo Interno di una casa di bamboccione si è proiettati dentro quello che la sociologia definisce l'adolescenza ad oltranza. In Italia, patria di bamboccioni e mammoni, molti vivono la situazione della protagonista (Carolina Balucani), ha 30 anni, vive sotto una campana di vetro e da lì non si è mai mossa. Passa interi pomeriggi a casa, a Natale guarda ancora sotto l'albero. Naturalmente, non ha un lavoro. Naturalmente, vive a casa dei suoi genitori. La sua stanza, la stessa da quando era bambina è tutto il suo mondo che da fittizio si fa reale. Non si sa come mai a 30 anni in Italia non si è adulti, tutti ti dicono: sei un ragazzino ancora hai la vita d'avanti, ma in realtà hai perso quella che ti porti alle spalle. Le mamme sono la colpa da un lato, la società dall'altro. Non dimentichiamo che in questo groviglio di colpe importanza fondamentale hanno le colpe personali. Come hai vissuto fino a 30 anni? Cosa hai seminato? In cosa hai creduto e ti sei impegnato? Verso cosa sei proiettato? La vita, dio santo, che senso ha per te? Sguazzare nel consumismo? Sperare di sfondare nel mondo della televisione? Fare il JersyShore o parteciapre ad Amici?
Il corpo contrito e sempre in tensione che sulla scena si vede mette a fuoco la situazione emotiva di questi giovani, che pur sperando in una vita migliore non riescono a coltivare i loro talenti, perchè è la volontà e lo spirito di sacrificio che vengono meno. Parlano da soli e si accontentano di sembrare pazzi perchè è figo esserlo.
Cosa diversa è invece la sorte che spetta a chi vuole dare un senso alla sua esistenza e la società in cui vive gli tarpa le ali. Non solo è colpa mia se a 30 anni non sono maturo, ma anche, e mai come oggi in Italia, della società stessa. Mandare i curricula a poco serve in una società arenata e nepotista. Ecco il secondo atto, se pur con una cifra ironica e caricaturale fino a deformare, cela verità serissime esattamente come il primo atto al quale si lega. Come posso far vedere una cosa che vedo solo io a chi non la vede? si chiede la protagonista e noi con lei. Come rendere semplice una matassa che da Gadda fino ad oggi non si è mai sciolta? Non è solo una questione di governo o politica, è nel dna italiano essere un popolo di mediocri e una madre patria mediocre può solo partorire figli mediani. E se non si è cresciuti non si potrà mai avere un amore maturo!
Teatri del Tempo Presente fa parte di un progetto articolato proposto dalla Direzione Generale per lo Spettacolo dal Vivo del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo che, con la collaborazione degli enti territoriali, ha avviato una convinta iniziativa di rilancio teatrale. Un progetto interregionale di promozione finalizzato alla valorizzazione della scena teatrale italiana contemporanea di nuova generazione alla quale hanno aderito 9 Regioni: Campania, Emilia Romagna, Lombardia, Marche, Piemonte, Puglia, Toscana, Umbria e Veneto. L'obiettivo è stato quello di sostenere la produzione e la circuitazione di spettacoli realizzati da giovani artisti e per il Piemonte il soggetto attuatore è stato individuato nella Fondazione Piemonte dal Vivo.
Lo spettacolo proposto si articola in due atti e di un intermezzo di danza. Nel primo atto (c'eravamo abbastanza amati) si sdrotola la storia di due ragazzi americani (Francesco Bolo Rossini, Andrea Collavino), un tempo una coppia, che si rincontrano un giorno e per caso sulla Striscia di Gaza. Il primo aspetta di incontrare un palestinese conosciuto via facebook. Il palestinese è però innamorato dell'altro. L'altro è ancora innamorato del primo. Il racconto lo si vuole incentrato sul muro di Gaza come elemento di separazione per eccellenza e che diviene simbolo dell'epilogo amoroso fra i due ragazzi. Sia il primo che il secondo atto pretendono di tracciare le linee di personaggi border line che vivono al limite e invece, se pur in maniera grottesca e caricaturale, tracciano perfettamente la condizione di molti giovani, nello specifico dei trentenni.
Non appare triste la fine della storia amorosa che forse tale non lo è mai stata ascoltando i dialoghi fra i due, ciò che invece devasta - una volta che sul palco si portano in scena attimi e spezzoni di vita quotidiana - è come internet abbia falsato qualsiasi tipo di relazione. Non ci rendiamo conto che più amici abbiamo su facebook, più soli siamo nella convinzione che un link o una canzone possa sostituire una conoscenza diretta e face to face. Ha postato la mia canzone preferita, ci siamo parlati un paio di volte: ormai basta questo per farci sentire vicino ad una persona, mentre, in realtà, perdiamo il contatto con noi stessi. Siamo così svuotati che non riusciamo più ad attaccare bottone con uno sconosciuto, preferendo il supermarket delle chat, dei forum, di tutti i social network che hanno, poi, pochissimo a che fare con la socialità.
La comunicazione si falsa e nelle poche parole scritte e sgrammaticate si nascondo le nostre insicurezze insieme alle nostre frustrazioni, non ultimo la voglia, che si fa necessità, di avere un partner a qualunque costo. Ci basta, tanto siamo tristi, vedere un pallino verde on line, avere nella nostra lista contatti un nome e spiare il suo profilo per credere di conoscerlo, e quindi di amarlo. I due non stavano insieme per amore, è la solitudine che accomuna la coppia non certo l'enorme responsabilità che Fromm dichiarava già negli anni Settanta con L'arte di amare.
Tutti e due sempre vittima dei cellulari, delle notifiche, della ricerca del nuovo. Nessuno vuole impegnarsi, nessuno accetta compromessi. Tutto appare in funzione del soddisfacimento becero ed aberrante di istanze personali, non certo di sacrifici che volenti o nolenti, occorrono per conoscersi e crescere insieme. E quando l'amore finzione finisce? si iniziano a tirare fuori tutte quelle stupidaggini cinematografiche secondo cui, uno soffre irrimediabilmente per la perdita, ma mai spegnendo il cellulare. Non c'è consapevolezza del dolore, e nella sofferenza nessun cambiamento.. per non sentire e crescere, quindi, occorre solo cambiare profilo o nick nelle chat.
In attesa del secondo atto tocca alle azioni coreute di Lucia di Pietro tracciare la danza emotiva che lega il primo al secondo atto. Pugni battenti, sguardo arrabbiato, per delle azioni ossessive e ripetitive che conducono il corpo a voli pindarici per poi ritrovarsi a terra, cadere come un sacco in balia della gravità, simbolo di una forza esterna che non può e non si vuole controllare.
Nel secondo ed ultimo atto già dal titolo Interno di una casa di bamboccione si è proiettati dentro quello che la sociologia definisce l'adolescenza ad oltranza. In Italia, patria di bamboccioni e mammoni, molti vivono la situazione della protagonista (Carolina Balucani), ha 30 anni, vive sotto una campana di vetro e da lì non si è mai mossa. Passa interi pomeriggi a casa, a Natale guarda ancora sotto l'albero. Naturalmente, non ha un lavoro. Naturalmente, vive a casa dei suoi genitori. La sua stanza, la stessa da quando era bambina è tutto il suo mondo che da fittizio si fa reale. Non si sa come mai a 30 anni in Italia non si è adulti, tutti ti dicono: sei un ragazzino ancora hai la vita d'avanti, ma in realtà hai perso quella che ti porti alle spalle. Le mamme sono la colpa da un lato, la società dall'altro. Non dimentichiamo che in questo groviglio di colpe importanza fondamentale hanno le colpe personali. Come hai vissuto fino a 30 anni? Cosa hai seminato? In cosa hai creduto e ti sei impegnato? Verso cosa sei proiettato? La vita, dio santo, che senso ha per te? Sguazzare nel consumismo? Sperare di sfondare nel mondo della televisione? Fare il JersyShore o parteciapre ad Amici?
Il corpo contrito e sempre in tensione che sulla scena si vede mette a fuoco la situazione emotiva di questi giovani, che pur sperando in una vita migliore non riescono a coltivare i loro talenti, perchè è la volontà e lo spirito di sacrificio che vengono meno. Parlano da soli e si accontentano di sembrare pazzi perchè è figo esserlo.
Cosa diversa è invece la sorte che spetta a chi vuole dare un senso alla sua esistenza e la società in cui vive gli tarpa le ali. Non solo è colpa mia se a 30 anni non sono maturo, ma anche, e mai come oggi in Italia, della società stessa. Mandare i curricula a poco serve in una società arenata e nepotista. Ecco il secondo atto, se pur con una cifra ironica e caricaturale fino a deformare, cela verità serissime esattamente come il primo atto al quale si lega. Come posso far vedere una cosa che vedo solo io a chi non la vede? si chiede la protagonista e noi con lei. Come rendere semplice una matassa che da Gadda fino ad oggi non si è mai sciolta? Non è solo una questione di governo o politica, è nel dna italiano essere un popolo di mediocri e una madre patria mediocre può solo partorire figli mediani. E se non si è cresciuti non si potrà mai avere un amore maturo!
gb
L'AMERICA DENTRO
drammaturgia a cura di Giuseppe Albert Montalto
scrittura scenica di Carolina Balucani e Giuseppe Albert Montalto
visione coreografica di Lucia Di Pietro
con Carolina Balucani, Francesco Bolo Rossini, Andrea Collavino
regia di Carolina Balucani
aiuto regia di Giuseppe Albert Montalto
www.teatrideltempopresente.it
drammaturgia a cura di Giuseppe Albert Montalto
scrittura scenica di Carolina Balucani e Giuseppe Albert Montalto
visione coreografica di Lucia Di Pietro
con Carolina Balucani, Francesco Bolo Rossini, Andrea Collavino
regia di Carolina Balucani
aiuto regia di Giuseppe Albert Montalto
www.teatrideltempopresente.it